Manganelli




di Marco Travaglio – 24 febbraio 2011
Se non fosse quello che è, verrebbe da domandare a B. perché mai da 17 anni si affanni tanto a proporre riforme della giustizia, che quasi sempre non funzionano (le pensa Ghedini) o si rivelano incostituzionali (le scrive Alfano).

Anche senza riforme, con tutte le toghe rosse che turbano i suoi brevi sonni, non s’è mai trovato nemmeno a Milano un giudice che avesse il coraggio di negargli le attenuanti generiche, o in Cassazione uno che lo condannasse in via definitiva, o a Roma un gip che lo rinviasse a giudizio. Che bisogno c’è di sottoporre i pm al governo, quando si sottopongono spontaneamente a lui anche i giudici? Ora vuole separare pure la Polizia giudiziaria dai pm per garantirsene l’obbedienza. Ma non c’è bisogno di cambiare la legge: affinché nessuno osi più disturbare il manovratore, basta colpirne qualcuno per educarli tutti.

Ieri, per esempio, il vicequestore Gioacchino Genchi è stato destituito dalla Polizia dopo 25 anni di onorato servizio “per aver offeso l’onore e il prestigio del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi”. Provvedimento firmato dal capo della Polizia, Antonio Manganelli. Consulente informatico di procure e tribunali, già consulente di Falcone e uomo-chiave nelle indagini sulle stragi del 1992, Genchi ha fatto arrestare e condannare centinaia di mafiosi, stragisti, estorsori, assassini, sequestratori, trafficanti di droga e colletti bianchi (ultimi della serie, Cuffaro e Dell’Utri). Non contento, ha collaborato alle indagini di Luigi De Magistris sul malaffare politico-affaristico-giudiziario in Calabria e Basilicata, guadagnandosi l’ostilità di destra, centro e sinistra. Insomma ha dato fastidio alle mafie e alle cricche bipartisan che infestano il Paese. Due anni fa, Manganelli l’aveva sospeso dal servizio per aver risposto su Facebook a un cronista che gli dava del bugiardo. E l’aveva risospeso per aver rilasciato un’intervista sul suo ruolo di consulente. Due condotte ritenute “lesive per il prestigio delle Istituzioni e per l’immagine della Polizia”.

Un anno fa terza sospensione, quella letale, preannunciata da Panorama e sollecitata da una minaccia dell’apposito Gasparri (“Se Manganelli si avvalesse ancora di un simile personaggio, la cosa sarebbe sconcertante e non priva di conseguenze”). Motivo: Genchi, a un convegno degli amici di Grillo e al congresso Idv, ha osato criticare B. per la scandalosa strumentalizzazione dell’attentato di Tartaglia (il suo medico millantò una “prognosi di almeno 90 giorni” per un dente rotto). Pensava che anche i poliziotti, per giunta in aspettativa e sospesi dal servizio, fossero liberi cittadini con libertà di parola. S’illudeva. Non sapeva che, senz’alcuna riforma, è stato reintrodotto il reato di lesa maestà. Infatti, è proprio l’offesa all’“onore e prestigio del presidente del Consiglio” che gli è costata la cacciata dalla Polizia: offesa che nemmeno B. aveva notato, visto che non l’ha mai querelato.

Ma ormai l’Italia è di sua proprietà e chi tiene alla carriera dev’essere più berlusconiano di B., sterminando gli irregolari, gli spiriti liberi, i cani sciolti che osano stonare nel coro del conformismo bipartisan. Così il capo di quella Polizia che ancora nel giugno 2010 elogiava Genchi per gli “eccellenti requisiti intellettuali, professionali e morali”, l’ha destituito. Invece i poliziotti condannati per la mattanza e le torture al G8 di Genova 2001, per le violenze dell’anno precedente sui no-global a Napoli, per l’omicidio di Federico Aldrovandi e per vari casi di stupri e abusi restano tutti in servizio, anzi qualcuno ha fatto carriera. E l’ex capo della Polizia, Gianni De Gennaro, condannato in Appello per aver indotto il questore di Genova alla falsa testimonianza, coordina felicemente i servizi segreti. Le loro condotte non hanno leso “il prestigio delle Istituzioni” né “l’immagine della Polizia” né tantomeno “l’onore” del premier. La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti: zitto e mena.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano