Omicidio De Mauro: Riina assolto per ''insufficenza di prove''

di Aaron Pettinari – 10 giugno 2011

Dopo dieci ora di camera di consiglio la Corte d’Assise di Palermo, presieduta da Giancarlo Trizzino, ha assolto il boss mafioso Totò Riina per il sequestro e l’omicidio del giornalista de ‘L’Ora’, Mauro De Mauro, rapito il 16 settembre 1970 sotto la sua abitazione.

I giudici nel dispositivo di sentenza hanno fatto riferimento all’articolo 530 comma 2 del codice di procedura penale che riguarda la “incompletezza della prova” con formula dubitativa. Ovvero quello che un tempo era l’ assoluzione “per insufficienza di prove”.
Così è stata respinta la richiesta del carcere a vita fatta al termine della requisitoria dai pm Antonio Ingroia e Sergio De Montis. Inoltre la Corte ha trasmesso gli atti al Pubblico Ministero perchè proceda per falsa testimonianza nei confronti dell’ex funzionario del Sisde Bruno Contrada, dei giornalisti Pietro Zullino e Paolo Pietroni e dell’avvocato Giuseppe Lupis. Gli ultimi tre avrebbero avuto collegamenti con i servizi segreti e avrebbero avuto un ruolo depistante nelle indagini.
Presente alla lettura del verdetto, la figlia Franca, che attendeva giustizia da oltre 40 anni e che ancora una volta si trova costretta a restare nel dubbio e nell’incertezza riguardo ai motivi che hanno portato alla scomparsa del padre.
“La sentenza mi ha sorpreso – ha detto uscendo dall’aula bunker con grande dignità e amarezza – ascoltando la requisitoria dei pm De Montis e Ingroia pensavo che ci fossero più motivi di colpevolezza nei confronti di Riina, ma pare che non ce ne siano molti. Ci sono una serie di indizi. Sono molto turbata perchè dopo 40 anni non abbiamo ancora una risposta su quanto successe quel giorno, adesso aspetteremo altri 90 giorni per capire. Leggeremo le motivazioni della sentenza”. Poi ha aggiunto: “Il fatto che abbiano citato Lupis e Contrada apre uno spiraglio di non indifferenza nella vicenda di mio padre. E se i depistaggi su mio padre fossero dello Stato?”.
Dello stesso avviso anche il legale Francesco Crescimanno: “Non bastano 41 anni per fare emergere la verità è significativo che si siano ritenute false una serie di testimonianze, molte delle quali, cominciando da Bruno Contrada e proseguendo con alcuni giornalisti hanno manifestato chiare reticenze. Non sono dovute a vuoti di memoria o incompletezza dei ricordi ma una strategia di fumogeni. In questa vicenda, per un modo o per un altro, non si deve arrivare alla verità. In aula sono stati portati faldoni di carte ma all’interno dei quali non c’era un solo documento che riguardasse De Mauro, il che è assolutamente incredibile”.
E sulla non condanna di Riina ha aggiunto: “Nel corso del processo, fra alcuni collaboranti storici e da ultimo il pentito Naimo, si raggiungeva una prova sufficiente per ritenere la responsabilità di Salvatore Riina”. Il legale dei De Mauro, data l’assoluzione con insufficienza di prove ha quindi ipotizzato “che nella valutazione di un collegio attento e umanamente e tecnicamente attrezzato probabilmente non si è ritenuto che le propalazioni dei collaboranti non abbiano la concantenazione fra di loro che possano portare all’affermazione di responsabilità di Riina”. “Probabilmente non si è raggiunta la prova piena per cui vedremo quale delle formule del 530 secondo comma adopereranno nella motivazione. Bisogna vedere se è una prova incompleta o se c’è qualcosa nella prova che non consente di tenere un percorso assolutamente affidabile”.
Lungo l’intera durata del processo sono emersi diversi segnali di depistaggi che, secondo i pm, hanno frenato la ricerca della verità. Emblematico l’episodsio raccontato da Boris Giuliano al pm Ugo Saito, della riunione a villa Boscogrande che arenò di fatto l’inchiesta.
Due le piste emerse durante il lungo dibattimento: la misteriosa fine del presidente dell’Eni, Enrico Mattei, e il tentato golpe di Junio Valerio Borghese. De Mauro si era occupato di Mattei per la sceneggiatura del film di Francesco Rosi. Avrebbe inoltre raccolto informazioni confidenziali sul progetto eversivo neofascista. L’accusa ha unito le due piste giudicandole «convergenti».
In attesa di conoscere le motivazioni della sentenza il pm Antonio Ingroia, non presente alla lettura della sentenza perché fuori Palermo, ha commentato: “Sono stupito da questa sentenza. Ero e resto convinto che l’impianto probatorio fosse solido, ma rispettiamo la sentenza che non condividiamo. Leggeremo le motivazioni e certamente faremo ricorso all’assoluzione. Evidentemente i giudici non hanno ritenuto adeguatamente provato l’impianto accusatorio anche se noi restiamo convinti del contrario. Leggeremo la sentenza con rispetto, come sempre. Seppure non condividiamo le conclusioni dei giudici”.

Fonte:Antimafiaduemila

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