I dodici piccoli golpisti libici

Come il Colonnello ha eliminato dal potere i commilitoni che fecero la rivoluzione

E alla fine dei 12 piccoli golpisti libici ne rimase uno solo. È una trama di Agatha Christie l’eliminazione dei compagni di rivoluzione di Muhammar Gheddafi: partiti insieme per conquistare il potere, il Colonnello (allora capitano) si è sbarazzato dei suoi commilitoni strada facendo.

Dei 12 apostoli che con lui iniziarono a complottare nel 1965 (in quanto membri del Movimento degli ufficiali liberi) contro il regno di Idris e formarono il Consiglio del comando rivoluzionario alla guida del putsch del 1° settembre del 1969, solo 6 anni dopo ne restavano 5 e solo 3 di questi sono tuttora vicini a Gheddafi nella sua ultima battaglia.

Ci vuole la conoscenza e la memoria di Angelo Del Boca per rintracciare e ricostruire i nomi e la sorte degli ufficiali che, prendendo esempio dalla presa del potere di Nasser nel vicino Egitto e sulla spinta della rabbia e della frustrazione per la sconfitta araba nella guerra contro Israele del ’67, in due ore il primo giorno di settembre di 42 anni fa, partendo da Bengasi, deposero senza colpo ferire il monarca (che si stava curando in Turchia) e s’installarono a Tripoli. Secondo la leggenda divenuta storia erano una settantina, ma alla guida il 27enne Muhammar Gheddafi e altri 11 ufficiali. Freschi di corso nella più rinomata scuola di guerra britannica, Sandhurst e con le idee chiare su dove la Libia, dove dieci anni prima erano stati scoperti i primi giacimenti petroliferi, dovesse andare.

Gheddafi era inizialmente un primus inter pares tra militari che condividevano la visione pan-araba e la sete di cambiare la storia ma ben presto, sia per l’aspetto da novello “Che Guevara del Maghreb” in sahariana e occhiali a specchio che per la volontà feroce di prevalere, il Colonnello è diventato il volto, e il corpo, del potere.

A metà degli anni ’70 i suoi compagni di rivoluzione non ne potevano già più e hanno provato a metterlo da parte, risultato: Omar Al Meheishei è stato costretto a riparare precipitosamente prima in Egitto e poi in Tunisia, Beshir Al Hawadi e Hamed Hamza furono arrestati (e solo dopo in parte riabilitati); Abdel Monein Al Huni fuggì per poi rientrare nei ranghi, come Mohammed Najm.
Dal 1975 della cerchia iniziale rimanevano Mustapha Kharrubi, Abu Bakr Junes e Hamdi Khoulidi, promossi generali dell’inutile e mal considerato esercito del raìs: sono ancora con lui ma senza grande peso decisionale.

Resta Abdel Salam Jallud, inizialmente il numero 2 della giunta allontanato una quindicina di anni fa e del quale anche in questi giorni si è parlato come possibile alternativa. In realtà sarebbe fuori dai giochi.
Rimane Gheddafi, alcuni dei suoi figli, della sua tribù di Sirte. La rivoluzione, e la sua fine, sono nelle sue mani. Il settantenne raìs è ancora padrone del suo destino e di quello del suo paese al quale è legato da oltre quattro decenni di comando assoluto come padre della patria e re dei re. Troppo solo per andarsene.

Fonte:ilfatto