Una pistola per colpire Ciancimino





di Silvia Cordella – 13 novembre 2010.
“Abbiamo notato il portone spalancato e lo abbiamo chiuso. Tutto a posto da voi?”
Sembra la rassicurazione della solita volante notturna che passa in perlustrazione…

…in via Torrearsa n. 5, a Palermo, uno dei punti ritenuti ‘sensibili’ da quando Massimo Ciancimino ha iniziato a testimoniare in Procura sulle vicende legate alla trattativa del 1992.
Lì per lì la domanda non desta sospetti. Poi, la mattina seguente, dopo una verifica attenta, si apprende che quella notte nessun agente ha citofonato al portone di casa Ciancimino. Scattano così i controlli che portano al ritrovamento, in mezzo ai tubi dell’autoclave, di una pistola calibro nove, carica e col colpo in canna. E questo è l’ennesimo atto di intimidazione nei confronti del figlio dell’ex sindaco di Palermo che subito ha manifestato la sua preoccupazione per l’incolumità della sua famiglia e per la quale speriamo possa ottenere una vigilanza fissa davanti alla sua abitazione. “Non è il primo avvertimento – ha spiegato Ciancimino – e non credo che sia nemmeno l’ultimo, spero solo che non facciano del male ai miei. Ormai sono rimasto solo a combattere una guerra persa in partenza”. Ed ancora, “sono troppo piccolo per rimuovere tutto il marcio di quegli anni”. Sì, perché da quando ha iniziato a parlare il supertestimone è stato oggetto di pedinamenti, intrusioni in casa, minacce di natura incendiaria, lettere e proiettili. A settembre il questore di Bologna e Palermo, dopo una lettera di minacce rivolte al piccolo Vito Andrea, il figlio di 5 anni di Massimo Ciancimino, era stata assegnata una vigilanza alla madre e al bambino. Ora le indagini dovranno chiarire a chi appartiene l’arma e, nel caso ci fossero, di chi sono le impronte sull’impugnatura. Particolare è che l’intimidazione coincida con l’interrogatorio in Procura di Epifania Scardino. L’anziana moglie di don Vito convocata urgentemente a Palazzo di Giustizia dai magistrati, all’indomani delle dichiarazioni rilasciate da Massimo Ciancimino alla trasmissione televisiva “L’infedele”, di Gard Lerner, durante la quale ha parlato degli incontri milanesi degli anni Seattanta fra Vito Ciancimino e l’allora giovane imprenditore Silvio Berlusconi. “Mio marito incontrò due o tre volte Silvio Berlusconi dopo il 1972”, avrebbe detto la madre di Massimo ai procuratori Nino Di Matteo e Paolo Guido. “Si parlò di soldi da investire”. E almeno in uno di quegli incontri “c’ero anch’io”. Quello “fu un incontro d’affari” avvenuto “in un ristorante di Milano in via Diaz”. Il verbale è stato secretato ma dalle prime indiscrezioni è già chiaro che la testimonianza della Signora Scardino è stata più dettagliata rispetto a quella rilasciata l’estate scorsa quando aveva parlato per la prima volta ai magistrati dei rapporti fra suo marito e Silvio Berlusconi. Elementi che saranno usati dalla magistratura a suffragio di varie ipotesi investigative che metterebbero in relazione l’inizio dell’impero berlusconiano con gli investimenti mafiosi al Nord. Tra cui quelli che Ciancimino Senior avrebbe realizzato attraverso i suoi prestanome, Francesco Bonura e Salvatore Buscemi. I due costruttori palermitani, poi condannati per mafia, che negli anni Sessanta e Settanta avevano curato gli interessi economici dell’ex sindaco di Palermo nel settore dell’edilizia e poi, con lui, ne avevano reinvestito i profitti all’ombra della Madonnina partecipando (ha raccontato Massimo Ciancimino lo scorso febbraio al processo Mori), “allo sviluppo di una grandissima area edificabile attorno a Milano”. Opera che l’ex sindaco avrebbe definito “faraonica”. Una conferma quella della moglie dell’ex sindaco sugli interessi di suo marito nel capoluogo lombardo che, seppur parziale, si aggiunge ad un’altra di recente scoperta. Questa volta più tecnica. La datazione da parte della Polizia scientifica di Roma di un promemoria di don Vito sui suoi affari milanesi in un periodo conclamato fra il 1987 al 1992. Tutti pezzi di un mosaico che per ora sembrano confermare l’esistenza di un rapporto di cui mai nessuno ha approfondito e che risalirebbe ad un’epoca in cui Vito Ciancimino, sebbene incensurato, era già stato indicato dalla Commissione parlamentare antimafia come politico vicino alla mafia di Corleone. Cosa che probabilmente non avrebbe impedito all’allora giovane imprenditore di accettare un ipotetico rapporto d’affari con lui. A questo riguardo c’è ancora un dato che potrebbe essere associato alla recente testimonianza della Signora Ciancimino. E’ quello relativo alle affermazioni dell’ex dirigente di banca Giovanni Scilabra, il quale ha raccontato che negli anni Ottanta Vito Ciancimino si era presentato insieme a Marcello Dell’Utri nel suo istituto di credito per chiedere un credito di 20 miliardi di lire in favore della Fininvest. Tutte dichiarazioni che dovranno essere riscontrate naturalmente ma che intanto potrebbero confluire nel fascicolo delle indagini aperte a Palermo sulla trattativa fra Stato e mafia del 1992. In particolare a supporto della tesi che riguarda la terza ed ultima parte della trattativa raccontata da Massimo Ciancimino ai magistrati. Quella cioè che vedrebbe al posto di don Vito, oramai “bruciato” dal suo stesso curriculum e “scaricato” da Provenzano e dai carabiniari, il coinvolgimento di Marcello Dell’Utri come nuovo interlocutore nei rapporti fra Stato e mafia.
Fonte:Antimafia

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