Francia: la bomba ad orologeria dell’islamizzazione

DI YVES MAMOU

Muslims praying, Elise Vincent, Comment

L’ultimo gruppo, definito degli Ultras, rappresenta il 28% dei musulmani intervistati. Essi affermano di voler condurre una vita al di fuori dei valori repubblicani. Per loro, i valori e la legge islamica, la sharia, vengono prima delle leggi della Repubblica. Essi approvano la poligamia e l’uso del niqab o del burqa per le donne.

  • Secondo Hamid El Karoui, intervistato per il Journal du Dimanche: “Questo 28% aderisce alla versione più retrograda dell’Islam, che è diventato per loro una specie di identità. L’islam è il pilastro della loro rivolta; essa si incarna in un Islam di separazione, teorie della cospirazione ed antisemitismo”.
  • E’ importante sapere che questo 28% si trova soprattutto nella fascia dei più giovani (il 50% sotto i 25 anni). In altre parole un giovane musulmano francese su due è un Salafita del tipo più radicale, anche se non frequenta le moschee.
  • È assurdo che gli unici strumenti a nostra disposizione siano degli inadeguati sondaggi di opinione. Senza una effettiva conoscenza, non è possibile alcuna azione politica, né qualsiasi altro genere di azione. È una situazione che avvantaggia enormemente gli islamisti politici aggressivi.
  • Una ostinata cecità è la madre della guerra civile a venire – a meno che i francesi scelgano di sottomettersi all’Islam senza combattere.

Recentemente, sono stati stampati in Francia due importanti studi sui musulmani francesi. Il primo, ottimisticamente intitolato, “Un Islam francese è possibile”(1), è stato pubblicato sotto gli auspici del Institut Montaigne, un think tank indipendente francese.

Il secondo studio (2), dal titolo “Lavoro, Società e questione religiosa”, è il quarto studio annuale congiunto tra l’Istituto Randstad (una agenzia per il lavoro) e l’Osservatorio di esperienza religiosa sul luogo di lavoro (Observatoire du fait religieux en entreprise, Ofre), una società di ricerca.

E’ stato ampiamente riportato dai media il fatto che i due studi colmassero un grosso deficit di conoscenza sulla demografia etnica e religiosa. La Francia è un paese ben dotato di demografi, ricercatori, professori ed istituti di ricerca, ma tutti i dati ufficiali o le statistiche basate su razza, provenienza o religione sono proibite per legge.

La Francia ha 66,6 milioni di abitanti, secondo un rapporto dell’Insee (istituto nazionale di statistica). Ma i questionari sul censimento vietano qualsiasi domanda su razza, origine o religione. E’ così impossibile sapere quanti musumani, bianchi, neri , cattolici, arabi, ebrei etc, vivano nel paese.

Questo divieto è basato sul vecchio e un tempo giusto principio di evitare qualunque discriminazione in un paese nel quale l’assimilazione è la regola. L’assimilazione, in stile francese, significa che ogni straniero che voglia vivere nel paese debba imitare i codici di comportamento della popolazione locale e sposare in fretta un autoctono. Questo modello assimilativo funzionava alla perfezione per gli spagnoli, portoghesi e polacchi. Ma con gli Arabi e i Musulmani, non ha più funzionato.

Ora, tuttavia, nonostante le buone intenzioni, una legge che proibisce la raccolta di dati che possano portare a discriminazione, è diventata un ostacolo alla sicurezza nazionale.

Quando un qualche gruppo di persone, che agisce apertamente sulla base della propria religione e del proprio gruppo etnico, comincia a contrastare con violenza i principi fondamentali della società nella quale uno vive, diventa necessario ed urgente conoscere a che tipo di religione e di gruppo etnico essi appartengano, e quante persone rappresentino.

I due studi in questione non sono basati sui dati di un censimento, ma su sondaggi. L’istituto Montaigne, per esempio, scrive che i musulmani rappresentano il 5.6% della popolazione metropolitana della Francia, 3 milioni per l’esattezza. Tuttavia, Michele Tribalat, demografo specializzato nei problemi dell’immigrazione, scrisse che dal 2014 si erano già superati i 5 milioni. Il centro di ricerca Pew ha stimato la popolazione musulmana francese a metà del 2010 in circa 4.7 milioni. Altri ricercatori invece, come Azouz Bagag, ex ministro delle Pari Opportunità (lasciò il governo nel 2007) stimano un numero di musulmani in Francia vicino ai 15 milioni.

Lo studio dell’istituto Montaigne: La secessione dei musulmani francesi

Lo studio dell’istituto Montaigne, uscito il 18 Settembre, si basa su un’ indagine condotta da IFOP (istituto francese di pubblici sondaggi), il quale ha intervistato 1029 musulmani. L’autore dello studio è Hakim el Karouim, consulente e consigliere dell’ex primo ministro Raffarin (2002-2005)

Si prendevano in esame tre tipologie di musulmani:

I primi erano i cosiddetti “laici” (46%). Queste persone si definivano “totalmente laiche, anche in quei casi in cui la religione occupi un posto importante nelle loro vite”. Nonostante essi si ritengano laici, molti di essi appartengono ad un gruppo sostiene che tutte le donne musulmane debbano indossare l’ hijab ( 58% degli uomini e 70% delle donne). Essi inoltre si sovrappongono al gruppo che sostiene l’utilizzo dell’ hijab a scuola (60%), sebbene lì ne sia proibito l’uso dal 2004. Molti di questi laici inoltre appartengono al gruppo di quelli che comprano sempre carne halal (70%), contro il 6% di quelli che non la comprano mai. Secondo lo studio, indossare l’hijab e mangiare solo carne halal sono considerati dagli stessi musulmani come dei significativi “markers” dell’identità musulmana.

Il secondo gruppo, denominato “gruppo dell’orgoglio islamico”, rappresenta il 25% del migliaio circa di persone intervistate. Essi si definiscono in primo luogo come musulmani e rivendicano il loro diritto di osservare la loro fede ( grosso modo riconducibile a hijab e halal) in pubblico. Essi tuttavia respingono il niqab e la poligamia. Essi affermano di rispettare la laicità e le leggi della repubblica, ma molti di loro si dicono contrari al divieto dell’hijab a scuola.

L’ultimo gruppo, definito degli “Ultras”, rappresenta il 28% degli intervistati, e ne compone il profilo più autoritario. Essi affermano di preferire una vita al di fuori dei valori repubblicani. Per essi, i valori islamici e la legge islamica, la sharia, vengono prima delle leggi della repubblica. Essi approvano la poligamia e l’utilizzo del niqab o del burqa.

“Questo 28% aderisce alla versione più retrograda dell’islam, che diventa per loro una forma di identità. L’islam è il pilastro della loro rivolta; e questa rivolta si incarna in un islam di separazione, teorie della cospirazione ed antisemitismo”, secondo Hamid el Karoui in un’intervista al Journal du Dimanche.

E, cosa più importante, questo 28% include prevalentemente dei giovani (50% sotto i 25 anni). In altre parole, un giovane musulmano su due è un salafita del tipo più radicale, anche se non appartiene ad una moschea. La domanda è: quanti saranno nei prossimi cinque, dieci o vent’anni? E’ importante domandarselo, perché i sondaggi presentano solo un punto di vista, un’istantanea della situazione. Quando vediamo che l’uso del velo e le restrizioni alimentari halal vengono imposte a tutta la famiglia dai figli più grandi, comprendiamo come stiamo assistendo ad un processo di rottura, di reislamizzazione dell’intera comunità musulmana da parte dei più giovani.

Così la giornalista ed autrice Elisabeth Schemla su Le Figaro:

“Per comprendere cosa significa re-islamizzazione è necessario prima dare una definizione di islamismo. La definizione più accurata ce la offre uno dei suoi più ferventi sostenitori, il Consigliere di stato Thierry Tuot, uno dei tre giudici chiamati quest’estate a decidere se vietare o meno il burkini sulle spiagge. L’islamismo, scrive, è “ l’affermazione pubblica di un comportamento sociale presentato come una necessità religiosa e che si espande nella sfera pubblica e nell’arena politica”. Alla luce di questa definizione, il rapposto di Al aroui ci mostra come l’islamismo si sta inevitabilmente espandendo.

L’islam è il presente; l’islamismo il futuro.

Un sondaggio, condotto tra Aprile e Giugno del 2016 da parte del Ranstad Institute e dell’Osservatorio per le esperienze religiose sul lavoro (OFRE), che ha visto intervistati 1405 manager di diverse aziende, ci rivela che per due manager su 3 (65%) il comportamento “religioso” si manifesta con regolarità sul posto di lavoro, in aumento rispetto al 50% del 2015.

Il prof. Lyonel Honorè, direttore dell’ OFRE ed autore dello studio, riconosce tranquillamente che nel 95% dei casi il “comportamento religioso sul posto di lavoro è legato ai musulmani”. Per comprendere l’importanza di questo “islam visibile” nelle fabbriche e negli uffici francesi oggi, occorre sapere che, tradizionalmente, il posto di lavoro veniva considerato come uno spazio neutrale. La legge non proibiva espressamente qualsiasi tipo di manifestazione religiosa o politica sul posto di lavoro, ma sia i datori di lavoro che i dipendenti ritenevano necessaria la moderazione da parte di tutti nell’esercizio della libertà religiosa.

Lo studio Ranstad del 2016 ci mostra che questa vecchia abitudine è finita. I simboli religiosi proliferano sul posto di lavoro, e il 95% di questi simboli visibili sono islamici. Ovviamente, esistono anche aperte espressioni sia di cristianesimo che di ebraismo, ma sono una minoranza rispetto all’islam.

Il sondaggio considera due tipi di espressione di credo religioso:

  1. Pratiche personali, come il diritto di assenza per festività religiose, orari lavorativi flessibili, il diritto di pregare durante i break lavorativi, ed il diritto di indossare simboli religiosi.
  2. Disturbo sul posto di lavoro o violazione dei ruoli, come il rifiuto da parte degli uomini di lavorare a fianco alle donne, o di prendere ordini da un superiore di sesso femminile, il rifiuto di lavorare con colleghi che non siano correligionari, il rifiuto di conseguire degli obiettivi specifici, e il fare proselitismo durante l’orario di lavoro.

Secondo il sondaggio, nel 2016, “l’indossare simboli religiosi è diventata l’espressione principale del proprio credo (21% dei casi, in aumento dal 17% del 2015 e dal 10% del 2014). La richiesta di permessi per motivi religiosi rimane stabile (18%) ma adesso risulta al secondo posto”.

Riguardo ad eventuali disturbi sul posto di lavoro, questo studio politicamente corretto ci mostra come i conflitti tra dipendenti e datori di lavoro su questioni religiose siano pochi: si tratta di “eventi minoritari” che riguardano “solo” il 9% del campione nel 2016. Ma i numeri dei conflitti sono nondimeno saliti al 50%, in aumento del 6% sul 2015. I conflitti sono inoltre triplicati dal 2014 (3%) e quasi quintuplicati dal 2013 (2%).

Eric Manca, un avvocato dello studio legale August e Debouzy specializzato in diritto del lavoro che assisteva alla conferenza stampa, disse che quando un dissidio su materie religiose sfociava in una lite, “è sempre un problema dell’islam. Cristiani ed ebrei non si rivolgono mai ai tribunali contro i loro datori di lavoro per questioni religiose”. Quando gli islamisti citano in giudizio i loro datori di lavoro, la giurisprudenza ci mostra come le accuse siano spesso basate su “razzismo” e “discriminazione”, accuse che possono solamente far pentire i datori di lavoro di averli assunti.

Motivi di conflitto possono essere il proselitismo (6%), il rifiuto di svolgere determinati compiti – un fattorino che si rifiuta di consegnare alcol, per esempio; rifiutarsi di lavorare con le donne o sotto la direzione di una donna (5%), o la richiesta di lavorare esclusivamente con altri musulmani (1%). Questi casi sono concentrati in specifici settori aziendali “come fornitori automobilistici, edilizia, processamento rifiuti, o supermercati… e sono concentrati in regioni periferiche”.

Conclusioni:

Il modello francese di assimilazione è finito. Come abbiamo rilevato, ha funzionato per tutti eccetto che per i musulmani francesi; e le scuole pubbliche non sembrano oggi in grado di trasmettere i valori repubblicani, specialmente tra i giovani musulmani. Secondo Hakim el Karoui: “I musulmani francesi stanno vivendo al centro di più crisi. La Siria, certo, scuote gli animi. Ma anche la trasformazione della società araba nella quale le donne assumono ruoli nuovi: le studentesse superano gli studenti come numero e le ragazze sono più istruite rispetto ai loro padri. La religione, nella sua versione autoritaria, è uno strumento per reagire contro queste evoluzioni… Ed infine, c’è una crisi sociale: sono musulmani due terzi delle vittime del lavoro minorile, ed in generale sono le prime vittime della deindustrializzazione.”

L’islamizzazione sta crescendo dappertutto. Nel centro delle città, molte donne arabe indossano il velo, e nelle periferie i burqa ed i niqab sono in crescita ovunque. Sul lavoro, dove un comportamento non-religioso era la regola, i manager imparano a mediare con le richieste degli islamisti. Nelle grandi aziende, come la Orange, (telecomunicazioni), è stato nominato un “responsabile per la diversità” per gestire richieste e conflitti. Nelle piccole aziende, i dirigenti sono nel caos. I conflitti e le cause sono in aumento.

A dispetto dell’ampia copertura dei media su questi due studi, l’unica reazione da parte dei politici è un sorprendente silenzio. Questo è irritante, perché lo studio dell’istituto Montaigne includeva anche alcune proposte per costruire un “islam francese”, come mettere fine ai finanziamenti esteri delle moschee, e formare a livello locale i leader religiosi e civili. Altre idee, come insegnare l’arabo nelle scuole pubbliche “per impedire ai genitori di mandare i figli alle scuole coraniche” sono piuttosto bizzarre, perché pepetuano la strategia errata di integrare l’islamismo attraverso le istituzioni. I giovani musulmani francesi, anche quelli nati in Francia, incontrano difficoltà a parlare e a scrivere adeguatamente il francese. Questo perché essi hanno bisogno di parlare e di scrivere correttamente il francese prima di ogni altra cosa.

Questi due studi, sebbene siano un punto di partenza, sono insufficienti. Politici, giornalisti e qualunque altro cittadino, ha bisogno di imparare di più sull’islam, sui suoi principi e sui suoi obiettivi nel paese. E’ incredibile che gli unici strumenti a disposizione siano dei sondaggi inadeguati. Senza conoscenza, nessuna azione politica o di altro tipo è possibile. Si tratta di una situazione che avvantaggia incredibilmente gli aggressivi islamisti politici.

Senza una maggiore conoscenza, la negazione del fenomeno dell’islamizzazione, e l’immobilismo nell’affrontarlo, continuerà. La cecità volontaria è la madre delle guerre civili che verranno, a meno che la gente e i politici non scelgano di sottomettersi all’islam senza combattere.

 

Yves Mamou, lavora in Francia, ha lavorato per vent’anni per Le Monde.

Fonte: www.gatestoneinstitute.org

Link: https://www.gatestoneinstitute.org/9058/france-islamization

3.10.2016

 

 TRADUZIONE PER www.comedonchisciotte.org a cura di VALENTINO FANCELLO