Carceri: civiltà, aiuto ai deboli, rigore con la mafia
di Sebastiano Ardita
Sì, è questo il mio pensiero
In un articolo di oggi sul riformista Franco Corleone
ricorda la mia posizione sul carcere, che ho sempre ritenuto l'”extrema
ratio”, con i suoi “non luoghi” che impediscono spesso il recupero
della personalità. Ricorda il mio rammarico per una carcerazione che ha
spesso obbedito a scelte emozionali facendo finire dietro le sbarre
tossicodipendenti ed extracomunitari insieme ad una grande parte che
viene definita della “sottoprotezione sociale”.
Sono le mie idee di
sempre quelle che ribadisco in ogni convegno ed in ogni pubblicazione
ricordando come questo sistema abbia spesso favorito mafiosi, capi e
favoreggiatori di cosa nostra col colletto bianco che l’hanno fatta
franca. Quindi è un argomento di stragrande attualità.
Quando ero direttore dell’ufficio detenuti mi sono battuto per la civiltà della pena e come ricorderà Franco Corleone,
ho diramato le circolari – tuttora vigenti – che hanno istituito e
regolato per la prima volta l’area educativa. Nel 2007 avviai una
indagine statistica da cui emergeva che in quell’anno erano entrate in
carcere circa 97.000 persone e ne erano uscite 90.000. Una gran parte
erano disperati.
Ho stimolato la legislazione per limitare il
fenomeno delle cd porte girevoli – gli arresti per pochi giorni per gli
autori di piccoli reati, che diventano occasione di reclutamento
criminale – mi sono battuto perché il carcere riguardasse la criminalità
organizzata e i personaggi pericolosi. Ed anche per questi ultimi ho
preteso che si applicassero tutte le regole dell’ordinamento
penitenziario senza abusi e senza sconti: non ricordo un mafioso o un
personaggio di spicco uscito dal carcere solo perché l’amministrazione
penitenziaria non fosse riuscita ad assicurare assistenza sanitaria,
ovvero non avesse compiuto ogni sforzo per assicurarla.
Perché so
bene che nel sistema di democrazia ogni mancanza o abuso nei confronti
di un detenuto provoca un contraccolpo che va dalla sua scarcerazione
fino alla messa in stato di accusa, per inciviltà, dell’intero sistema
penitenziario. Perché sicurezza e civiltà della pena si tengono insieme
in un perfetto equilibrio. Ed è la rottura di questo equilibrio che ha
prodotto quello che è accaduto in questi giorni.
Franco Corleone
sa bene che chi beneficia del caos e dell’assenza delle regole sono i
vertici delle associazioni mafiose, come si può capire bene leggendo la
sua pregevole indagine sulla mafia di Catania negli anni ’80, quando era
componente della commissione antimafia.
Si tratta di un bel documento di cui lui certamente avrà memoria.
La
cultura della prevenzione della mafia, caro Franco, è amore per la
libertà, solidarieta, condanna di ogni prevaricazione, difesa dei deboli
che sono le vere vittime della mafia, dentro e fuori dal carcere.
Se escono i capi mafia perde lo Stato, perde la solidarietà, perdono gli ultimi, non perde solo l’antimafia.
Questo
riguarda anche gli spazi. Aprire gli spazi interni al carcere dentro le
regole è una battaglia di civiltà. Aprire nel caos consegnando le
carceri ai detenuti ed alle loro gerarchie criminali, significa
amplificare il dominio dei forti sui deboli, dei capi della criminalità
sui detenuti alla prima esperienza, della dannazione sulla speranza di
tornare alla vita normale. Significa condannare alla frustrazione il
personale penitenziario che crede nella rieducazione e nella questione
penitenziaria. Ed è quello che ha portato al cedimento del sistema
carcerario con le conseguenze che tutti possono notare. La rivolta in
cui sono stati esposti i più emarginati, hanno portato con un effetto
domino alla liberazione di 400 mafiosi. Adesso chi è salito sui tetti ne
pagherà le conseguenze; i mafiosi hanno incassato la deficienza del
sistema: le rivolte sono cessate. Il sistema ha ceduto ma la
responsabilità non può essere addossata tutta alla ultima gestione.
Sarebbe il caso che una commissione d’inchiesta si impegnasse per capire
quanto siano complesse radicate ed antiche le responsabilità di quanto è
accaduto.
Il carcere si governa con la civiltà e col rispetto,
avendo cura dei deboli che vogliono essere recuperati, ma senza fare
sconti ai mafiosi, perché ciò significa solo mandare in fumo la vera
ragione per cui esiste: proteggere la società dalla devastante azione
della criminalità organizzata.
Tratto da: facebook.com/sebastiano.ardita.5/posts/3006603959428820