Contro gli ossessi della "crescita": la politica per sopravvivere

democrazodi Fabrizio Tringali – Megachip.

I fatti recenti hanno accentuato la frattura tra Berlusconi e il resto del ceto politico italiano. Gli errori del governo sono stati di tale portata che nemmeno Maurizio Belpietro ha potuto evitare di riconoscerli. L’Italia è stata completamente scavalcata nella gestione della guerra alla Libia, perdendo l’unica cosa che interessa alla classe imprenditoriale: l’accesso privilegiato alle risorse energetiche. Per giunta trovandosi a dover affrontare da sola il dramma dei profughi in fuga. Il capitalismo industriale italiano, che non ha mai avuto grande fiducia in Berlusconi, rialza la voce.

La Confindustria si smarca dal governo e dichiara che “in Italia gli imprenditori sono lasciati soli

Traballano anche gli appoggi nel mondo finanziario, come dimostra l’improvviso cambio al vertice delle Generali, con la defenestrazione di Cesare Geronzi, definito dal premier “l’unico banchiere che non vota alle primarie dell’ulivo” (quando mette da parte le pessime barzellette a sfondo sessuale, anche lui azzecca qualche battuta).

I ceti dominanti hanno capito che l’attuale governo non è più in grado di garantirli, e provano a ridisegnare l’assetto del sistema politico, inserendo le personalità che hanno maggiori chance di sfrattare il cavaliere da Palazzo Chigi. Montezemolo rilascia già interventi sui giornali che indicano le strade che intende percorrere per andare incontro alle esigenze degli imprenditori e rilanciare la “crescita”: favorire i consumi per piazzare le quantità di merci sempre crescenti che il capitalismo produce. Ma le persone che hanno un’occupazione precaria, a causa della loro condizione di incertezza, consumano poco. Troppo poco per le brame di profitto del capitale.

Dunque ecco la ricetta dei “nuovi arrivati” sulla scena politica: stabilizzare un po’ di precari in modo da favorire l’aumento dei loro consumi. E contemporaneamente aggredire ulteriormente il sistema pensionistico.

Tuttavia la “crescita” è esattamente il contrario di ciò di cui abbiamo bisogno. Da almeno 30 anni “crescita” non vuol dire affatto aumento dell’occupazione, miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita. Significa solo maggiori consumi. Con tutte le gravi conseguenze ambientali e sociali che ne derivano: ulteriore produzione di merci, e conseguente aumento del fabbisogno energetico e delle emissioni di CO2.

Il che, alle condizioni attuali, significa due cose: aumento della crisi ambientale (che rischia seriamente di causare effetti irreversibili), e guerre per l’accaparramento delle materie prime energetiche. Tutto ciò sta già accadendo: la corsa al nucleare, ora frenata dalla tragedia giapponese, e la guerra in Libia, sono la conseguenza logica di scelte scellerate, miopi e criminali.

Dobbiamo diffidare di chiunque ci proponga ulteriore crescita, perché tentare di uscire dalla crisi inseguendo la crescita equivale a tentare di spegnere un incendio con la benzina. Lo scontro cui stiamo per assistere, tutto interno alla classe dominante, può solamente portare tutti noi dalla padella nella brace. Se Berlusconi resisterà, continuerà ad occuparsi degli affari suoi, distruggendo l’impalcatura istituzionale della Repubblica, a partire dal sistema giudiziario, e attaccando la stessa Costituzione.

Se invece prevarrà la corte di Montezemolo finiremo nelle fauci degli squali del capitalismo industriale, che cercheranno in ogni modo di preservare i propri profitti, a scapito dei diritti, delle garanzie (le pensioni), dell’ambiente naturale e delle condizioni di vita di tutti noi.

Il quadro appare fosco, e non si rischiara nemmeno se alziamo lo sguardo fuori dai confini nazionali.

La questione dei profughi nordafricani dimostra che l’Unione Europea è semplicemente un mercato. Creato ad arte per la difesa degli interessi economici. Ma dal punto di visto politico, l’Unione Europea non esiste. Non ha una linea, né un governo, né istituzioni democratiche e rappresentative, ad eccezione del Parlamento Europeo, che ora non conta nulla.

L’ONU vive una crisi senza precedenti. Se una generica risoluzione del Consiglio di Sicurezza, la 1973, è sufficiente per bombardare un paese sovrano, vuol dire che il diritto internazionale, come l’abbiamo studiato e conosciuto dalla nascita della Nazioni Unite in poi, semplicemente non esiste più. Non vi è nemmeno più la necessità di fingere di rispettarne i capisaldi universalmente riconosciuti: il principio di autodeterminazione dei popoli, e il rispetto dell’integrità territoriali degli Stati. Siamo di fronte a un quadro che lascia sgomenti.

Tuttavia non dobbiamo cadere nella tentazione di minimizzare l’entità dei problemi che ci troviamo dinnanzi. L’unica via di uscita sta proprio nella piena presa di coscienza dell’estrema gravità della situazione, da parte di un ampio numero di persone. E nell’impegno diretto di queste nell’organizzazione dell’alternativa. Il primo passo da compiere è liberarci dalle convinzioni indotte dal mainstream mediatico.

Il sistema di informazione-comunicazione è l’arma più potente che viene usata contro tutti noi, allo scopo di indurci al continuo e crescente consumo. E per indottrinarci su un sistema di valori/disvalori funzionale agli interessi del ceto dominante.

È tempo di prendere coscienza che buona parte di ciò che i media presentano come salvifico è in realtà letale. Mentre ciò che viene presentato come nefasto, è in realtà vitale. L’esempio di come viene dipinta la “crescita” è calzante. Poiché il capitalismo non può che insistere nel tentativo di aumentare i consumi, il sistema economico, tramite i media, tende a trasformare i cittadini in consumatori ossessivo-compulsivi.

Questo è il motivo per cui il mainstream presenta la “crescita” come unica via per uscire dalla crisi. E tutti i partiti si affannano ad offrire ricette per rilanciarla. E questo non è l’unico esempio. Il sistema di informazione-comunicazione veicola l’idea che qualsiasi forma di partecipazione alla politica sia destinata a degenerare in malaffare.

La parola “partito” è sinonimo di affarismo e furberie. In effetti le attuali forze politiche offrono buoni motivi per essere detestate.

Tuttavia l’idea che “la politica sia una cosa sporca” è perfettamente funzionale al mantenimento dello status quo. Squalificando l’impegno politico ed aumentando il divario tra politica e cittadini, si disincentiva l’impegno diretto delle persone disinteressate, serie e capaci, e le si reindirizza verso il volontariato, l’associazionismo o la militanza in movimenti locali e civici. In questo modo nascono moltissime realtà impegnate nei più svariati settori (cultura, difesa del territorio, dei beni comuni, etc..), ma si tende ad impedire la formazione di un vero e proprio soggetto politico di opposizione al sistema capitalista-crescista, e di costruzione dell’alternativa.

Occorre invece riscoprire la nobiltà dell’arte politica. E rivendicare il diritto di occuparsi direttamente delle scelte che riguardano la collettività.

L’indignazione per lo stupro che la classe politica ha perpetrato nei confronti della cosa pubblica e del bene comune deve indirizzarsi verso l’impegno diretto alla costruzione di un nuovo partito che consideri la “crescita” ed il sistema di produzione/consumo capitalistici i nemici da abbattere.

Un soggetto politico contrario a qualsiasi forma di alleanza con le forze “cresciste”, finalizzato ad organizzare forze ed intelligenze verso la realizzazione di una pacifica transizione ad un modello di società partecipativa e rispettosa dei limiti naturali.

Tempo fa potevamo pensare che superare il capitalismo fosse necessario per vivere meglio. Adesso è indispensabile per sopravvivere.

Fonte:Megachip