Tranchina svela i prestanome dei Graviano

graviano-filippo-giuseppe-graviano-web0.jpg Imprenditori fuori da ogni sospetto che fanno da prestanome ai boss Filippo e Giuseppe Graviano. Di questo avrebbe parlato ieri il neo-pentito Fabio Tranchina, nel corso del primo interrogatorio reso nel carcere di Pagliarelli davanti ai pm di Palermo che indagano sulla cosca di Brancaccio.

Ascoltato per cinque ore dal procuratore aggiunto Ignazio De Francisci e dai sostituti Roberta Buzzolani, Lia Sava e Caterina Malagoli l’ex fedelissimo dei potenti fratelli palermitani avrebbe aggiunto nuovi particolari a quanto già riferito ai magistrati di Firenze, che per primi lo avevano ascoltato. Raccogliendo le sue dichiarazioni sull’attuale struttura mafiosa di Brancaccio, sulle attività di riciclaggio compiute dai Graviano attraverso persone compiacenti, sul ruolo attualmente rivestito da Nunzia Graviano (sorella dei boss) e da Cesare Lupo (cognato di Tranchina) nella gestione dell’attività finanziaria della cosca.
Al vertice della famiglia mafiosa di Brancaccio, aveva spiegato Tranchina, vi è un triumvirato, nell’ambito del quale ci sarebbe lo stesso Cesare Lupo. Un triumvirato deciso dai Graviano nonostante il loro stato di detenzione. Sono loro, aveva riferito il pentito – che “ancora decidono chi deve essere il capo mandamento” e “le mie notizie sull’attualità della struttura mafiosa di Brancaccio, sono dovute al fatto che ho vissuto in tale situazione e poi capita che mangio a casa di mio cognato”.

Ieri, proprio i cognati del pentito e la moglie (che in un primo momento era riuscita a convincerlo a ritrattare le dichiarazioni rese a Firenze) hanno rifiutato la protezione della Dia, dissociandosi dalla scelta del congiunto di passare dalla parte dello Stato. Una scelta sofferta, tanto che Tranchina per ben due volte aveva tentato il suicidio in cella: prima della convalida dell’arresto, firmata dal gip Piergiorgio Morosini lo scorso 21 aprile, era stato trovato dalle guardie penitenziarie riverso sul pavimento, privo di conoscenza con un lenzuolo intorno al collo e delle ferite da taglio alle braccia e ai polsi.
A due giorni prima risaliva il colloquio con la moglie, sorella di Cesare Lupo, che lo aveva convinto a revocare la scelta di collaborare e a ritrattare le dichiarazioni rese per mantenere intatti i legami criminali con l’associazione mafiosa di appartenenza.

La scelta definitiva era poi arrivata lo scorso 22 aprile, quando il Tranchina aveva cambiato avvocato, affidando la sua difesa a Monica Genovese, legale di numerosi collaboratori di giustizia.
Da allora il pentito è stato interrogato due volte: ieri dai pm di Palermo, la settimana scorsa dai magistrati della Procura di Caltanissetta che lo hanno ascoltato in merito al ruolo assunto dal boss Giuseppe Graviano nella strage di via D’Amelio. E ai rapporti politici mantenuti dai fratelli di Brancaccio nel nord Italia durante gli anni delle bombe e della trattativa tra Cosa Nostra e lo Stato.

In quel periodo, aveva già riferito Gaspare Spatuzza, Tranchina era l’unico a curare la latitanza di Giuseppe Graviano, “una cosa riservatissima”, che rende la collaborazione del neo pentito particolarmente importante. Soprattutto alla luce delle dichiarazioni già rese sullo spostamento dei boss di Brancaccio nel centro e nord Italia, nel 1993: “Era anche per sfuggire alla pressione su Palermo – aveva detto – che dopo le stragi siciliane del 1992 era particolarmente forte”. “Alle pressioni i Graviano risposero a modo loro portando, avanti le stragi per trovare una trattativa con lo Stato”.
In quel periodo, aveva ricordato ancora Tranchina,  fu arrestato Riina e il giorno stesso “dell’arresto di Riina, Graviano mi disse che ci sarebbe stata una guerra, nel senso che come fare le leggi glielo dovevano fare capire loro, anche se avevano le loro assicurazioni”.
Poi, più tardi, in vista delle elezioni del 1994, all’interno di Cosa Nostra “ricordo che … venivano indicazioni di voto per Forza Italia”.

Fonte:antimafiaduemila