22esimo anniversario omicidio Agostino tra sete di giustizia e pretesa della verita'

di Lorenzo Baldo – 5 agosto 2011
Palermo.
Davanti alla piccola cappella dove riposano Antonino Agostino e sua moglie Ida Castelluccio è appoggiata la corona di fiori del capo della polizia. Le due tombe giacciono poco distanti da quella di Paolo Borsellino al cimitero di Santa Maria di Gesù. I familiari di Nino e Ida si ritrovano insieme ad alcuni amici delle associazioni antimafia ben prima dell’orario previsto della messa in ricordo dell’agente di polizia e di sua moglie uccisi barbaramente il 5 agosto del 1989.

Tra questi c’è anche Salvatore Borsellino che si abbraccia forte con i genitori di Nino. Il dolore del padre, Vincenzo, pulsa forte in ogni suo respiro, per un attimo sembra che il suo cuore regga a fatica l’emozione del momento; sua moglie Augusta è accanto a lui, quasi a volerlo proteggere, con grande dignità regge il peso della più grande sofferenza che una madre possa provare. Poi torna a chiedere giustizia al cronista che l’avvicina, gli stringe la mano guardandolo negli occhi e gli chiede di usare la sua penna per contribuire alla ricerca della verità e della giustizia. Subito dopo è don Luigi Ciotti a raccogliere quel grido sordo. Il presidente di

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Libera prende come spunto le “beatitudini” del Vangelo. “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia – dice don Ciotti rivolgendosi a Vincenzo e ad Augusta – perché saranno saziati”. Ed è nel solco di quella pretesa di giustizia che il fondatore del Gruppo Abele invoca un impegno corale, costante e continuativo da parte di coloro che di fronte ai familiari delle vittime sanno di non poter più tornare indietro e di dovere solamente stringersi attorno alla loro richiesta di verità. Le sorelle di Antonino, Nunzia e Flora, piangono silenziosamente mentre i loro figli le accarezzano amorevolmente. Due di loro si chiamano proprio Antonino e Ida, nella loro giovane età racchiudono tutta la consapevolezza del significato dei loro nomi. Al termine della funzione religiosa ci si sposta a Villagrazia di Carini, nel luogo esatto dove Nino e Ida sono stati uccisi. Al posto del capanno che sorgeva al n. 699 di via Cristoforo Colombo il sindaco di Carini, Giuseppe Agrusa, ha fatto ergere una stele di marmo bianco sulla quale spicca una scritta: “Qui il 5 agosto del 1989 venne ucciso l’agente di polizia Nino Agostino, giovane servitore dello Stato, insieme alla sua sposa Ida Castelluccio ed al figlio che portava in grembo. Da quel tragico giorno la famiglia attende verità e giustizia”. Vincenzo Agostino appoggia una mano sulla stele, sua moglie ha una foto del loro figlio e Ida il giorno del matrimonio. Tutta l’attesa della verità e della giustizia è racchiusa nei loro sguardi e nei sorrisi che rivolgono ai ragazzi di Addiopizzo che insieme all’associazione Libera, al movimento delle Agende Rosse ed al comitato Cittadinanza per la magistratura sono venuti a consegnare le firme raccolte per impedire che i “silenzi di Stato” avvolgano la morte di Nino e Ida. L’appello di don Ciotti è per i ragazzi presenti affinchè siano coscienti del  “potere dei segni contro il segno del potere”. Mentre poco più in là un mare azzurro scintilla lucente, il fondatore di Libera abbraccia Vincenzo e Augusta ricordando l’importanza di mantenere vivi memoria e impegno affinchè nessuno cada nella rassegnazione di fronte alla tracotanza del potere.

Fonte:Antimafiaduemila
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Riportiamo di seguito la poesia di Lina La Mattina letta questa mattina dalla poetessa alla commemorazione di Nino Agostino e Ida Castelluccio

STORIA D’AMURI E DI MORTI – A Ida e Antonio Agostino

Era bellissima la storia d’amuri

di Antoniu e Ida

‘na storia ca pareva, nuddu mai nni sta vita

avissi pututu scriviri la parola fini.

Ma li storii senza fini, fatti d’ancili e palummi

di suspiri e puisia, nun su fatti pri sta terra

perciò un jornu lu malignu ci misi lu nasu

e la cuda, ma mancu iddu potti scriviri

la parola fini, pirchì ‘n celu la storia cuntinua.

Una storia… ca puru a li petri tocca lu cori

e ora la matri di Antoniu

puru siddu havi spini azziccati a lu pettu

strati strati, comu cuntastori d’autri tempi la cunta

scippannu una a una palori a la vucca

l’arriala a lu munnu ca surdu e orbu, nun cogli

né tessi lu chiantu pri fari comu

nni la favula antica vesti d’argentu a li puvireddi.

E puru lu patri, ‘ncatinatu a lu duluri

comu a San Ciuseppi

cu la varva e li capiddi longhi

cunta la storia di un “bamminu” ca ‘nnamuratu

di la giustizzia e di la vita, addiventa un Cristu

chiantatu a la cruci, supra lu calvariu di sta terra

senza ca nuddu sapi pirchì

senza ca nuddu cerca di spidugghiari la marredda.

Du’ palummi beddi e ‘nnamurati

eranu Antonio e Ida

du’ palummi ca stricannusi l’ali

di la matina a la sira, cuvavanu amuri

mentri lu picciuni dintra d’idda crisceva

aspittannu di vulari nni stu munnu ‘nfami…

nnall’occhi, specchiu  ridenti chi cuntagiava alliria

si spicchiava l’arma e lu cori di cu’ l’accanusceva

e comu scuma ca trabucca d’un bucali di birra

a iddi trabuccava l’onestà, la buntà.

Era bellissima la storia d’amuri

di Antoniu, Ida e lu picciuni senz’ali

c’arristò pri sempri, ‘ngramagghiatu a lu scuru

e ora addivintò ‘na tragica favula chiantata cu sangu

lagrimi e chiova, nni la storia ‘nfirnali di Palermu.

5 agosto 1997  LINA LA MATTINA

Tratta dal volume di poesie “PARABULA SIGNIFICA” prima Edizione 2004, seconda edizione maggio 2007