25 aprile, cosa raccontano le bandiere

—  Davide Conti

L’annunciata man­cata par­te­ci­pa­zione della Bri­gata Ebraica e dell’Aned alla mani­fe­sta­zione per il 70mo anni­ver­sa­rio della Libe­ra­zione ridur­rebbe sto­ri­ca­mente il signi­fi­cato della mani­fe­sta­zione. Non solo per il ruolo della Bri­gata Ebraica nella lotta par­ti­giana ma soprat­tutto per­ché pri­ve­rebbe il 25 aprile della fon­da­men­tale con­nes­sione seman­tica e valo­riale tra guerra al nazi­fa­sci­smo e auto­de­ter­mi­na­zione dei popoli che la Carta dell’Onu, il 26 giu­gno 1945, sancì come prin­ci­pio car­dine del nuovo ordine mondiale.

E pro­prio al prin­ci­pio dell’autodeterminazione la ban­diera del popolo pale­sti­nese si richiama per la costi­tu­zione di uno Stato che ancora Stato non è.

La natura e il signi­fi­cato della ban­diera risale alle rivolte arabe con­dotte, con Gran Bre­ta­gna e Fran­cia, con­tro l’impero otto­mano nella prima guerra mon­diale. Quel con­flitto si con­cluse con la pro­spet­tiva dell’indipendenza araba, il man­dato bri­tan­nico e la dichia­ra­zione di Bal­four del 1917 che creava le con­di­zioni storico-politiche per l’avvio del pro­cesso d’immigrazione ebraica in Pale­stina. Nel 1921 Amin Al-Husayni divenne gran Muftì di Geru­sa­lemme nono­stante la con­danna alla pri­gione da parte bri­tan­nica per l’aggressione al quar­tiere ebraico della città.

Dopo un nuovo man­dato d’arresto da parte inglese a seguito delle vio­lenze del 1936–39 fuggì, come aveva già fatto nel 1920, in Libano. Durante la seconda guerra mon­diale fu stretto alleato dell’Asse costi­tuendo reparti com­bat­tenti su diversi fronti del con­flitto. La Jugo­sla­via lo indicò come cri­mi­nale di guerra per l’operato delle sue for­ma­zioni bosnia­che durante l’occupazione nazi­fa­sci­sta dei Bal­cani.
Nel con­te­sto post-bellico l’internazionalizzazione della «que­stione pale­sti­nese» si svi­luppò paral­le­la­mente al discre­dito di Al-Husayni pro­prio in ragione della sua alleanza con Hitler e Mus­so­lini, tanto che come rap­pre­sen­tante della Pale­stina in seno alla Lega araba fu nomi­nato Musa al-Alami lea­der del par­tito nazionalista-islamico Istiqlal.

Così quando nel 1948, nel qua­dro degli eventi che por­ta­rono alla fine del man­dato bri­tan­nico; alla pro­cla­ma­zione dello Stato d’Israele; all’esodo della popo­la­zione pale­sti­nese e alla prima guerra arabo-israeliana, quello svolto da Al-Husayni fu un ruolo effi­mero e poli­ti­ca­mente privo di inci­denza. Col­lo­cato a Gaza dall’esercito egi­ziano per inse­diarsi come pre­si­dente della Pale­stina il 1 otto­bre 1948, dopo pochi giorni fu rimosso di forza.

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25 aprile 2014. Foto Atti­lio Cristini
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25 aprile 2014. Foto Atti­lio Cristini

La ban­diera pale­sti­nese ha attra­ver­sato come tutte quelle nazio­nali il fuoco della grande sto­ria e come molte è stata bran­dita come ves­sillo e arma da clan, calif­fati e dit­ta­tori. Ma pro­prio la linea di faglia sto­rica demar­cata dalla fine della guerra mon­diale e la inter­na­zio­na­liz­za­zione della «que­stione pale­sti­nese» ne hanno ride­fi­nito senso e signi­fi­cato tra­sfor­man­dola nel sim­bolo non solo dell’Olp, ma anche di tutti quei popoli che lot­tano per l’autodeterminazione che il diritto inter­na­zio­nale riconosce.

C’è stato un tempo in cui il l’antifascismo riu­scì ad essere campo inclu­sivo e non esclu­dente di que­ste anime della sto­ria. I gap­pi­sti Rosa­rio Ben­ti­ve­gna e Marisa Musu ave­vano certo idee molto diverse sul con­flitto in Medio Oriente, con la seconda vicino ai «Bam­bini dell’Intifada» (come recita il titolo di un suo libro del 1991) ed il primo con­si­de­rato un «eroe» dalla Comu­nità ebraica di Roma (come dichiarò Ric­cardo Paci­fici il giorno della morte del par­ti­giano «Paolo»).

Tut­ta­via la guerra com­bat­tuta per la libe­ra­zione dei popoli e la forza della loro auto­re­vo­lezza teneva insieme, den­tro la visione lunga della sto­ria, istanze di libe­ra­zione anti­che e nuove, rifug­gendo dall’adagio secondo cui la sini­stra sarebbe amica degli ebrei di ieri e ostile a quelli di oggi, senza allo stesso tempo abban­do­nare alle sof­fe­renze dell’occupazione un popolo in esilio.

Il senso del 25 aprile non è quello della rap­pre­sen­ta­zione sce­nica di con­flitti asim­me­trici che scon­vol­gono il mondo di oggi. È la data più impor­tante della sto­ria della demo­cra­zia in Ita­lia e uno spa­zio pub­blico di cit­ta­di­nanza libera, a cui chiun­que si rifac­cia a quei valori ha il «dovere», prima ancora che il diritto, di partecipare.

Fonte:Ilmanifesto