"Era sicario di Cosa nostra", la figlia del boss riconosce "faccia da mostro"

Di lui aveva parlato per la prima volta Luigi Ilardo, mafioso infiltrato dai Carabinieri al seguito di Bernardo Provenzano, ucciso appena prima di fare il salto e diventare collaboratore di giustizia. Giovanni Aiello, alias “faccia da mostro” per una cicatrice che gli ha deturpato il volto (una fucilata) secondo Ilardo sarebbe stato presente in molti delitti misteriosi come il fallito attentato all’Addaura dell’estate dell’89, organizzato ai danni del giudice Giovanni Falcone, o l’omicidio del poliziotto palermitano Nino Agostino (ucciso insieme alla moglie nello stesso anno).

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“Faccia da mostro”, Paolilli e l'immagine di uno Stato infedele

L’unico punto di raccordo tra Emanuele Piazza ed Agostino è dato da Arnaldo La Barbera, capo della Squadra mobile di Palermo. Il processo Borsellino quater sta ponendo l’accento sul depistaggio avvenuto durante le indagini della strage di via d’Amelio. Un’azione che avrebbe avuto in La Barbera ed altri funzionari i protagonisti. E’ sempre La Barbera a chiamare Paolilli per indagare sul caso Agostino

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Stato-mafia, è partita la carica

Dall’Unità a Libero, dal Corriere al Foglio, è un gigantesco fiorire di balle a sostegno del generale Mori, a processo per la mancata cattura di Provenzano. Il motivo? Questo processo ne influenzerà un altro, molto più importante.
Entro fine luglio, con la sentenza di primo grado a Palermo sulla mancata cattura di Provenzano nel 1995 da parte del Ros, sapremo se per il Tribunale il generale Mario Mori favorì il boss in seguito alla trattativa avviata nel ’92 tramite Vito Ciancimino. Il pm Nino Di Matteo ha chiesto la sua condanna a nove anni. E la sentenza, sia pur circoscritta a quel singolo episodio, influenzerà il processo appena iniziato contro cinque esponenti dello Stato e cinque di Cosa Nostra accusati di aver ricattato i governi Amato, Ciampi e Berlusconi-1 perché spuntassero le armi dell’antimafia in cambio della fine delle stragi.

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