La mafia in Europa: in Germania l’omertà che odora di compromesso
di Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari
“Signora Merkel, rimanga incrollabile!“, è questo il titolo dell’articolo comparso sulla versione online di “Die Welt“, a firma dell’editorialista Christoph B. Schiltz, in cui si chiede al governo tedesco di non cedere alle richieste italiane sui coronabond perché “la mafia aspetta gli aiuti europei“.
Lo diciamo subito. E’ probabile che le organizzazioni criminali tenteranno di inserirsi tra le pieghe dei finanziamenti ed intercettare eventuali liquidità, ma usare l’argomento per abbandonare l’Italia al suo destino in questo gravissimo momento di emergenza è un fatto grave ed estremamente pericoloso, perché senza l’intervento dello Stato, anche grazie al contributo dell’Unione Europea, si rischierebbe di consegnare alle mafie una grossa fetta del Paese. I contributi alle aziende, ai piccoli e medi imprenditori, ai lavoratori e le famiglie, vogliono andare contro questa eventualità: per impedire che le criminalità organizzate, grazie ai fiumi di denaro che hanno a disposizione, rappresentino il nuovo Welfare a cui aggrapparsi.
Il nodo centrale che “Die Welt” fa finta di non conoscere è che quello della mafia non è una “questione italiana”, ma si allarga drammaticamente a tutta l’Europa.
Gli investimenti post muro di Berlino
In
Germania, il silenzio e l’omertà sul tema regnano da anni, nonostante le
numerosissime inchieste condotte tanto dalle autorità italiane, quanto
da quelle straniere, dimostrino come, proprio in Germania, la mafia
abbia investito pesantemente “contribuendo” alla crescita economica del
Paese. Perché Cosa nostra, ‘Ndrangheta e Camorra continuano ad essere
floride anche grazie ai soldi, provenienti dal traffico di droga,
riciclati in Germania nell’acquisto di appartamenti, alberghi, pizzerie e
ristoranti ed hanno partecipazioni in ditte e aziende tedesche. I boss
mafiosi, negli anni Novanta, venivano intercettati mentre parlavano
degli investimenti da compiere a Berlino Est. Ricordo anche che in
un’intervista, il collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo mi disse che
già negli anni Ottanta c’era l’ordine di investire capitali in terra
tedesca perché erano stati informati che da lì a poco sarebbe caduto il
muro di Berlino. Lo disse anche quando fu sentito davanti alla
Commissione parlamentare antimafia: “Quando si parlava della legge di Pio La Torre – racconta il pentito riferendosi a quello che poi è diventato il 416 bis –, siamo nei primi mesi del 1982, Madonia (Nino, boss del mandamento di Resuttana, alleato dei Corleonesi, ndr) ci
consigliò, a me e a Micalizzi, poiché sapeva che lavoravamo a pieno
ritmo con l’eroina, di non correre rischi. Ci disse che, se avessero
approvato questa legge, ci avrebbero tolto i soldi e ci proposero di
investirli in Germania dove c’era tranquillità“. Quei flussi di
denaro, che membri di spicco e intermediari delle varie famiglie mafiose
investivano in modo massiccio in imprese legali, erano funzionali per
rimettere in piedi l’economia tedesca dalla magra esperienza sovietica.
Poco importa se al contempo si alterava la legge del libero mercato.
Tutto avveniva senza alcun controllo reale.
L’articolo pubblicato su Die Welt
Nel libro “Le mafie sulle macerie del muro di Berlino” (ed. Diarkos), scritto a quattro mani dalla giornalista Ambra Montanari e l’eurodeputata Sabrina Pignedoli, Bernd Finger, ex investigatore capo della BKA, racconta come al tempo: “Arrivavano
con valigette piene di contanti, volevano comprare edifici e terreni
agricoli. I funzionari la ritenevano una cosa curiosa, ma non era nulla
di illegale all’epoca. All’epoca non ci furono indagini, nulla di quello
che veniva registrato era illegale“. Flussi di denaro che non si sono mai sopiti.
Nel 2014, il Procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato avvisava: “La
mafia in Germania vuole che i tedeschi pensino che non esista. Non ha
più bisogno di essere violenta. Può sedurre con il capitale. Il mondo
oggi rischia di essere conquistato dalla mafia tramite la seduzione del
capitale e Paesi come la Germania sono ad alto rischio“. E continuava: “Quando
non si cerca di capire la fonte dei soldi, e si accetta l’ingresso
indiscriminato di capitale nel proprio paese, allora è la moralità
stessa di un popolo che è a rischio. In tempi di crisi come oggi, il
potere del denaro e della corruzione possono diventare un’epidemia che
scuote una società dalle fondamenta. La Germania deve decidere se
accogliere la mafia, o combatterla”.
Il post “strage di Duisburg”
Di tutto questo,
però, nel Paese tedesco non si è mai parlato nonostante, il 15 agosto
2007, il silenzio e l’invisibilità mafiosa sono stati squarciati dalla
strage di Duisburg, in cui vennero assassinati con 55 colpi di arma da
fuoco sei ragazzi (Marco Marmo 25 anni, Francesco Giorgi 16 anni, Francesco Pergola 22, Marco Pergola 19, Sebastiano Strangio 38, Tommaso Francesco Venturi
18). L’intero Paese si svegliò scioccato e per la prima volta iniziò a
rendersi conto di quanto la mafia fosse permeata nel sistema sociale ed
economico tedesco. Ma non è bastato. Poiché dopo quell’evento non si
sono ripetuti altri atti di violenza, anche per la sommersione attuata
dalla ‘Ndrangheta, l’opinione pubblica tedesca è tornata a sottovalutare
il problema. Ma la verità è che la criminalità organizzata calabrese in
Germania può contare sull’insediamento di una cinquantina di “locali”
attive. Qui trovano residenza famiglie importanti. Tra queste, le più
influenti sono i Farao di Cirò Marina, i Giglio di Strongoli, i Maesano di Isola Capo-Rizzuto, i Mazzafferro di Gioiosa Jonica, i Morabito di Africo, i Muto di Cetraro, i sanlucoti Nirta-Strangio, Pelle-Vottari (in guerra tra loro) ma in Germania si spingono anche gli affari dei grandi narcotrafficanti, come i Piromalli di Gioia Tauro, gli Ursino di Gioiosa Ionica e i sanlucoti alleati Romeo (Staccu) – Pelle (Gambazza), Giorgi e i Mammoliti.
Clan che, come emerso da più indagini, sono presenti in quasi tutte le
principali città tedesche. In un’intercettazione il giovane Vincenzo Farao, figlio di un boss di Cirò Marina, spiega: “In Germania possiamo fare tutto”. In un’altra Luigi Muto, trait d’union con la cellula tedesca affermava senza mezze misure che “la Germania è una lavanderia”.
Ma anche Cosa nostra, Stidda, Camorra e Sacra Corona Unita hanno delle
loro “rappresentanze” nel territorio. Del resto non è un caso che
proprio in Germania, negli ultimi tempi sono stati arrestati diversi
latitanti. Lo sa la Bka, ovvero la polizia federale tedesca, che ha
inviato un importante report alla Procura di Catanzaro, confluito agli
atti dell’operazione Stige. Nelle pagine di “Die Welt“, però,
di questi argomenti non si parla. Tantomeno si affrontano i motivi per
cui sia stata possibile una tale infiltrazione nel Paese.
Normativa assente
E il motivo è presto detto. In Germania, così come nel resto d’Europa (eccetto l’Italia, ndr),
non vi è una normativa all’altezza in grado di contrastare la
proliferazione del fenomeno. Basti pensare che a tutt’oggi non esiste il
reato di associazione per delinquere di tipo mafioso, che permette di
aprire indagini anche solo sulla base di una sospetta appartenenza a una
cosca. Le indagini indipendenti, ovvero non legate ad una richiesta
d’aiuto in rogatoria dall’Italia, nei rari casi in cui si fanno, per
potersi concludere con successo richiedono che si riesca a dimostrare la
colpevolezza rispetto a reati previsti dall’ordinamento giuridico del
Paese – come traffico di droga, riciclaggio, banda armata, rapina e così
via.
Poi c’è il problema, non da poco, della normativa sul sequestro dei beni.
Di recente lo ha spiegato bene il procuratore aggiunto di Firenze, Luca Tescaroli: “Le
misure di prevenzione patrimoniali sono prive di un riconoscimento in
Europa. Si cerca di affrontare il tema attraverso l’utilizzo di uno
strumento che è messo a disposizione da una convenzione del Consiglio di
Europa siglato a Varsavia nel 2005 sul riciclaggio, la ricerca, il
sequestro e la confisca dei proventi dei reati. Vi è una norma, all’art
21.1, che consente di inoltrare una richiesta per l’azione al fine della
confisca, ma la possibilità concreta dell’utilizzo dello strumento, e
quindi raggiungere l’obiettivo del congelamento del bene, viene rimesso
alla volontà dello Stato a cui viene richiesto. Vi sono delle difficoltà
derivanti dalle tempistiche. Perché non vi è un meccanismo che consente
l’immediata esecuzione all’estero e occorre sempre passare dalla
rogatoria con la complessità dei rapporti con lo Stato richiesto e la
necessità delle traduzioni“.
A ciò si aggiungono i limiti
d’indagine per gli inquirenti con l’impossibilità di effettuare
intercettazioni all’estero, o le numerose difficoltà per far valere le
rogatorie nella verifica dei sistemi di riciclaggio. Si vive così una
situazione paradossale in cui la libertà di movimento permette alla
mafia di agire senza difficoltà mentre l’azione di contrasto non ha gli
strumenti e quelle tempestive che sarebbero necessarie per aggredire
l’azione mafiosa.
La strage di Duisburg
La Crim e l’impegno per il testo unico
Nel 2013, la Commissione CRIM (sul crimine organizzato, la corruzione e il riciclaggio di denaro), presieduto allora da Sonia Alfano (figlia del giornalista Beppe Alfano, ucciso dalla mafia, ndr),
aveva ottenuto a Strasburgo l’approvazione di un testo unico antimafia
nel tentativo di armonizzazione delle norme a livello europeo. Nel
documento, alla cui redazione partecipò anche la compianta Rita Borsellino,
si chiedevano: l’introduzione del reato di associazione mafiosa in
tutti gli ordinamenti degli Stati membri; l’abolizione del segreto
bancario; l’esclusione da gare d’appalto per aziende condannate con
sentenza passata in giudicato per reati di criminalità organizzata,
corruzione, riciclaggio; la confisca dei beni, anche attraverso misure
di confisca in assenza di condanna, e il riutilizzo a scopi pubblici e
sociali dei patrimoni confiscati; il reato di voto di scambio che
contempli anche vantaggi immateriali; previsione di ipotesi di
incandidabilità, ineleggibilità e decadenza da cariche pubbliche; codici
di condotta molto più rigidi per i partiti politici (es. controllo del
finanziamento pubblico ai partiti) e una maggiore protezione dei
testimoni di giustizia. Da allora, però, negli stati membri Ue tutto è
rimasto pressoché invariato. Se si fosse fatto qualcosa, se il problema
mafia fosse stato affrontato come una questione Europea, forse, oggi ci
sarebbero molti meno problemi sul piano economico e questo “cancro”,
capace di condizionare una democrazia e mietere vittime tanto quanto il
coronavirus, sarebbe notevolmente indebolito. Una soluzione ad una
problematica così globale è chiaro che non può essere trovata solo
dall’inasprimento delle leggi di un singolo Paese ma deve essere
affrontato in una maniera globale così come ha sempre chiesto Giovanni Falcone
e per questo serve urgentemente una normativa, quantomeno a livello
europeo, che colmi questi vuoti. Di questi argomenti dovrebbero parlare i
quotidiani tedeschi, così come i politici nostrani che, come Salvini,
Meloni ed affini, strumentalizzano il caso per attaccare la Germania e
l’Unione Europea, senza considerare che i primi che stanno osteggiando
l’invio di aiuti e l’impiego di eurobond, perché vi è un rischio mafia,
sono proprio i cosiddetti “compagni di gruppo al Parlamento europeo“. I politici sono sempre pronti a fare propaganda così come certi giornali mescolano “il vero con il falso”
per raccontare una verità dimezzata. E’ vero che in Italia corruzione e
mafia, due facce della medesima medaglia, hanno assunto una forma più
forte. La differenza è che nel nostro Paese, dove vi sono state stragi e
a causa delle mafie hanno perso la vita magistrati, politici,
funzionari di polizia, militari, imprenditori, giornalisti, preti, e
cittadini inermi, abbiamo gli strumenti per scovare e colpire certi
criminali. All’estero no. Prima di parlare l’Europa, la Germania in
primis, dovrebbe guardarsi allo specchio e rompere quel muro d’omertà,
sul tema mafia, che odora di compromesso.
Foto di copertina © Imagoeconomica
fonte: antimafiaduemila.com