Di Matteo: ”Contrastare la corruzione? Serve un salto di qualità”

Roma, il convegno in Cassazione. Woodcock: “Oggi la risposta dello Stato è quasi zero”
di Miriam Cuccu – Foto e Video integrale all’interno!
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“La connessione tra sistema mafioso e corruttivo è forse il più grave fattore di condizionamento e compromissione della democrazia” e della “violazione dei fondamentali diritti costituzionali”. L’ha sottolineato il pm di Palermo Nino Di Matteo, intervenuto al convegno “Condannati all’impunità” a Roma, presso la Corte di Cassazione, organizzato dalle associazioni Themis & Metis, costantemente impegnata nella lotta alla corruzione, ed Aiga Roma, la sezione capitolina dell’Associazione Italiana Giovani Avvocati. Di fronte ad una corruzione sempre più diffusa la magistratura, ultimo avamposto per il suo contrasto, si ritrova con le armi spuntate: per porre rimedio, ha chiarito il pm, bisogna “muovere da una diversa impostazione culturale” e fare un “salto di qualità”, ad esempio con “la riforma del sistema di prescrizione del reato: temo che le nuove regole in discussione sugli allungamenti più o meno frammentari dei termini siano solo un pannicello caldo per alleviare le conseguenze di questo sciagurato sistema”. Il pm di Palermo ha anche auspicato “l’istituzionalizzazione dell’agente provocatore, dietro autorizzazione e sotto il controllo del pm, per cogliere in flagranza gli autori del reato, estesa anche ai reati contro la pubblica amministrazione”, e ancora “un sistema che contrasti a livello legislativo il diffuso fenomeno dello scambio elettorale politico-mafioso. L’ultima legge – ha commentato Di Matteo – è l’ennesima occasione persa per una repressione definitiva ed efficace” in quanto considera la richiesta di voti da parte del mafioso frutto esclusivo della forza intimidatoria tipica dell’organizzazione criminale. Così come, ha spiegato ancora il magistrato, “è un pregiudizio culturale considerare più grave l’appartenenza mafiosa, anche marginale, prevedendo pene più alte rispetto a quelle per la condotta del politico che, in piena consapevolezza della mafiosità del suo interlocutore, stringe accordi politico-elettorali”.
“Il fenomeno della corruzione nasce quando il cittadino non si sente rappresentato dalle leggi dello Stato – ha riflettuto Alessandro Massari (Direzione Radicali italiani) – si tratta anche di un problema moralità pubblica: il popolo non si fida dello Stato e viceversa”.

Il fatto è che, ha considerato Henry John Woodcock, sostituto procuratore a Napoli, “la corruzione è un reato a vittima diffusa ma la percezione che i cittadini hanno del suo disvalore è scarsa”, ricordando come “non è possibile considerare la criminalità economica e dei colletti bianchi in maniera disgiunta dalla criminalità organizzata” e per questo “è importante che, per i primi, vengano attribuiti gli strumenti” già predisposti per il contrasto alla mafia. “I processi che coinvolgono la pubblica amministrazione – ha continuato Woodcock – in Italia non si fanno, e soprattutto non si arriva a sentenza definitiva” tanto che “la risposta dello Stato è pari quasi allo zero”. “Se la corruzione deve essere considerata come un fatto allarmante, da trattare in maniera straordinaria, come è stato fatto per la criminalità organizzata, bisogna procedere dal punto vista prima legislativo, poi giudiziario, e offrire una risposta alla repressione dei reati” ha aggiunto, concludendo che “rispetto al problema dei processi che non si concludono basterebbero pochi aggiustamenti: consentire per i processi di criminalità della pubblica amministrazione l’utilizzabilità degli atti acquisiti dai collegi precedenti, prevedere tra i fatti da trattare con priorità quelli di pubblica amministrazione o gli esoneri dalla trattazione di processi monocratici per i collegi penali che si occupano di criminalità economica”.
Mafia e corruzione, ha proseguito ancora Di Matteo, sono “due facce della stessa medaglia” e “metodi mafiosi e reati di pubblica amministrazione segmenti di un sistema criminale integrato. Questa situazione di gravissima impunità pesa insopportabilmente in termini di danni economici e di aspettative di quei cittadini che vogliono credere nella trasparenza dell’amministrare la cosa pubblica”. “Non parliamo di preistoria”, ha puntualizzato il magistrato, ma di questioni che ancora oggi “producono effetti velenosi e inquietanti”. A dimostrarlo, ha elencato Di Matteo, sono le recenti sentenze Dell’Utri e Andreotti, come pure la condanna e il procedimento in corso, rispettivamente, per gli ex presidenti della Regione Sicilia Cuffaro e Lombardo, ma anche il fatto che “la mafia viene usata come un’agenzia di servizi”. Un “modus operandi” provato dala condanna di politici ed amministratori locali, mafiosi e imprenditori romani per l’edificazione di un centro commerciale a Villabate: “I gruppi imprenditoriali non siciliani – ha spiegato il sostituto procuratore di Palermo – per risolvere i problemi sul territorio si sono infatti affidati alla famiglia mafiosa”. “Nei miei 25 anni di indagini e processi – ha quindi proseguito Di Matteo – ho ricavato che le teste pensanti di queste organizzazioni sono più sottili e intelligenti di quanto il giornalismo superficiale voglia far credere, ed ho sempre avuto la chiara consapevolezza che per Cosa nostra il vero punto di forza è il legame col potere: è nel suo dna”, dunque “potremo vincere definitivamente la mafia solo recidendo questi legami. Troppo spesso ho visto la politica delegare alla magistratura il compito di contrastare il crimine” e di sovrapporre “il concetto di responsabilità penale con quello di responsabilità politica”.

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Elio Lannutti

Per questo, ha commentato il pm, il codice etico interno al M5S, sul rapporto tra l’eletto e il candidato a quel movimento e vicende giudiziarie che lo dovessero riguardare, “è un importante e positivo segnale di svolta” in quanto “consente e in alcuni casi impone l’attivazione di meccanismi di responsabilità politica”. “La magistratura deve continuare a fare la sua parte fino all’ultimo per preservare l’autonomia del singolo magistrato – ha considerato Di Matteo – ma soprattutto la politica si deve riappropriare dell’essenziale funzione di prima linea nel contrasto e denuncia di ogni forma di contiguità criminale. La lotta alla mafia, alla corruzione ed ai colletti bianchi dovrebbe essere il primo obiettivo di qualsiasi governo. E finora non lo è stato”.
“Se noi non cominciamo a mettere i parlamentari di fronte alla questione delle performance delle leggi proposte – ha detto il vicepresidente della camera dei deputati Luigi Di Maio, nel corso del suo intervento – finiremo solo per produrre leggi ad effetto mediatico che poi vanno ad alimentare una giungla legislativa che tutti chiamano burocrazia”. Il deputato ha infatti raccontato come spesso “i media impongono il ritmo alla politica” con la conseguenza che “vengono depositati provvedimenti di legge ogni due giorni” ed il rischio diviene quello di “fare le leggi per un tweet” senza poi verificare e controllarne l’efficienza. Così come dall’altra parte “quando ci si ritrova a fare leggi pericolose per il Parlamento” spesso attraverso “la normalizzazione della norma si prova a disinnescarne l’effetto positivo”. La nuova proposta parlamentare presentata da Di Maio a suo dire potrebbe migliorare il quadro delineato contenendo il proliferare di leggi e costituendo una comitato che ha distanza di anni “valuta la performance di quella norma”.

Fonte:Antimafiaduemila