Di Matteo: strage di Capaci probabilmente eterodiretta da entità esterne alla Mafia

Atlantide, il programma di Andrea Purgatori andato in onda ieri sera su La7
di Giorgio Bongiovanni – Foto e Video

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E’ una puntata storica quella che è andata in onda ieri sera su La7 nel programma “Atlantide”, di Andrea Purgatori, con un titolo inequivocabile: “Strage di Capaci: le verità scomode”. Finalmente una rete nazionale ha dedicato uno speciale, da mostrare alle giovani generazioni, per raccontare quanto avvenuto in quel tragico 23 maggio 1992 senza seguire lo schema della retorica e dei giri di parole che spesso vengono utilizzati nelle passerelle delle commemorazioni. Una trasmissione in cui sono stati evidenziati i molteplici interrogativi che emergono dietro l’attentato in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani.

il patto sporco integrale

L’inchiesta meticolosa, si è avvalsa dei ricordi e dei contributi di testimoni come il sostituto procuratore Vittorio Teresi, l’ex Presidente del Tribunale di Palermo e ex membro del primo pool antimafia, Leonardo Guarnotta, gli agenti Giuseppe Sammarco (nome in codice Indio), Antonello Marini, Raniero Recupero, Ernesto Casiglia, l’artificiere Antonino Coppolino, per citarne alcuni. Particolarmente efficaci ed emozionanti i flash back con le voci degli interventi radio ed i dialoghi nei momenti dopo la strage, per coordinare i soccorsi di decine di feriti tra cui gli agenti di scorta sopravvissuti (Paolo Capuzzo, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza), a causa dell’esplosione dell’autostrada.
Ma il momento clou è sicuramente stata la parte dedicata alla ricerca della verità. A dare una risposta alle domande di Purgatori, offrendo una chiave di lettura tutt’altro che peregrina ma corroborata in maniera tecnica scientifica dagli elementi emersi nel corso dei processi e delle indagini di questi 27 anni trascorsi dalla strage è intervenuto il sostituto procuratore nazionale antimafia Antonino Di Matteo, ovvero uno dei protagonisti della magistratura degli anni post stragi, che si è occupato in particolare delle indagini su via d’Amelio ma che è anche conoscitore degli aspetti della strage di Capaci e delle probabili connessioni esterne in quanto entrambi questi fatti entrano pienamente nel periodo storico della trattativa Stato-mafia che si svolge in quegli anni, di cui si è occupato più di recente assieme ai pm Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia.
Di Matteo ha così spiegato nel merito che la strage probabilmente è stata eterodiretta e che, oltre all’esistenza di mandanti e concorrenti esterni, si sospetta la presenza di soggetti esterni a Cosa nostra anche nella fase operativa-materiale.
Un altro importante contributo è stato dato dal giornalista-scrittore Saverio Lodato, nostro editorialista, che per la prima volta ha raccontato alcuni retroscena di quell’intervista che gli rilasciò Falcone dopo l’attentato all’Addaura (dove il magistrato parlò delle “menti raffinatissime”) rivelando che fu convocato da Falcone nella sua abitazione al mare. Ha ricordato di aver visto un uomo che era solo ma determinato a lasciare un messaggio che potesse essere inteso sia da chi governava in quel momento ma anche da chi era all’opposizione, facendo intendere quel che aveva capito, ovvero che Cosa nostra è ispirata, suggerita è coordinata anche da forze esterne nelle loro operazioni di morte e nelle loro strategie. Inoltre Lodato, al tempo protagonista come inviato de “L’Unita”, ha fatto un quadro di quegli anni ricordando le delegittimazioni e gli isolamenti subiti da Falcone. Per questo riportiamo gli interventi di Di Matteo e Lodato in maniera integrale. Perché fare memoria ventisette anni dopo non può prescindere dalla ricerca della verità.L’intervista di Andrea Purgatori al sostituto procuratore antimafia, Nino Di MatteoTrascrizione integrale


purgatori dimatteo intervista

Procuratore Di Matteo sono passati 27 anni dalla strage di Capaci, che sensazione le da pensare a quel giorno e poi a tutto quello che è successo dopo?
La strage di Capaci rimarrà un momento indelebile della memoria degli italiani per bene, di quelli che hanno a cuore l’affermazione della legalità nel paese. E’ stata la prima di sette stragi realizzate tra il ’92 e ’93. E’ stata plateale. E’ stato fatto per far saltare in aria Giovanni Falcone con un pezzo di autostrada. E’ stato un attentato unico in Italia nella fase di esecuzione. Un attentato portato avanti con una precisione e violenza che veramente gettarono subito il paese nel panico. E’ stato un attentato, lo dicono le sentenze, nei confronti dell’unico uomo e giudice che in quel momento aveva impersonato più di ogni altro il concetto e l’intelligenza di lotta alla mafia a 360°. Falcone un uomo che purtroppo qui in Italia è stato osteggiato violentemente da molti mentre il mondo ce lo invidiava. Quello di Capaci è stato un attentato, dopo la celebrazione dei processi e 27 anni di inchieste che, non è stato fatto solo per motivi di vendetta, visto che il giudice aveva istruito il maxiprocesso.

Questo si era detto: si è data come motivazione che la Cassazione ha confermato le condanne del maxiprocesso e questo ha fatto impazzire Cosa nostra.
La finalità della vendetta ci è stata, ma non è stato l’unico aspetto del movente. C’è stata una motivazione preventiva, perché Falcone ispirando il governo sulla politica della lotta alla mafia, con il ministro Martelli, stava provocando dei danni a Cosa nostra ed altri ne avrebbe provocati.

Nonostante la delegittimazione, il fatto del trasferimento a Roma anche da magistrato al servizio dello Stato e della politica, stava mettendo dei paletti che avrebbero creato ulteriori problemi alla criminalità organizzata, è così?
Le rispondo con una parola che Riina disse ai suoi capi mafia nel frangente della commissione: Falcone sta facendo più danni a Roma che a Palermo. Un giudice intelligente e un uomo dello Stato, coraggioso, in grado di ispirare la politica sulla giustizia e lotta alla mafia del governo, stava effettivamente mettendo in crisi Cosa nostra, ancor più delle sentenze che Giovanni Falcone aveva contribuito a fare emettere con quella del maxi processo. Ma c’è un’altra finalità che viene fuori in maniera chiara ed è quella terroristica. Con la strage di Capaci, Cosa nostra iniziò a fare una politica di terrore, che mirava a creare nuovi rapporti alti con esponenti politici diversi da quelli che avevano tradito la tesi di Cosa nostra e le promesse che avevano fatto.

Possiamo mettere dentro Salvo Lima? Ucciso qualche mese prima di Capaci.
L’omicidio di Salvo Lima è la prima fase della strategia politica, che i mafiosi chiamarono la pulitura dei rami secchi. E poi usando sempre le parole di Riina: loro pensavano che bisognasse fare la guerra per poi fare la pace. Fare la guerra comportava portare a termine azioni eclatanti che gettassero il panico sulla popolazione, che inducesse qualcuno dello Stato a mediare con la mafia. E attraverso questa trattativa Riina pensava di creare rapporti politici più stabili di quelli di prima.

Qualcosa che lei è riuscito a dimostrare portando in aula nel processo della trattativa che a un certo punto questa guerra in base alla prima sentenza di primo grado, porta lo stato a cercare un contatto.
Purtroppo dopo la strage di Falcone uomini dello Stato chiesero a Riina cosa volesse cosa nostra per far cessare quella strategia di attacco alle istituzioni. In quel momento iniziò una trattativa che ebbe delle conseguenze nefaste, in quanto non evitò sangue, ma ne provocò altro. Come sempre accade nel momento in cui Cosa nostra si rese conto che lo Stato aveva iniziato a piegare le ginocchia, alzò il prezzo organizzando altre stragi per costringere le istituzioni a inginocchiarsi definitivamente.

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Perché lo Stato si dimostrava fragile in quel momento…
Si.
Noi dopo 27 anni possiamo fare due cose: possiamo ricordare la strage di Capaci come un momento di commemorazione e ricordo, magari pensando che ci sono state delle sentenze e dei nomi che sono stati messi in fila. Responsabili che apparentemente tutto sia abbastanza chiaro.
I processi che sono stati celebrati non sono stati inutili e hanno consentito il raggiungimento di traguardi importanti. Più di venti mafiosi che hanno partecipato alle stragi e quella di Capaci sono stati definitivamente condannati. Il risultato è stato importante. Però la verità che è stata accertata, mi sento di dirlo con cognizione di causa, è ancora una verità parziale. Proprio la conoscenza degli atti delle inchieste e processi, la lettura analitica delle sentenze che sono state emesse ci porta a ritenere che è stato possibile, ma mi sento di dire altamente probabile che insieme agli uomini di Cosa nostra abbiano partecipato alla strage, nel momento del mandato stragista, organizzazione ed esecuzione, anche altri uomini estranei alla mafia.

Quindi dobbiamo immaginare una doppia linea di comando?
Dobbiamo immaginare che alla indubbia convergenza di interessi che portarono alla decisione di eliminare Falcone possa essere stata affiancata una compartecipazione di uomini che non erano mafiosi.

E a chi potevano appartenere?
Noi potremmo riuscire a dare un nome o un cognome alle entità esterne che parteciparono alle stragi. Intanto una premessa, che molti tendono a dimenticare, quando nel giugno ’89 ci fu l’attentato all’Addaura nella sua casa al mare, subito dopo Falcone affidò al giornalista Saverio Lodato una confidenza, una dichiarazione, che era frutto di una grande intelligenza e conoscenza dei fatti. Falcone disse che c’erano delle entità esterne delle ‘menti raffinatissime’ che avevano cercato di orientare l’azione di Cosa nostra. Si riferiva alla sua situazione e all’attentato che c’è stato in suo danno. Già nel ’89 Falcone sospettava che oltre ai mafiosi c’erano degli esterni che volevano la sua morte.

Attentato sul quale fino a quella mattina c’erano una serie di voci che puntavano a dire che quell’attentato Falcone se lo era fatto da solo.
Questa situazione è venuta fuori dai processi che si sono celebrati. Credo che Falcone, pur avendo subito tante sconfitte, amarezze, abbia provato una maggiore ammarezza nell’essere accusato di essersi auto organizzato l’attentato per smania di protagonismo. Un’accusa tremenda per chi sa di essere un morto che cammina.
Io dico che noi abbiamo un dovere nei confronti di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli agenti valorosi della scorta, il dovere di non accettare e rassegnarci ad uno sterile esercizio retorico del ricordo. Noi abbiamo il dovere di completare il percorso della verità già avviato da anni. Ci sono dei perché.

Uno può essere: perché Cosa nostra prova a fare l’attentato a Roma e poi si sposta a Palermo?
Il primo è proprio questo, Cosa nostra era già pronta con alcuni uomini tra i quali i fratelli Graviano, Matteo Messina Denaro, per colpire Giovanni Falcone. Erano già a Roma e avevano studiato le abitudini del magistrato e di come si muoveva spesso a piedi e alcune volte senza scorta. Avevano tutto pronto per colpirlo con un attentato abbastanza semplice con kalashnikov. Ma furono richiamati improvvisamente da Riina che fermò una esecuzione che era nella fase di preparazione e richiamò a Palermo quel comando. Perché l’eliminazione di Giovanni Falcone che fino a quel momento era quasi pronta è rinviata e si preferì un attentato difficile nella preparazione e nell’esecuzione?. Perché fu sottovalutato un allarme che ancor prima della strage di Capaci e dopo l’omicidio Lima, dal ministro dell’interno Scotti diede in maniera eclatante attraverso un suo intervento in parlamento e annunciava una lunga serie di stragi. Perché fu sottovalutato e definito una patacca da Giulio Andreotti? Perché subito dopo nonostante quella previsione tragica di Scotti si realizzò con la strage di Capaci e dopo il ministro fu sostituito quando si formò un nuovo governo e dirottato a quello degli esteri?

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Se dovessimo dare una risposta a questo atto di guerra, cosa potremmo dire?
Una risposta è legata alla finalità e sarebbe stata quella di uccidere Falcone a Roma che sarebbe stato un omicidio eccellente ma sarebbe stato comunque un omicidio semplice. Un’altra cosa dal punto di vista del terrore politico provocato è stato far saltare in aria un pezzo di autostrada. Ma è anche possibile pensare che Riina nel momento in cui cambiò idea quando richiamò il comando da Roma avesse potuto avere l’assicurazione di avere un ausilio di esecuzione nel compiere la strage da chi non era mafioso. E’ un attentato davvero clamoroso e difficile da preparare. Nella visione di chi l’ha fatto è riuscito benissimo. Sono morti coloro i quali dovevano morire, ma non vennero provocate conseguenze nei confronti degli altri che passavano per la strada. Un’operazione criminale perfettamente riuscita. Che cosa significa il dato oggettivo che non lontano dal cratere della strage di Capaci sono stati trovati dei foglietti riferibili al servizio segreto del capo centro di Palermo in servizio al tempo con altri riferimenti a quel servizio segreto?

Che di certo non sono stati buttati lì a caso…
Anche dei testimoni hanno messo a verbale subito dopo la strage: sono state rilevate delle presenze nei giorni prima del 23 maggio di finti operai in tuta che effettuavano dei lavori in corrispondenza dove poi Falcone sarebbe saltato in aria.

Dove c’era un cunicolo pronto con 400kg di esplosivo…
Tutti gli enti preposti a fare quei lavori hanno negato che quei lavori siano stati fatti. Eppure ci sono testimoni che rilevano presenze che di certo non erano dei mafiosi.

E’ stato trovato anche un guanto di donna?
E’ stato trovato, non lontano dal luogo dell’esplosione, un guanto dal quale è stato isolato una traccia di Dna femminile. E’ difficile pensare che i mafiosi a Capaci abbiano portato una donna con loro.

Quel Dna non è stato attribuito a nessuno fino a quel momento?
No. E’ solo un caso che quel telecomando è venne fornita da, dicono le sentenze, da un mafioso Pietro Rampulla, che aveva avuto un passato nell’estremismo eversivo di destra, e come mai Rampulla esperto artificiere proprio il 23 maggio non andò a Capaci, avvertendo Brusca e gli altri poche ore prima di un impegno improvviso.

L’uomo che aveva organizzato l’innesco del radiocomando e che forse l’avrebbe fatto funzionare la mattina dice no non posso venire.
Questo è consacrato all’interno delle sentenze dall’uomo che il telecomando azionò, ovvero da Giovanni Brusca che poi divenne collaboratore di giustizia.

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Giovanni Brusca ha un’esitazione quando deve premere il pulsante e in quel momento dei centesimi di secondi possono far sbagliare a colpire il convoglio che è o troppo avanti o troppo dietro e l’operazione va in tutt’altro modo. E invece nonostante l’esitazione funziona tutto alla perfezione.
C’è una dichiarazione sempre di Brusca che subito dopo essersi reso conto che le macchine erano saltate in aria e l’attentato era riuscito non credeva lui stesso che ‘quattro ignoranti siano stati in grado di compiere quella conseguenza’.

Qui c’è un sospetto che non ci fosse solo un telecomando?
Ci sono ancora indagini in corso per capire se insieme a uomini della mafia ci fossero soggetti che avrebbero potuto, indipendente dalla conoscenza di Cosa nostra, aiutare a realizzare quell’attentato tecnicamente così difficile.

Che comunque doveva essere attributo solo a Cosa nostra…
E’ un ipotesi molto difficile da dimostrare ma sulla quale abbiamo il dovere di approfondire. Un dovere così tanto evidente se guardiamo a tutta quanta la storia. Perché vengono manomessi i file informatici che Falcone custodiva. Viene manomesso il computer all’interno del ministero subito dopo la strage.

Quindi non sappiamo cosa è andato perduto?
Sappiamo da uomini molto vicini a Falcone, il cognato Alfredo Morvillo, che il giudice in quel momento continuava ad avere una attenzione particolare per la vicenda Gladio. Aveva con se l’elenco dei partecipanti che fu diffuso già nel 1990 da Andreotti.

Che fece infuriare il capo del Sismi Martini e il presidente Cossiga.
Esattamente. In quel momento, quando Falcone non era più alla Procura di Palermo, ma all’ufficio degli affari penali del ministero della giustizia a Roma continuava ad avere attenzione per la vicenda Gladio.

Non è da poco sapere che lui se ne stava occupando?
Non dobbiamo dimenticare che Giovanni Falcone aveva indagato a lungo e credeva nella pista della collaborazione tra la mafia e la destra eversiva nell’omicidio di Piersanti Mattarella. E non dobbiamo dimenticare che nell’ultimo periodo di presenza a Palermo, Falcone aveva raccolto le dichiarazioni appartenenti a quell’ala politica, prima ancora che uscisse l’elenco di Gladio e probabilmente quelle dichiarazioni potevano fare riferimento all’esistenza di quella strategia segreta, ancor prima che Andreotti rivelasse l’esistenza della lista dei gladiatori. Falcone si sfoga in alcuni appunti che consegnerà alla giornalista Liliana Milella del IlSole24ore.

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Cosa c’era scritto in quegli appunti?
C’era tutta la rabbia e stizza di Falcone quando il procuratore capo di Palermo Giammanco aveva fatto in modo di escludere il magistrato dall’approfondimento tra i rapporti tra Gladio e la mafia, dove anche la procura di magistrati di Roma stavano indagando. Più recentemente nel 2013 nel corso delle indagini collaterali a quelli della Trattativa, la Dia di Palermo ha intercettato alcune conversazioni nell’ora di socialità in un ambiente esterno tra Salvatore Riina e il suo compagno d’ora d’aria a Milano. Ci fu un passaggio relativo alla strage di Capaci, dopo aver esaltato la sua bravura di portare a termine la strage, riferiva a Lorusso che uno dei suoi compagni della commissione provinciale Totò Cancemi gli aveva chiesto, subito dopo la strage, cosa dobbiamo dire noi a nostri compagni mafiosi? E Riina dalle sue parole gli disse noi dobbiamo stare zitti, se si sa tutto finisce Cosa nostra. Quindi lo stesso Riina è morto con un segreto talmente inconfessabile che addirittura se sarebbe stato confessato avrebbe portato alla fine di Cosa nostra.

Io non faccio il magistrato ma quando inizio a sentire operazioni esterne, Gladio mi viene facile pensare che dietro ci potrebbe essere un ministro a premere un secondo telecomando, basta rivolgersi a chi questo lavoro lo sa fare visto che è stato addestrato per farlo?
Questi sono dei campi di indagini molto delicati e non solo questi devono essere affrontati. Noi non possiamo accettare che ormai da anni il capitolo stragi sia da chiudere dal punto di vista giudiziario. Si sono raggiunti ottimi risultati, adesso il 23 maggio deve diventare solo un giorno di emozione e in cui si celebra la grandezza di Falcone. Bene, ma bisogna ancora capire se ci sono stati altri che hanno contribuito alla strage e soprattutto perché è stato ucciso. Un altro dato da ricordare è che la storia di Giovanni Falcone è una storia di continue sconfitte e soprattutto all’interno della magistratura viene sconfitto quando doveva sostituire Antonino Caponnetto a capo dell’ufficio istruzione di Palermo quando si candida al consiglio superiore della magistratura. Si scatenano le peggiori delegittimazioni quando Falcone inizia a pensare di diventare procuratore nazionale antimafia. Lo schema è sempre lo stesso. Le vittime eccellenti, Falcone ne è il prototipo, prima di essere uccise o saltare in aria sia per Falcone che per Borsellino vengono isolate e calunniate. Quello che fa rabbia è che, ancora oggi, questo schema si riproduce ogni qual volta c’è un personaggio dello Stato che inizia a dar fastidio e quelli che lo riproducono utilizzano un sistema che è quello di dire che Falcone e Borsellino non avrebbero fatto mai certe indagini o inseguito certe chimere. Quello che eticamente mi fa indignare è che spesso coloro i quali santificano da morti Falcone e Borsellino sono gli stessi che gli hanno attaccati in vita: sono quelli che hanno accusato Falcone di essersi messo la bomba da solo.

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Lei è stato mai vittima di questo sistema di delegittimazione?
Non importa la mia situazione non ne voglio parlare. Parlo in generale. Ogni volta che si alza il tiro gli investigatori o magistrati che lo fanno vengono tacciati di manie di protagonismo e finalità politiche. Io credo che in Italia ci sia ancora una parte di organi investigativi che non considerano chiuso quel capitolo e nemmeno la politica che dovrebbe permettere ai magistrati e investigatori di far lavorare loro lo stesso spiegamento di forze come si ebbe successivamente alle stragi. Anche la politica potrebbe fare la sua parte, penso alla commissione parlamentare antimafia. Si potrebbe aprire un’inchiesta politica per dar risposta agli interrogativi e questo potrebbe essere di aiuto anche quelle della magistratura.

Secondo lei non è un po’ un alibi della politica e quindi dello Stato utilizzare la famosa frase: ‘se ne sta occupando la magistratura’?
Sono assolutamente d’accordo. La politica in generale credo che non possa rinunciare, in materia di lotta alla mafia e di ricerca della verità, al suo ruolo propulsivo. Non possiamo dire bisogna aspettare la magistratura, basti pensare a un fatto mentre saltavano in aria i giudici, cittadini inermi, c’era una parte dello Stato che andava a trattatare con i mafiosi e c’erano anche altri esponenti dello Stato che rischiavano la vita, esponendosi per cercare la verità.

Di quella stagione e generazione di corleonesi guidati da Totò Riina rimane ancora libero Matteo Messina Denaro, latitante da moltissimi anni che probabilmente è a conoscenza di qualche segreto che potrebbe fare luce sulla stagione delle stragi?
Penso proprio di si. Io penso che l’epoca corleonese sia definitivamente tramontata. C’è una generazione di 50enni e 60enni che si rassegnano alla sconfitta. Non dobbiamo dimenticare che Matteo Messina Denaro è stato definitivamente condannato per le stragi del ’93, dove leggendo le sentenze non ebbe un ruolo qualunque. Lui fu uno degli ideatori, suggerì gli obiettivi da colpire fuori dalla Sicilia, è un soggetto che non solo ha 4/4 di nobiltà mafiosa, visto che è figlio di un capo mafia di dimensione di rilievo, ma è un soggetto che è a conoscenza di segreti di quelle stragi totalmente anomale nella storia della mafia. Stragi in cui Cosa nostra sembra essere eterodiretta sempre nel conseguito di una finalità politica. Un uomo di quella caratura in possesso delle sue facoltà mentali che conosce quei segreti è potenzialmente in grado di ricattare parti dello Stato. Per questo la sua latitanza è davvero grave e si deve porre fine perché non si generi il sospetto che questa latitanza sia frutto della potenzialità di ricatto che quest’uomo può esercitare.

E della copertura?
Noi magistrati da decenni ci occupiamo di questi accadimenti. Come è successo per Bernardo Provenzano sta avvenendo per Matteo Messina Denaro. Non si può concepire la latitanza così lunga per abilità del fuggiasco. C’è una rete di copertura esterna alla mafia che continua a mantenere la rete di latitanza. Ecco perché quella figura di mafioso non va mai sottovalutata, soltanto per questo dato, è certamente conoscitore di segreti legati a una fase stragista di cui ne è stato protagonista.

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L’intervista di Andrea Purgatori al giornalista Saverio Lodato Trascrizione integrale

Saverio Lodato, tu hai cominciato a “L’Ora” di Palermo poi sei stato corrispondente dell’Unità per 35 anni. La mafia corleonese prende il potere ma pure essendo una mafia campagnola improvvisamente capisce che può allargare il giro del suo potere alla politica, alla finanza e alle istituzioni del paese. Riina era davvero in grado di avere questo disegno imperiale?
Totò Riina era un capo estremamente rozzo e sanguinario che però conosceva perfettamente quali erano stati i rapporti con le istituzioni dei suoi predecessori fino a quel momento. Uno dei motivi per cui Riina scatena la guerra di mafia non solo la suddivisione diversa del traffico della droga. Ma paradossalmente per volersi impadronire delle relazioni altolocate di cui disponeva un personaggio come Stefano Bontate che difatti venne ucciso all’interno della sua villa il giorno del suo compleanno perchè Stefano Bontate era l’uomo che aveva i rapporti per conto della mafia con la massoneria, servizi segreti e apparati deviati dello Stato e dell’esercito. Totò Riina vuole ereditare questo potere che gli è a quel punto indispensabile, perchè un conto è eliminare quelli che lo avevano preceduto, un altro è invece gestire poi questo potere e di fatti questo è quello che lui riuscirà a fare.

Come mai i corleonesi decidono di scendere a Palermo alla fine degli anni ’60 e prendere possesso del territorio in quel momento alla mafia di città?
Perchè per una lunga fase i chimici marsigliesi erano quelli che avevo raffinato l’oppio che veniva dal triangolo d’oro da Laos, nella Birmania e dalla Thailandia. Ad un certo punto poichè la mafia marsigliese dedita al traffico di stupefacenti viene mesa sotto scacco dalla polizia francese e decidono opportunamente di trasferire le raffinerie in Sicilia e soprattutto a Palermo. A questo punto un enorme fiume di denaro cominciava ad attraversare la Sicilia. Questo è il momento in cui i corleonesi decidono di scatenare definitivamente il loro assalto alla dirigenza di Cosa nostra palermitana rappresentata storicamente da un capo che si chiamava Stefano Bontate.

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Quando i corleonesi prendono potere a Palermo Tommaso Buscetta è ancora uno di loro, poi a un certo punto cosa succede? Perchè tu Buscetta l’hai conosciuto ci hai parlato e lo hai intervistato.
Ho conosciuto Buscetta in America pochi mesi prima della sua morte. Tommaso Buscetta era il rappresentante storico di una mafia tradizionale apparentata in qualche modo con la legenda che non bisognava uccidere donne e bambini. Una mafia eticamente ecobiologica. Buscetta era un capo dotato di un carisma straordinario all’interno della mafia palermitana ma quando scoppia la guerra a Palermo lui si trova in Brasile e quindi non poteva partecipare in prima persona ai regolamenti di conti che si stavano venendo a creare a Palermo. La mafia che comincia perdente, quella dei palermitani per l’appunto, chiede il suo intervento e gli stessi corleonesi decisero di sterminargli tutta la famiglia per impedire il suo rientro a Palermo.
Successivamente accadde che quando Buscetta che era una persona particolarmente intelligente prende una decisione intelligente perchè capisce che anche se tornasse a Palermo non avrebbe i numeri per poter vincere una guerra di sterminio di quel tipo e allora decide di fare un passo diverso. Dopo aver visto sterminata tutta la sua famiglia decide di iniziare la sua collaborazione con Giovanni Falcone, perchè riconosce in lui l’interlocutore e un magistrato che rappresenta uno Stato italiano che vuol fare davvero la guerra alla mafia. E lì nascerà il rapporto che è stato raccontato tante volte tra Giovanni Falcone Tommaso Buscetta.
Lo stesso maxi processo di Palermo che si era concluso nel 1987 inizialmente venne osteggiato in tutti i modi dai poteri romani perchè fino a quel momento, nel 1987 quindi con una mafia che già esiste da oltre 150 anni, i mafiosi erano sempre stati assolti o per insufficienza di prove o per non aver commesso il fatto o per errori materiali. C’erano già stati due grandi processi con numerosi imputati come il processo di Bari e di Catanzaro negli anni ’70 ma erano stati tutti assolti perchè sino a quegli anni la lotta alla mafia veniva fatta, anche in maniera volenterosa, dagli uomini della polizia e carabinieri che nei rapporti che inviavano alla magistratura affastellavano una serie di sentito dire, di sospetti e indizi che però non reggevano mai al baglio del dibattimento. Con il maxi processo tutto questo viene a cadere ma anche in quella fase ci sono state delle resistenze forti perchè si dice “per quale motivo bisogna combattere la mafia con questi sistemi definitivi, con un maxi processo”. Maxi processo che si celebra in coincidenza con due doppi scenari criminali. Una guerra di mafia fortissima all’interno delle cosche per regolamento dei conti ma anche una sfida che per la prima volta diventa alta nei confronti dei rappresentati delle istituzioni.

Perchè la strage di Capaci non deve essere solo una commemorazione?
Perchè Giovanni Falcone non è una statua o un monumento da omaggiare periodicamente una volta all’anno, lo facciamo ormai da 27 anni. Giovanni Falcone è la persona alla quale dobbiamo quel poco di coscienza antimafia che c’è in Italia. Perchè bisogna ricordare sempre che la mafia in Italia esiste ormai da quasi 200 anni ma lo Stato italiano di questi 200 anni ne perdette almeno 170 negando l’esistenza del fenomeno mafioso, senza riuscire a pronunciare la parola mafia e senza neanche riuscire a capire come si chiamasse esattamente, è stato grazie a Giovanni Falcone che siamo riusciti a sapere che la mafia non si chiamava così ma Cosa nostra. Quindi la rivoluzione che introduce Giovanni Falcone con il suo lavoro che non supererà la dozzina di anni dal momento in cui inizia, sino alla strage di Capaci, è una rivoluzione che ha a che vedere con la parola e con la cosa. Giovanni Falcone in qualche modo spalanca gli occhi agli italiani rispetto a un fenomeno con il quale convivevano da decenni e decenni senza mai riuscire a capire di cosa si trattasse. Purtroppo quegli occhi spalancati da Giovanni Falcone nel corso degli anni si sono spesso richiusi e oggi noi 28 anni dopo siamo ancora qui a discutere di mafia.

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Torniamo indietro a Capaci. Il procuratore Nino Di Matteo in maniera molto precisa e secca parla di possibili presenze esterne, tracce lasciate sul luogo della strage che ancora non si capisce che cosa sono esattamente e da dove provengono e lascia intuire, in qualche modo, che non ci fossero soltanto uomini di Cosa nostra ma anche altri e soprattutto dice una cosa fondamentale; cioè Capaci come via d’Amelio non sono due cose staccate dal resto delle bombe ma sono il primo atto di guerra che Riina decide di fare allo Stato perchè sostiene “bisogna fare la guerra per poter fare la pace”. E poi arriverà la trattativa, questi sospetti in che modo sono stati lasciati correre nel corso di questi anni.
Non dimentichiamo che la strage di Capaci è del 1992, quella che aprirà il continuum a ciò di cui facevi riferimento perchè dopo Capaci ci sarà via d’Amelio, Roma, Firenze, e Milano e ancora prima di Capaci c’era stata la strage Dalla Chiesa e Chinnici, quando Giovanni Falcone era ancora vivo e indagava su quei grandi delitti. Giovanni Falcone fa in tempo prima di morire a vedere che quella mafia che aveva iniziato a conoscere e scoprire come tale, nel corso del suo lavoro gli si trasforma sotto gli occhi, diventa qualcosa di molto più inquietante e allarmante.

Cioè?
Non solo un potere criminale che in qualche modo si diceva semplicisticamente che faceva la guerra allo Stato ma una mafia dietro alla quale lo stesso Falcone alcuni anni prima di Capaci avverte alcune presenze occulte che suggeriscono alla mafia che la guidano e in qualche modo “istradano” nei suoi processi criminali.

Giovanni Brusca che tu hai conosciuto e intervistato racconta gli istanti della strage di Capaci come un momento nel quale si rischiava che l’attentato non andasse a buon fine.
La sensazione che aveva Brusca era che qualcuno potesse averlo espropriato di questo attimo in cui premeva il telecomando.

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Comunque dicono che ci fosse un “guardiano” attento a far sì che questo attentato avvenisse nel momento in cui doveva avvenire.
E che quindi magari ci fosse un altro telecomando a distanza efficace ed efficiente come quello che aziona Brusca

Ma lui (Giovanni Brusca, ndr) questa ipotesi direttamente non la fa
La solleva, lascia intendere che qualcosa non va come era stato previsto però lui si chiede come mai non va proprio in quell’istante. Perchè se fosse accaduto un intoppo prima o dopo ci stava ma proprio in quel momento lì c’è qualcosa che… perchè quel pulsante non risponde ai suoi ordini?

Tu sei stato amico di Giovanni Falcone, c’era quel rapporto di stima reciproca. A un certo punto Giovanni Falcone dopo il fallito attentato a l’Addaura, quando vengono fatte circolare le voci che addirittura se lo sia fatto da solo per la smania di protagonismo tu lo incontri e lui durante questo incontro dice qualcosa che rimane come una specie di sigillo proprio su quello di cui stiamo discutendo.
Io non incontro Giovanni Falcone. Lui mi telefona e mi chiede che lo vada a trovare perchè mi vuole parlare. in qualche modo è, potremmo dire, una forma di convocazione, lui vuole parlare con un giornalista che, io in quel momento lavoravo a l’Unità, rappresentava il maggior partito d’opposizione in Italia. Per uno come Giovanni Falcone che era molto attento ai rapporti istituzionali e al ruolo del magistrato, questo era un passo significativo, cioè voleva che tutti sapessero, anche l’opposizione.

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Cosa ti dice?
Lui dice di avere finalmente capito che dietro Cosa nostra ci sono delle “menti raffinatissime” che guidano il gioco della mafia. E li si ferma perchè questo è il concetto forte che lui esprime però ne aggiunge un altro subito dopo

Cioè?
Dice “con me è iniziata la stessa campagna che inizio con Dalla Chiesa” fatta di minacce, telefonate anonime, mafiosi assassinati e fatti trovare davanti le caserme dei carabinieri chiuse nei portabagagli proprio per dire a Dalla Chiesa “vattene non ti vogliamo”. Quindi Falcone subito dopo il concetto che esprime sulle “menti raffinatissime” fa il parallelo con Dalla Chiesa. E’ come se lui stesse assistendo in diretta all’esecuzione che poi avverrà appena tre anni dopo.

Come lo trovi?
Io trovo un Giovanni Falcone che non è un magistrato al culmine della sua potenza ma un magistrato al culmine del suo isolamento. Giovanni Falcone aveva già subito in quel momento delle sconfitte clamorose all’interno del Consiglio Superiore della Magistratura, era l’erede designato per sostituire Antonino Caponnetto alla guida del pool antimafia di Palermo. Il CSM vota contro Giovanni Falcone ed è su tutti i giornali denigrato e delegittimato ormai da un paio di anni per gli attacchi concentrici che questa volta vengono da una parte della magistratura e della grande stampa e prevalentemente dagli avvocati dei mafiosi palermitani. Viene descritto come un “Nembo Kid” che si era messo in testa di sconfiggere la mafia. L’espressione “Nembo Kid” era già stata adoperata dieci anni prima anche per Dalla Chiesa e anche lui aveva fatto la fine che poi avrebbe fatto Giovanni Falcone. Io mi trovo davanti un uomo che sa di rappresentare uno Stato che però non lo sta proteggendo
Non solo Giovanni Falcone, anche Paolo Borsellino, perchè sono due storie parallele in quegli anni, sono due magistrati che per la prima volta presentano ai mafiosi il volto di uno Stato perbene, pulito che vuole combattere la mafia, non vuole trattare, la vuole sconfiggere nei limiti del possibile. Il punto è che però loro alle spalle lo Stato non lo avevano

Quando ti dice la frase “menti raffinatissime” tu che idea ti fai?
Ho provato a fare delle domande a Giovanni Falcone ma lui non era un uomo che se non voleva rispondere a una domanda non rispondeva. Mi lasciò capire però che anche le polemiche che risalivano a tre settimane prima e che lo avevano riguardato avevano a che fare con le “menti raffinatissime” e quelle polemiche si riferivano al fatto che se andiamo a rivedere i giornali un mese prima dell’attentato a l’Addaura è in piedi una grande campagna dei veleni in cui si sostiene che Giovanni Falcone, insieme a Gianni De Gennaro, che poi sarebbe diventato il capo della polizia in Italia, avevano autorizzato, con la complicità degli Stati Uniti d’America il rientro in Italia di Buscetta per scendere in campo militarmente contro il fronte dei corleonesi e regolare i conti con loro. Viene delegittimato, viene fatto passare come uno che entrava nel gioco delle beghe dei mafiosi. Non dimentichiamo che Giovanni Falcone pur dicendo che esistevano le “menti raffinatissime” contemporaneamente però ipotizzava che la mafia, come tutte le cose della vita, avesse avuto un inizio ed era destinata ad avere una sua fine perchè lui era convinto che continuando ad indagare a un certo punto l’organizzazione si sarebbe sgretolata e arresa. E ci si arrivò vicini.
Dopo il ’92 inizia la grande stagione del processo Andreotti, un processo che durerà 7 anni. In quegli anni tutto ciò che era stato detto di celebrativo nei confronti di Falcone e Borsellino viene letteralmente azzerato perchè si scatena una campagna, lo so perchè l’ho vissuta come inviato dell’Unità in Sicilia che seguiva quotidianamente il processo Andreotti, una campagna che ha due obiettivi, la procura di Palermo di allora che indagava su Giulio Andreotti da una parte e dall’altra i pentiti di mafia. E’ significativo, il presidente della commissione antimafia di quegli anni Ottaviano Del Turco per tutti gli anni in cui fu presidente dedicò credo il 100% delle sue dichiarazioni per attaccare da una parte i procuratori di Palermo e dall’altra i pentiti di mafia. Credo non esistano dichiarazioni sue contro mafiosi che in quel momento invece si sapeva essere al vertice di cosa nostra, soltanto per dire che ad un certo punto lo Stato si ritrae aveva mal digerito il processo e le condanne per i mafiosi. Ma nel momento in cui qualcuno si illude di poter alzare il tiro e soprattutto si diffonde un terrore che al pentito venga data licenza di parlare, non solo dei suoi sodali criminali ma anche dei rapporti politici che la mafia aveva abbondantemente avuto e lo stesso Falcone sapeva benissimo. E non è un caso la prima grande stagione maxi processo, livello militare Andreotti, poi trattativa Stato-mafia. Cioè il livello si è alzato si è capito cosa c’era dietro la mafia però è chiaro che quelle non sono stragi fatte esclusivamente da villani col kalashnikov e la coppola storta come venivano rappresentati.

guarnotta

Come Gladio ad esempio?
Anche Gladio. Falcone si dedica a Gladio proprio nell’ultimo periodo della sua vita e si occuperà del terrorismo nero e rosso. Falcone a un certo punto capisce che tirando il bandolo della parola mafia in realtà vengono dietro una serie di fili che sono ben più complessi e corposi. Giovanni Falcone capisce questo ed è questa la ragione per cui Falcone deve morire, non più soltanto perchè si era permesso di sfidare il braccio militare della mafia che comunque resta il suo più grande successo poi processuale e giudiziario.
L’unica cosa che però mi sento di dire con chiarezza, essendomi occupato di questa materia per oltre trent’anni in Sicilia, è che la grande favola è finita. Non c’è mai stata una mafia contrapposta allo Stato e viceversa. Se così fosse accaduto Giovanni Falcone si sarebbe salvato e soprattutto 57 giorni dopo la strage di Capaci l’identica fine non la può fare Paolo Borsellino, quindi io ma non solo io probabilmente la stessa magistratura si è orientata ormai a capire che questa rappresentazione è stata una rappresentazione favolistica Stato e mafia.

Di quella cupola mafiosa dei corleonesi stragisti ecc… rimane un grande latitante Matteo Messina Denaro, c’è l’ipotesi che la sua latitanza abbia come assicurazione proprio il fatto che lui come latitante non può rivelare le cose che sa?
Matteo Messina Denaro era uomo di fiducia di Totò Riina che conosceva suo padre che morì da latitante anche lui. Matteo Messina Denaro è colui che fa i sopralluoghi per le stragi di Capaci di via d’Amelio, Roma, Firenze e Milano. E’ l’uomo che Totò Riina prima manda a Roma, quando l’ipotesi di ammazzare Falcone era nella Capitale e poi lo richiama a Palermo per vedere invece come deve essere realizzato l’attentato a Palermo. Matteo Messina Denaro è l’espressione di questi ultimi 30 anni di storia della mafia. Di una mafia che semmai era stata contrapposta allo Stato negli ultimi trent’anni non lo è stata più. Matteo Messina Denaro conosce e ha ereditato anche i segreti di Totò Riina; non dimentichiamo che c’è un covo di Riina che non venne perquisito per diciotto giorni, c’è un archivio di Totò Riina che è sparito e Giovanni Brusca racconterà come loro ebbero la possibilità quindici giorni dopo di entrare nella casa dove aveva vissuto Riina, nonostante Riina fosse stato arrestato. Quindi lui è l’erede di quella vecchia mafia ma anche della mafia che si è rinnovata e si è riciclata. E’ pensabile che oggi nel 2019 una persona possa scomparire nel nulla per 27 anni?. L’intero paese di Castelvetrano è stato passato al setaccio dagli investigatori negli ultimi 10 anni e ogni volta queste piste di Matteo Messina Denaro si interrompono.
Se davvero fosse stata fatta terra bruciata in Sicilia come pare sia stata fatta a maggior ragione non potrebbe continuare all’infinito questa latitanza. Io ho la sensazione che lui abbia avuto la possibilità di godere di complicità molto alte e qui il riferimento è a tutti gli ambienti che potrebbero sentirsi sotto ricatto da un eventuale cattura di Matteo Messina Denaro. Pensiamo poi che nel momento in cui Matteo Messina Denaro viene catturato si apre poi un problema di gestione, non si sa cosa decide di fare Matteo Messina Denaro, diventa molto più ingombrante e rischioso da gestire. Quindi io penso che in questo momento siano tante e tali gli ambienti che lo proteggono e non obbligatoriamente mafiosi

E non obbligatoriamente in Sicilia
Io credo però che la grande madre di tutti i processi anche delle stragi sia questo sulla trattativa Stato-mafia. Perchè se questo processo dovesse diventare parola definitiva della giustizia italiana su quanto accaduto tra il ’90 e il ’94 in Sicilia, allora una serie di domande si potrebbero riaprire cercando di perseguire non soltanto gli esecutori materiale che ormai sono stati abbondantemente assicurati alla giustizia ma soprattutto tutte quelle altre figure che continuano a rimanere nell’ombra.

purgatori lodato

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fonte: antimafiaduemila.com