Traffico rifiuti, in Tunisia sequestrati 212 container italiani: ora devono tornare qui

Legambiente: «L’Italia è un paese esportatore di rifiuti e la Campania è la prima regione del nostro Paese a dover spedire altrove i propri, non avendone chiuso il ciclo di trattamento e smaltimento sul territorio»

di
Luca Aterini

Il più grande scandalo ecologico nella storia della Tunisia ha a che fare coi rifiuti italiani, e adesso è arrivato il momento che il nostro Paese se ne prenda la responsabilità.

Dopo le proteste degli attivisti tunisini dei giorni scorsi, davanti all’ambasciata italiana a Tunisi (con plateali cartelli come quello che riportiamo in foto, ndr), adesso è anche Legambiente a chiedere al Governo di «intervenire urgentemente per riportare i rifiuti campani trasferiti in Tunisia, in attesa di rivalersi nei confronti dei responsabili del traffico all’esito del procedimento giudiziario», che si è avviato a dicembre 2020 come abbiamo riportato allora su queste colonne.

Ad oggi ci sono ancora 212 container di rifiuti provenienti dalla Campania e bloccati nel porto di Sousse da più di otto mesi; container sotto sequestro preventivo, con un costo di 26 mila euro al giorno per una cifra ormai di circa sette milioni di euro.

Si tratta di una vicenda – ricordano da Legambiente –  iniziata nell’autunno del 2019 con la firma di un contratto tra un’azienda con sede a Polla in provincia di Salerno e un’azienda tunisina per l’invio di 120mila tonnellate di rifiuti “non pericolosi” in Tunisia. Il primo carico parte dal porto di Salerno a maggio scorso, una volta ottenute le autorizzazioni dalla Regione Campania. Ma i container, ispezionati dalla Dogana di Sousse «non contengono rifiuti plastici, come denunciato – spiegano dal Cigno verde –  ma altri scarti di ogni tipo, che proverebbero, senza nessun trattamento preventivo, dalla raccolta differenziata domestica prodotta da sedici comuni del Cilento».

Perché è utile ricordare che questi rifiuti non si azzerano affatto, anche una volta suddivisi in tanti sacchetti colorati. A valle è imprescindibile una filiera industriale per poterli avviare a riciclo, ma anche a recupero energetico e a smaltimento per le parti non recuperabili. Che rimarranno sempre, in parte: oggi il 20% di quanto raccogliamo in modo differenziato  è composto da scarti non riciclabili, e a sua volta il riciclo – come tutti i processi industriali – genera nuovi scarti. Senza dimenticare che la raccolta differenziata riguarda essenzialmente imballaggi e umido (in totale sono 18,5 le milioni di tonnellate raccolte nel 2020), mentre noi produciamo un totale di rifiuti assai più ampio: 173 milioni di tonnellate l’anno, tra urbani e speciali. E da sole, le operazioni di risanamento e trattamento rifiuti rappresentano la seconda voce di produzione di rifiuti speciali.

L’Italia che preferisce vagheggiare di economia circolare senza però volersi dotare degli impianti conseguenti – il 51% degli italiani vorrebbe un impianto di riciclo almeno a 10 km di distanza da casa, figurarsi inceneritori o discariche – finisce così per sparpagliare i rifiuti all’estero, in modi non sempre legali.

Sono in corso indagini volte ad accertare eventuali responsabilità per il traffico di rifiuti dalla Campania verso la Tunisia, e Legambiente Campania intende costituirsi parte civile. Per questo, ha fatto richiesta di indicazione del procedimento e della persona offesa alle procure della Repubblica presso i tribunali di Salerno e di Potenza.

«A riprova della gravità di quanto emerso, il 22 dicembre 2020 – dichiara la presidente di Legambiente Campania Mariateresa Imparato – in Tunisia dodici persone, tra cui il Ministro dell’ambiente Mustapha Laroui, sono state arrestate e altrettante indagate per i medesimi fatti e la Regione Campania ha bloccato le spedizioni e chiesto alle società interessate di riportare i container in Italia, denunciato la vicenda alla Procura della Repubblica di Salerno. Risultano inoltre ancora in corso indagini anche da parte della Procura della Repubblica di Potenza».

Nella sua richiesta l’associazione ambientalista ha evidenziato che, secondo le indagini in corso in Tunisia, i rifiuti in questione sarebbero destinati allo smaltimento in discarica o all’incenerimento, dunque, tipologia non idonea all’esportazione tra paesi Ue ed extra Ue, secondo la convenzione di Basilea e di Bamako, le cui norme dispongono che i movimenti transfrontalieri sono possibili solo ove il rifiuto sia effettivamente destinato al riciclo. Che a ricevere i rifiuti in Tunisia, inoltre, sarebbe stata un’azienda fantasma che, in ogni caso, non avrebbe potuto procedere al trattamento finalizzato al riciclaggio dei materiali.

«L’Italia è un paese esportatore di rifiuti e la Campania è la prima regione del nostro Paese a dover spedire altrove i propri, non avendone chiuso il ciclo di trattamento e smaltimento sul territorio – concludono Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, e Mariateresa Imparato – Un business importante che vede proprio nel trasporto l’affare principale in cui, come da sempre denunciamo, si insidiano più facilmente le ecomafie, a danno dell’ambiente, della salute, dell’economia sana e delle tasche dei cittadini».

Un problema enorme, quello del turismo dei rifiuti, che non riguarda solo dinamiche illegali ma avviene ogni giorno alla luce del sole. Una recente indagine Utilitalia ha mostrato come, guardando solo agli urbani, il turismo rifiuti arrivi ormai a percorrere 49 milioni di km l’anno. Allargando lo sguardo a tutti i rifiuti speciali le distanze percorse prima di arrivare agli impianti arrivino a un quantitativo enorme: 1,2 miliardi di km percorsi ogni anno, senza contare le tratte fuori confine.

fonte: greenreport.it