Geotermia, ecco come funzionano le centrali Enel in Italia (e con quali impatti ambientali)

Una fotografia sullo stato dell’arte secondo Bonciani e Cei di Enel green power, e il parere sulle attività di controllo e ricerca del Primo ricercatore del Cnr e presidente Ugi, Adele Manzella

Con 34 centrali geotermoelettriche (per un totale di 37 gruppi di produzione), Enel green power gestisce in Toscana il più antico complesso geotermico del mondo, l’unico in Italia a produrre elettricità dal calore della Terra: proprio quest’anno, infatti, si celebrano i duecento anni da quando nel 1818 ebbero inizio le prime attività geotermiche industriali, e ancora oggi l’esperienza maturata nel nostro territorio permette all’Italia e all’azienda di essere considerata un’eccellenza a livello globale in fatto di conoscenza – e impiego industriale – della geotermia.

Quali sono dunque le tecnologie oggi concretamente applicate per la coltivazione geotermica in Toscana, e per quali motivi? Per rispondere a queste domande enel interviene direttamente sulle pagine dell’Arpat – ovvero l’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana –, con un intervento a cura di Roberto Bonciani (ex responsabile Egp del supporto tecnico dell’O&M Geo) e Maurizio Cei (responsabile dell’Ingegneria del serbatoio Egp).

«Quando si parla di geotermia – spiegano dalla multinazionale italiana – siamo in presenza di un fenomeno naturale dove in genere si manifesta un’anomalia di tipo termico a cui sono spesso associate manifestazioni naturali di vapore e/o gas», e quando il serbatoio geotermico presenta condizioni di alta o media entalpia si affaccia la possibilità di coltivare il campo geotermico in questione per la produzione di energia elettrica.

In questo caso la scelta della tecnologia migliore da adottare «non può prescindere dalle caratteristiche del fluido geotermico reperito o reperibile» nell’area, compreso «il suo tenore di gas incondensabili sulla massa totale estratta». Tutti gli impianti geotermici da oggi gestiti da Enel green power in Toscana sono chiamati a confrontarsi con un «fluido geotermico ad alta entalpia e un contenuto di gas non trascurabile (>1% in peso sul fluido totale)».

Come ricordano Bonciani e Cei, questa categoria di sistemi geotermici «prevede l’utilizzazione “diretta” del vapore geotermico che viene espanso in turbina per produrre energia elettrica e successivamente condensato. La fase liquida ottenuta dalla condensazione viene reiniettata nel serbatoio geotermico, insieme all’eventuale fase liquida erogata dai pozzi di produzione».

Per quanto riguarda invece nello specifico «i gas incondensabili presenti nel fluido geotermico, dopo adeguato trattamento per eliminare la maggior parte delle sostanze critiche (tipicamente H2S, Hg), le minime parti restanti escono dai refrigeranti insieme al vapore acqueo nel processo di raffreddamento, elemento quest’ultimo che costituisce oltre il 99% dell’emissione dal refrigerante».

Come tengono a precisare da EGP, allo stato attuale delle conoscenze «nessun impianto geotermico nel mondo (sono oltre 620 le centrali geotermiche in esercizio nel pianeta) utilizza la reiniezione totale (fase liquida + gas), in campi con contenuto di gas superiori all’1%», in quanto, se il contenuto di gas è elevato, tale soluzione diviene «economicamente sconveniente ma anche tecnicamente complessa», potendo portare a «un accumulo di gas nel serbatoio stesso con conseguente incremento nel tempo degli incondensabili». Come si affronta dunque il problema delle emissioni?

«Le centrali geotermiche – argomentano Bonciani e Cei – si trovano in aree dove le emissioni naturali dal sottosuolo sono già molto importanti e non hanno alcun impatto sulla velocità di rilascio del gas in atmosfera. È importante precisare a questo proposito che la geotermia è considerata a livello internazionale un’energia rinnovabile perché è sostitutiva di emissioni naturali, che avverrebbero in modo più diffuso se non ci fosse l’attività industriale […] Le emissioni diffuse per degassamento naturale dal terreno nei territori dove è presente la geotermia possono essere un ordine di grandezza superiore rispetto a quella considerata “concentrata” derivante dalla coltivazione geotermoelettrica. Tuttavia possono apparire non trascurabili le emissioni concentrate di inquinanti tipici associati ai gas incondensabili come idrogeno solforato, ammonica, mercurio ecc. Da qui la necessità di operare trattamenti di abbattimento (es. Amis, Lo-Cat, ecc.) o di confinamento (es. scambio termico a superficie con l’atmosfera, separazione e reiniezione parziale o totale di gas, ecc.)».

Difatti ad oggi tutte le centrali geotermoelettriche di Enel green power presenti in Toscana sono dotate di impianto di Amis (Abbattimento mercurio idrogeno solforato), e fra il 2015 e il settembre 2018 l’Arpat ha condotto 54 verifiche di efficienza su questi abbattitori.

Com’è possibile valutare questa scelta aziendale da un punto di vista terzo e scientifico? Secondo Adele Manzella, Primo ricercatore del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e presidente dell’Unione geotermica italiana, contattata sempre da Arpat per approfondimenti sulle attività di ricerca nel campo della geotermia, considerato che «non esistono tecnologie commerciali che permettano di immettere nel sottosuolo fluidi ad altissimo contenuto di gas quali i fluidi geotermici toscani, azzerando così l’interferenza con l’ambiente, secondo me – afferma la ricercatrice – è innegabile che la migliore soluzione disponibile in commercio è quella utilizzata in Toscana. Ma questo non significa che non possano esistere altre soluzioni, bensì che occorre individuarle e testarle. Alcuni paesi stanno sperimentando tecnologie innovative, ma nessuna di queste è applicabile ipso facto alla Toscana, perché la situazione geologica e le caratteristiche dei fluidi è diversa. Io credo nell’importanza e urgenza della sperimentazione in questo settore, ed infatti partecipo ad un progetto europeo (Geco) che inizierà alla fine dell’anno, che ha come obiettivo esattamente una ricerca su questo tema».

Nel frattempo però è bene sottolineare che gli impatti ambientali della geotermia in Toscana sono costantemente posti sotto controllo a partire dall’ente pubblico preposto, ovvero Arpat, in modo che sia garantito il rispetto dei parametri di legge.

Anche dal Cnr hanno condotto diversi studi indipendenti sul tema, tanto da consentire a Manzella di poter confermare che  «le emissioni in Italia sono tenute sotto stretto controllo, i tenori di abbattimento elevatissimi. Io non ritengo che le emissioni residue [dagli abbattitori Amis, ndr] siano significative. Occorre continuare, comunque, a migliorare le tecniche di abbattimento e controllo, e offrire maggiore trasparenza nell’informazione, anche come confronto con altre tecnologie».

Anche per quanto riguarda i fenomeni di subsidenza e microsismicità la ricercatrice del Cnr spiega che entrambi «sono oggetto di monitoraggio continuo e i dati non indicano variazioni che io considero preoccupanti rispetto a quanto succede per sole cause naturali».

Idem per quanto riguarda gli impatti sulle acque di falda: «Ho molto apprezzato – conclude Manzella – l’effetto positivo che le preoccupazioni [sul tema, ndr] hanno generato: finalmente c’è un piano di monitoraggio in Amiata e i dati servono in primis a garantire la cura dell’acquifero potabile. I dati fino ad ora raccolti non indicano una chiara interferenza tra le falde superficiali e l’acquifero geotermico, ma il monitoraggio permetterà di identificare l’insorgere di eventuali problemi. La via percorsa, quella del controllo, è quella corretta, e andrebbe ampliata».

fonte: greenreport.it