Quale Codice antimafia?

di Gian Carlo Caselli – 27 luglio 2011

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L’armamentario normativo antimafia è vasto e complesso. Frutto di stratificazioni successive (abbondano i bis, ter, quater, quinquies e via numerando) e gli innesti “emergenziali”, presi d’impeto in stato di necessità, quasi sempre utili ma talora non ben coordinati col resto del sistema.
Ne risulta un quadro complessivo spesso disomogeneo, una specie di foresta con alberi d’ogni tipo: alcuni ormai vecchi, da abbattere o rinvigorire; altri da sfrondare; altri ancora da potenziare perché crescano (funzionino) meglio; altri infine da piantare “ex novo” perché siano coperti anche obiettivi oggi sguarniti. Con voto unanime del Parlamento è stata perciò approvata una legge delega per redigere un “Codice antimafia” che armonizzi la materia e introduca i necessari “aggiornamenti”, anche alla luce dell’esperienza maturata in decenni di attività investigativa e giudiziaria.

Lodevolissima iniziativa, che ha suscitato ampie aspettative, alle quali però si affianca ora qualche preoccupazione per come le cose si stanno articolando. Di qui un appello, che Libera (l’associazione nazionale per la legalità e l’antimafia che fa capo – tra gli altri – a Luigi Ciotti) ha deciso di rivolgere al governo e al Parlamento per una proroga dei tempi di approvazione del decreto conseguente alla legge delega che consenta di correggerne alcuni profili. Importanti sono i risultati raggiunti negli ultimi anni dall’antimafia (anche sul piano legislativo, per esempio con l’istituzione dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati, che ha aumentato di molto le potenzialità di efficace aggressione dei patrimoni mafiosi). Bisogna assolutamente evitare regressioni e nel progetto di decreto legislativo ci sono vari punti che si prestano ad osservazioni critiche. In particolare, nell’appello di Libera si segnala il termine massimo (un anno e sei mesi in appello) entro cui si dovrebbe completare, dal punto di vista giudiziario, l’iter di sequestro e confisca dei beni. Scaduto il termine, il lavoro svolto dalle forze dell’ordine e dalla magistratura verrebbe azzerato, per cui si tratta di una previsione francamente discutibile: in nome di un corretto principio – giustizia in tempi rapidi e certi – finirebbe per aversi una sorta di diffusa prescrizione di tutte le misure di prevenzione patrimoniale nei confronti delle mafie. Libera manifesta poi preoccupazione per le conseguenze di natura economica e occupazionale che si potrebbero avere con le nuove norme in materia di liquidazione dei beni al fine di soddisfare i diritti dei creditori. In base al nuovo “Codice antimafia” gli amministratori giudiziari dovrebbero sospendere tutti i contratti in essere e liquidare i compendi aziendali.

Anche in questo caso, un principio condivisibile (la tutela dei diritti dei terzi) finirebbe per innescare una procedura che porta, di fatto, alla liquidazione e alla vendita delle aziende o rami d’azienda nonché dei beni immobili, assimilando il procedimento di prevenzione a quello previsto in sede fallimentare. Anche nella percezione dei cittadini, l’effetto sarebbe sconcertante: la mafia dà lavoro e lo Stato… lo cancella, mentre la strada giusta è ovviamente salvaguardare aziende e occupazione.

Sono, come si vede, osservazioni leali e costruttive. Sarebbe assai utile tenerne conto, in un contesto che utilizzi il “Codice antimafia” per introdurre alcune novità di decisiva, fondamentale importanza. Intendo riferirmi alla punizione dell’auto-riciclaggio (oggi il mafioso trafficante di droga che investa lui direttamente il suo denaro sporco in qualche attività apparentemente lecita non commette alcun reato, proprio perché l’autoriciclaggio non è previsto come reato). Intendo riferirmi inoltre all’assoluta, imprescindibile necessità di riscrivere l’art. 416 ter del codice penale sul voto di scambio, oggi punito soltanto nel caso di erogazione di denaro, cioè in un caso che nella pratica non si verifica mai: il portafoglio dei mafiosi è “naturalmente” rigonfio; servono loro concessioni, appalti e altri simili favori; per cui imperniare il delitto di voto di scambio sui contanti equivale a pretendere che un’auto viaggi senza motore, senza ruote e senza benzina.

Tratto da:
Il Fatto Quotidiano