Ergastolo ostativo, Csm, stragi e mandanti esterni: Nino Di Matteo intervenuto a ”Mezz’ora in più”
“Su benefici ai boss servono paletti del legislatore”
Il pm intervistato da Lucia Annunziata: “La magistratura o cambia o sarà cambiata a colpi di riforme”
di Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari
Il
ruolo del Consiglio superiore della magistratura, le correnti, la
riforma della giustizia, la lotta alla mafia, le sentenze della Cedu e
della Corte costituzionale sull’ergastolo ostativo, le inchieste sulle
stragi. Sono questi alcuni degli argomenti toccati nell’intervista che
Lucia Annunziata, conduttrice del programma di Rai 3“Mezz’ora in più”, ha fatto al magistrato Nino Di Matteo,
recentemente eletto consigliere al Csm. Non era la prima volta che il
pm interveniva su questi temi ma rispondendo alle domande ficcanti della
storica giornalista ha avuto modo di spiegare ancora ulteriormente il
significato di certe affermazioni che negli ultimi mesi erano state
strumentalizzate dando adito ai soliti attacchi di ambienti della
politica e degli organi d’informazione.
Ciò era avvenuto quando, durante la presentazione dei programmi all’Anm, parlando delle correnti aveva denunciato le degenerazioni “laddove
l’appartenenza a correnti o cordate è diventata l’unica possibilità di
sviluppo di carriera e di tutela in momenti di difficoltà e di pericolo.
E questo è un criterio molto vicino alla mentalità e al metodo
mafioso”.
Oggi Di Matteo, invitato a chiarire quel pensiero, è stato estremamente chiaro: “Io
non ho mai paragonato le correnti della magistratura alla mafia. Ho
solo detto che se il criterio dell’appartenenza a questa o quella
corrente fosse usato come l’unico decisivo ai fini di una nomina di un
magistrato ciò è molto connotato anche nelle organizzazioni mafiose dove
chi non appartiene a una organizzazione è visto come nemico e persona
da tenere alla larga”.
E poi ancora: “Io ritengo che i fatti
emersi recentemente, l’inizio della scorsa estate, dell’inchiesta
perugina ci devono indignare ma non ci devono sorprendere e soprattutto
non ci devono piegare. Non ci devono far rassegnare a un’idea di
magistratura malata. La magistratura italiana ha scritto delle pagine
altissime di resistenza costituzionale, di democrazia, di libertà e di
impegno civile. Purtroppo nell’ultimo periodo si era fatto spazio un
certo collateralismo politico, soprattutto nell’autogoverno della
magistratura, e si era fatto troppo ricorso, per decidere nomine e
carriere, al criterio dell’appartenenza a una corrente. E’ un criterio
inaccettabile perché aggira la meritocrazia e l’autonomia e
l’indipendenza della Magistratura e del singolo magistrato. Questi
devono essere tutelati e l’autogoverno del Csm è il primo baluardo
dell’autonomia e dell’indipendenza del singolo magistrato a prescindere
dall’appartenenza del magistrato ad una corrente, ad una cordata e a
prescindere dal pensiero politico del magistrato. L’autonomia e
l’indipendenza dei magistrati non è un privilegio della casta dei
magistrati ma una garanzia di libertà dei cittadini, soprattutto per i
più deboli e soprattutto di coloro i quali hanno un pensiero diverso
rispetto i governanti di turno. Sono certo che sotto la guida del
presidente Mattarella il Csm saprà emendarsi dalle colpe passate. Perché
sono convinto che o cambiamo noi magistratura, abbandonando per sempre
quelle patologie di cui ho parlato, o ci cambiano altri, magari a colpi
di riforme e ordinamenti. Temo che possa trovare spazio quella eterna
voglia di parte del potere italiano di ricondurre la magistratura in un
alveo diverso; di normalizzare la magistratura e renderla in qualche
modo collaterale e servente rispetto ai grandi poteri politici,
economici e finanziari”.
L’estromissione dal Pool stragi
Tra le domande della giornalista anche quella sullo scontro avuto con il Procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho che, a seguito dell’intervista di Andrea Purgatori per la trasmissione Atlantide,
andata in onda nel maggio scorso, lo ha estromesso dal pool che indaga
sulle stragi e sui mandanti esterni. Ovviamente il pm non è entrato
nello specifico della querella (il caso è oggetto di valutazione al
Csm), ma ha evidenziato come “in quell’intervista non mi è scappato
nulla che non avrei voluto dire. Oggi rifarei quell’intervista perché
non ho rilevato nulla di segreto ma ho semplicemente messo in fila
quello che di pubblico c’è nelle sentenze, negli atti processuali
depositati che riguarda un argomento scottante che deve essere ancora
approfondito e cioè la possibilità, per non dire la probabilità, che
insieme a uomini di Cosa nostra ci sia una responsabilità, per le stragi
del ’92 e del 93 e per il fallito attentato all’Olimpico del ’94 di
persone di ambienti che non sono mafiosi. Io ho messo in fila tutta una
serie di elementi noti invitando in questo modo alla riflessione e,
spero, all’approfondimento da parte degli uffici giudiziari competenti,
ma io direi da parte del Paese che deve ancora avere la volontà e la
consapevolezza di approfondire. Perché sulle stragi si sa molto ma non
si sa tutto”.
Berlusconi-Dell’Utri e le stragi
Nel corso dell’intervista, partendo dall’ormai prossima citazione dell’ex Premier Silvio Berlusconi al processo d’appello sulla trattativa Stato-mafia (processo che ha visto Di Matteo come rappresentante dell’accusa assieme a Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia in primo grado, ndr)
e dalla notizia che proprio Berlusconi e Dell’Utri sono indagati a
Firenze per le stragi del 1993 e del 1994, l’Annunziata ha anche
ricordato le reazioni di alcuni politici come Matteo Salvini e Matteo Renzi che hanno gridato allo scandalo, argomentando che su Berlusconi non vi è uno “straccio di prova”. “Evidentemente questo paese sconta deficit di memoria su questi fatti – ha ricordato ancora il magistrato –
Voglio riferirmi alla sentenza di Cassazione che ha condannato il
senatore Dell’Utri per concorso in associazione mafiosa. In quella
sentenza viene consacrato un dato: nel 1974 venne stipulato un patto tra
le più importanti famiglie mafiose palermitane e l’allora imprenditore
Berlusconi, questo patto è stato rispettato almeno fino al 1992 da
entrambe le parti. Dell’Utri è stato condannato come intermediario di
quel patto che ha visto protagonista anche l’allora imprenditore
Berlusconi”. Di Matteo ha anche ricordato che la sentenza di primo grado sulla trattativa Stato-mafia ribadisce che “quel
ruolo di intermediario di Dell’Utri è stato tenuto anche
successivamente, fino al 1994, quando l’onorevole Berlusconi era
diventato presidente del Consiglio e quando, lo ricorda la sentenza,
continuava a versare centinaia di milioni di vecchie lire a Cosa nostra.
Questo elemento, sancito dalle sentenze, viene completamente ignorato
da gran parte dell’opinione pubblica e da una parte della politica.
Quando si parla di indagini ‘senza uno straccio di prova’ non si attesta
il vero. Si dimentica che c’è una base, una piattaforma sancita da
sentenze definitive che ha riguardato i rapporti tra esponenti piccoli
di Cosa nostra e Silvio Berlusconi. Su questa base si
sono innestate altre dichiarazioni di importanti collaboratori di
giustizia che hanno fatto anche riferimento ad una possibile
compartecipazione, in qualche modo, alla strategia stragista mafiosa da
parte di questi due soggetti. E quindi le indagini sono doverose. A me
stupisce lo stupore”. E poi ha aggiunto: “E’ un po’ calata
l’attenzione sulla necessità di approfondire tutte quelle piste
investigative che portano a ritenere che insieme a Cosa nostra altri
abbiano delle responsabilità. Quelle del 1993 sono stragi anomale. Che
certamente non sono state fatte per mera vendetta”.
E alla domanda se un tale metodo stragista sia stato abbandonato o meno Di Matteo ha risposto di essere “prudente a dire che Cosa nostra abbia abbandonato la strategia stragista”. Secondo il pm
“la storia di Cosa nostra insegna che hanno cambiato strategia a
seconda dei momenti. Ci sono momenti in cui preferiscono tenere un
profilo basso sotto il profilo del mancato attacco alle istituzioni. Ma
sono sempre pronti a riorganizzarsi se è vero, non aspetta a me dirlo,
che solo 4-5 anni fa era stato predisposto un attentato in confronti di
un magistrato in servizio a Palermo. Che era stato già comprato
l’esplosivo per poter realizzare questo attentato, allora non è del
tutto vero che la mafia ha abbandonato per sempre la strategia
stragista”. Di Matteo non ha volutamente fatto il proprio nome ed è
stata la stessa Annunziata a ricordare che erano stati comprati
duecento chili di tritolo per ucciderlo e che a condannarlo a morte, dal
carcere, era stato lo stesso Totò Riina.
L’ergastolo ostativo, la Cedu e la Corte Costituzionale
Altro
tema “caldo”, toccato durante la trasmissione, è stato quello delle
recenti sentenze della Cedu e della Corte Costituzionale sull’ergastolo
ostativo. Di Matteo, prima di esprimere il proprio parere sul punto, ha
voluto fare tre premesse. La prima: “L’ergastolo è l’unica vera pena
detentiva a spaventare i capi della mafia. Ricordo sempre che Riina
diceva ai suoi più stretti collaboratori: ‘Noi 15\20 anni di galera
possiamo farli anche legati a una branda, ma dobbiamo batterci a tutti i
costi contro l’ergastolo’”. La seconda: “Proprio il tentativo
di far abrogare o attenuare il regime dell’ergastolo spinse, tra gl
altri obiettivi, Cosa Nostra a ricattare a suon di bombe lo Stato nel
biennio 1992-1994. Sono state commesse delle stragi proprio per ottenere
quel risultato”. La terza premessa: “Fino a poco tempo fa,
poco più di un anno fa, abbiamo avuto contezza da indagini in corso che
dei capi mafia, che hanno partecipato alle stragi e che sicuramente sono
a conoscenza di segreti relativi alla compartecipazione di ambienti
esterni, avevano anche pensato di collaborare con la giustizia ma non lo
hanno fatto proprio perché si attendevano, soprattutto dalle corti di
giustizia europee, l’apertura di un varco che evitasse che l’ergastolo
fosse veramente a vita”. Quindi ha concluso: “Ovviamente
massimo rispetto per la sentenza della Corte costituzionale che muove
dall’esigenza di tutelare diritti costituzionalmente garantiti. Ricordo
anche che le mafie, nella loro espressione più pura, mortificano i
diritti costituzionalmente garantiti dei cittadini ogni giorno. Detto
questo, e in questo senso erano state le mie dichiarazioni, io credo che
sulla scia della sentenza dovremmo cercare di evitare che questo varco
diventi molto più largo e che tutti i benefici possano essere concessi
indiscriminatamente a quelli che hanno ideato le stragi, per esempio”.
“Io auspico – ha proseguito –
che il legislatore metta dei paletti soprattutto sul tipo e la natura
della prova necessaria a verificare che i contatti tra l’ergastolano e
l’organizzazione di appartenenza siano veramente e irreversibilmente
venuti meno. Secondo la mia opinione questa certezza, questa prova, non
può essere desunta solo dalle considerazioni relative alla condotta
carceraria. Perché notoriamente i capi mafia in carcere si comportano
meglio di tutti gli altri. Dovrebbe il legislatore stabilire che tipo di
prova ci vuole per poter fare accedere anche gli ergastolani ai
permessi o ad altri eventuali benefici. Inoltre, come pensano tanti
esperti, potrebbe essere interessante ed opportuno concentrare la
competenza per queste decisioni su un solo tribunale di sorveglianza,
così come avviene per i reclami ed il 41 bis, piuttosto che conservare
la competenza di tanti singoli magistrati di sorveglianza in tutto il
territorio nazionale che potrebbero essere esposti a minacce e pressioni
di tutti i tipi”.
Purtroppo l’Italia, rispetto al resto del
Mondo, rappresenta un unicum e questo è un dato di fatto se si
considera, come ha ricordato Di Matteo, che “abbiamo delle mafie che
hanno raggiunto una potenza che non hanno raggiunto in nessun’altra
parte dell’Europa e del Mondo. E abbiamo in particolare una mafia, Cosa
nostra siciliana, che ha avuto rapporti di collusione ad altissimo
livello, come dicono le sentenze definitive, con esponenti governativi e
con esponenti della politica. La nostra è una situazione eccezionale
che probabilmente la Cedu non ha colto nelle sue sfaccettature”.
Dalla riforma della giustizia alla liberalizzazione delle droghe leggere
Le
ultime domande si sono concentrate su argomenti specifici a cominciare
da alcune riforme che entreranno in vigore con l’anno venturo come
quella sulla prescrizione e quella sulle intercettazioni. “Io sono favorevole alla riforma della prescrizione – ha detto ancora il magistrato –
Ci allineerebbe a molti altri sistemi processuali europei sicuramente
evoluti e credo che alla fine porterebbe ad una tendenziale diminuzione
dei giudizi di Appello e di Cassazione che molto spesso sono portati
avanti da chi è condannato in primo grado solo in attesa di arrivare
alla Prescrizione. Per quanto riguarda la disciplina sulle
intercettazioni telefoniche ambientali e la loro pubblicabilità vada
bene così com’è. Non avverto una necessità di riforma”.
Rispetto al carcere per gli evasori fiscali Di Matteo ha ribadito di essere favorevole “ad
un inasprimento delle pene, soprattutto in quei casi in cui la grande
evasione fiscale alimenta il sistema della corruzione. Costituisce lo
strumento, l’evasione fiscale, attraverso il quale si organizzano
sistemi correttivi importanti. E soprattutto quando a beneficiare e a
sfruttare l’evasione o l’elusione fiscale sono le mafie. E questo
avviene spesso. Abbiamo avuto recentemente un’indagine condotta da varie
Dda e coordinata dalla Procura nazionale antimafia sul gioco
clandestino on line nella quale sono stati contestati tanti reati di
natura fiscale e tributaria oggi sostanzialmente puniti con pene troppo
blande; domani, forse, con pene adeguate”.
No alla liberalizzazione delle droghe leggere
Un
ulteriore tema affrontato è stato quello recentemente rilanciato da
diversi addetti ai lavori sulla liberalizzazione delle droghe leggere.
Secondo il pm “le mafie sanno cambiare le loro strategie
organizzative come il serpente cambia pelle. Se venissero liberalizzate
le droghe leggere verrebbe meno una fonte di sostentamento importante
delle mafie, quella dei traffici e dello spaccio di quelle sostanze, ma
le mafie saprebbero indirizzare subito su altro i loro interessi. Non
ritengo che una riforma in tal senso sarebbe decisiva. Inoltre la mia
opinione personale è contraria alla liberalizzazione delle droghe
leggere. La considererei un momento in cui lo Stato in qualche modo si
arrenderebbe o addirittura flirterebbe ancora di più la diffusione della
sostanza stupefacente”.
In conclusione Di Matteo, rispondendo a Lucia Annunziata
a proposito delle sue possibili simpatie per il Movimento Cinque
Stelle, ha ribadito la propria lontananza da logiche politiche: “Nella
mia carriera e nelle mie esternazioni, intervenendo nel dibattito
pubblico, sono sempre stato indipendente ed ho manifestato il mio
pensiero. Non sono stato mai né organico né collaterale rispetto a
nessuno. E le dico con una dimostrazione evidente rispetto a quello che
ho appeno detto: i Cinque Stelle sono al governo, in due coalizioni
diverse dal 2018. Io non ho ricevuto nessun incarico. Le voci sono
smentite dalla realtà dei fatti. Io voglio continuare ad essere un
magistrato che non vuole essere collaterale rispetto a nessuno. Poi ci
sono delle iniziative di tipo legislativo che mi hanno convinto. Altre
che non mi hanno convinto”.
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Fonte:Antimafiaduemila