Attacco alla procura di Palermo

di Giorgio Bongiovanni – 17 novembre 2011
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Nella mattinata di mercoledì 16 novembre, all’interno dell’ufficio della dottoressa Lia Sava, è stata ritrovata la centralina telefonica manomessa, sul pavimento sono stati rinvenuti alcuni cavi recisi, mentre i collegamenti interni sono risultati ripristinati alla meno peggio con tanto di nastro isolante. A detta dei carabinieri del Ros che indagano sul caso potrebbe trattarsi di un maldestro tentativo di installare una microspia o, nell’eventualità peggiore, dei postumi della rimozione di qualche cimice precedentemente piazzata nell’ufficio della dott.ssa Sava. Ufficio che per altro alcuni mesi fa era occupato dal pm Antonio Ingroia. Nella stessa giornata di ieri le agenzie hanno battuto la notizia dell’apertura di un fascicolo da parte della Prima Commissione del Csm, quella competente sui trasferimenti d’ufficio dei magistrati, nei confronti di Antonio Ingroia “reo” di aver partecipato a un convegno del Pdci nel quale si era definito un “partigiano della Costituzione”. Antonio Ingroia così come Lia Sava si occupano da anni di delicatissime inchieste giudiziarie tra cui quella sulla “trattativa” tra mafia e Stato.
Attacco alla procura di Palermo

Abbiamo scritto più volte in difesa del giudice “partigiano” Antonio Ingroia e vogliamo ribadire ancora una volta il nostro pensiero dopo l’ennesimo attacco nei suoi confronti e dopo quanto accaduto alla dottoressa Lia Sava alla quale va tutta la nostra solidarietà.
C’è un programma di morte contro alcuni magistrati della Procura della Repubblica di Palermo e contro alcuni magistrati della Procura della Repubblica di Caltanissetta. Sono copioni che abbiamo già visto e che si ripetono in questa disgraziata storia della Repubblica italiana.
Non è più sopportabile il protrarsi di questo lugubre spettacolo con lo stillicidio di vite umane di uomini giusti.
Ora basta! Dobbiamo denunciarlo prima che sia troppo tardi!
Ho detto e ripeto: se dovesse accadere una nuova strage contro questi magistrati i mandanti ed esecutori li dovete cercare all’interno dell’organizzazione criminale Cosa Nostra, nei fenomeni connessi ad essa, nello Stato-mafia e nei Servizi segreti. Costoro non lavorano per il vero Stato e cioè la Costituzione, ma sono parte integrante di quei sistemi criminali in grado di condizionare la vita e la morte di milioni di esseri umani attraverso un potere economico-criminale.
Ripeto: c’è un programma di morte e questi ultimi episodi sono vere e proprie avvisaglie contro questi magistrati mirate a incutere loro paura fino a spingerli a limitare le loro indagini sulla mafia e il potere.
Non può essere trascurata questa stupida, ridicola e infantile iniziativa del Consiglio Superiore della Magistratura che ha aperto un fascicolo disciplinare – basandosi sul nulla – contro uno dei suoi magistrati più importanti. Il Csm contesta ad Ingroia una frase ovvia che persino i bambini dovrebbero pronunciare a scuola: “Sono un partigiano della Costituzione”. Ma il Csm per chi lavora?
Per coloro che sono nati nel 1992 e per tutti gli smemorati va ricordato che fu proprio il Csm a far morire lentamente Giovanni Falcone nel 1988. E che lo stesso Paolo Borsellino lo denunciò pubblicamente nell’incontro alla Biblioteca comunale di Palermo un mese dopo la strage di Capaci.
“Ho letto giorni fa – disse quella sera di giugno Borsellino davanti a un pubblico sgomento per la strage di Capaci – un’affermazione di Antonino Caponnetto secondo cui Giovanni Falcone cominciò a morire nel gennaio del 1988. Io condivido questa affermazione di Caponnetto. (…) Oggi che tutti ci rendiamo conto di quale è stata la statura di quest’uomo, ripercorrendo queste vicende della sua vita professionale, ci accorgiamo come in effetti il paese, lo Stato, la magistratura che forse ha più colpe di ogni altro, cominciò proprio a farlo morire il 1° gennaio del 1988, se non forse l’anno prima, in quella data che ha or ora ricordato Leoluca Orlando: cioè quell’articolo di Leonardo Sciascia sul “Corriere della Sera” che bollava me come un professionista dell’antimafia, l’amico Orlando come professionista della politica, dell’antimafia nella politica. Ma nel gennaio del 1988, quando Falcone, solo per continuare il suo lavoro, il Consiglio superiore della magistratura con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Antonino Meli. (…) Si aprì la corsa alla successione all’ufficio istruzione al tribunale di Palermo. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il Consiglio superiore della magistratura ci fece questo regalo: preferì Antonino Meli”.
Senza il minimo dubbio ritengo quindi che fu realmente il Csm a iniziare a far morire Falcone con le sue scelte scellerate ogni qualvolta bocciò la sua candidatura ad incarichi superiori. Scelte che pesano come macigni sui consiglieri dell’epoca.
E allora perché certe dinamiche si devono verificare ancora? Chi sono questi consiglieri del Csm che vogliono boicottare ancora una volta i loro migliori magistrati isolandoli e mettendo a rischio le loro vite? Che cosa fa il Presidente della Repubblica Napolitano che è anche presidente del Csm? Cosa risponde? La nostra preoccupazione è fortissima. Ed è nel nome dell’amicizia, della fratellanza, della professionalità, dell’etica che ha legato il prefetto Gianni De Gennaro al giudice Giovanni Falcone che intendo fare un appello al dott. De Gennaro. Mi appello alla sua umanità, non al suo ruolo istituzionale che gli impone il silenzio in quanto a capo dei Servizi segreti. Mi rivolgo all’uomo De Gennaro: dica qualcosa, ci faccia sentire la sua presenza! Ci faccia comprendere. Non mi sto riferendo al Gianni De Gennaro del 1984 quando era dirigente della Criminalpol al servizio di Giovanni Falcone. A fronte di tutto quello che sta emergendo ora sulle stragi di Falcone e Borsellino e alla luce degli odierni episodi ci vuol far sentire la sua voce? Vogliamo sapere chi comandava nel 1992 quando il depistatore di Stato, Arnaldo La Barbera, ha commesso una strage nella strage. In quel momento dov’era Gianni De Gennaro? Vogliamo saperlo. Abbiamo fiducia della sua etica, ma proprio per questo motivo vogliamo che parli, anche se questo dovesse costargli la carriera o la vita. Non ci sono segreti di Stato di fronte all’amicizia, all’onore, alla solidarietà umana. Non ce ne possono essere.

Fonte:Antimafiaduemila