Ecco le donne dell'Amazzonia che denunciano violenza e miseria. Via radio

Ecco le donne dell’Amazzonia che denunciano violenza e miseria.  CON GLI AURICOLARI SULLE ORECCHIE, il microfono appiccicato a un sorriso emozionato che rivela denti e metallo. Sulle ginocchia un neonato che cerca di attaccarsi al seno. Di qua dal vetro, in regia, la tensione si incanala in una voce: «Un saluto a tutti gli ascoltatori di Radio Voce della selva, mi chiamo Petronilla, vivo nell’asentamiento humano Laguna Azul. Oggi voglio raccontarvi un episodio di violenza familiare…».
Sono le cinque del mattino a Iquitos, nel cuore dell’Amazzonia peruviana, e sta per avere inizio il programma Bienvenida salud (Benvenuta salute), la risposta delle donne di uno degli angoli più machisti del pianeta al circolo vizioso di violenza e povertà che qui governa ben oltre i numeri euforici sul Prodotto interno lordo e sulla crescita che fanno del Perù uno dei Paesi in vetta al futuro.

Per capire meglio perché c’era bisogno di alzare la voce, basta salire a bordo di un mototaxi, una specie di risciò motorizzato che corre a tutta birra sull’unica strada che, allontanandosi dal centro prettamente turistico, per qualche chilometro fende la foresta tropicale in due scriminature di fango e villaggi di baracche. Gli asentamientos humanos, appunto. I loro nomi sono sproporzionati a quel che mantengono: Primavera, Nuovo Miracolo, I Delfini. Altre volte solo una data, quella in cui qualcuno, per primo, ha piantato una bandiera e un chiodo tra le assi di legno ricoperte con cartocci di palma. Il nostro taxi si ferma nell’asentamiento 3 Novembre, nel distretto di San Juan Bautista, e il film esotico montato dalla velocità diventa una bolla di calore bagnato, una distesa di ore senza fine in cui si incrociano cucciolate di cani, galline, donne e bambini, bambine con in braccio altri bambini, di cui poi scopriremo essere le madri. Dalle finestre senza vetri le televisioni parlano d’amori troppo romantici, pronti a sciogliere i fianchi in passi di cumbia, la salsa peruviana. A lato del sentiero che cuce le case, la fogna a cielo aperto deborda per le piogge.
«Come si va avanti qui?» chiediamo a Daysi, la corrispondente locale del nostro programma radiofonico, seduta su un piccolo patio dove vende cesti di banane, pane e Inca Kola, una bibita gialla che in Perù ha stracciato la bibita globale. Intorno a lei giocano ragazzi che si chiamano Messi e Del Piero.
La storia che ci racconta Daysi, responsabile anche di una rete sociale per il suo villaggio – 50 famiglie per 450 abitanti, di cui cento bambini sotto i cinque anni – inizia con parole lontane, sui disagi creati dagli acquazzoni, l’assenza di strade, il fango che rende difficile ogni movimento, le scuole abbandonate dai ragazzi… Poi diventa occhi con dentro il pianto, perché i compagni e i mariti portano a casa pochi soldi, guadagnati con lavori precari. Perché i soldi diventano ancora meno quando metà affogano nel trago, un alcol economico ricavato dalla canna da zucchero. E l’alcol diventa botte, violenza, e quindi figli nati dalla violenza, loro stessi amati male e spesso picchiati dalle madri e pronti a picchiare da adulti. Ragazzine che escono troppo presto di casa, si danno per qualche soldo e ripetono il destino delle madri. Per questo Daysi ha deciso di partecipare al progetto Punchi Warmi, che nell’antico idioma quechua significa Forza Donne, iniziato da una ong locale, Minga, e ora interno ai progetti della ong italiana Cesvi, e di raccogliere tutte queste notizie e raccontarle alla radio, dove si può sporgere denuncia e avere contatto con legali, medici, psicologi.

«Tutto iniziò 12 anni fa» racconta Giovanna Fortuni, responsabile per il Perù di Cesvi, organizzazione con sede a Bergamo attiva a Lima da 21 anni e presente da 6 a Iquitos. «L’allora sindaco, Mirna, una donna molto combattiva, creò questo progetto per promuovere una nuova consapevolezza personale, professionale, sessuale nella popolazione femminile. E per educarla ai propri diritti, davanti a dati che inchiodano: il 53 per cento delle donne di Iquitos subisce violenza. Ora per noi la trasmissione radiofonica è diventata il braccio armato di una serie di iniziative per lo sviluppo del territorio a partire proprio dalle donne». Da allora sono state formate in appositi laboratori ventisette corrispondenti che raccolgono notizie nei villaggi. Molte lettere arrivano anonime all’indirizzo degli studi di registrazione per paura di ritorsioni. Oltre duemila ogni anno.

«Chiedo di non dire il mio nome, però ho un grande problema» scartabelliamo tra i fogli manoscritti a matita, «mio marito mi tratta male perché dice che sono ingrassata. Spesso la sera ritorna ubriaco, mi insulta. L’altra sera mi ha picchiato e poi violentato davanti ai bambini». «Ho 16 anni, vi prego di non dire altro di me, ho bisogno di aiuto: mia madre si è separata da mio papà e ora ha un nuovo compagno. Quando siamo soli lui cerca sempre di toccarmi. Ma lei preferisce lui a me e dice che mi invento tutto…». «Ho sei figli. Non ho mai fatto il pap test, ma da quando la mia vicina è morta di cancro vorrei saperne di più…». E poi, comunque, il cuore grosso del Perù: «Oggi voglio dedicarvi una poesia che ho pensato stanotte: “Il sole è come una bella arancia. L’immensità della vita è la voglia di bersi, goccia a goccia, la sua dolcezza”…».

Da queste parti anche la pioggia, che sempre resta appesa all’orizzonte pronta a infuriare, è donna. Lluvia Warmi, in quechua: ovvero “pioggia donna”, pioggia che molesta. Altro esito della cultura declinata al maschile. E secondo una storia che si racconta, si deve a un frutto delle palme ricco di ormoni, l’aguaje, che rende le donne più sensuali, il fatto che nascano tanti bambini. Di questi, la gran parte crescono e muoiono senza mai essere registrati. Eppure nella regione di Loreto che fa centro a Iquitos, una terra grande come l’Olanda e abitata da non più di 750 mila abitanti, all’alba e al tramonto più di 80 mila donne si danno appuntamento tra il Rio Amazonas e il Rio Tigre – dove basta allungare le braccia per toccare Brasile e Colombia – davanti a una radio: per provare a raccontare da un altro punto di vista una storia che si voleva per sempre già scritta.

Fonte: leiweb.it