Don Ciotti: «Corruzione come la mafia»

Un fiume impres­sio­nante di per­sone ha fatto di Bolo­gna, per un giorno, la capi­tale ita­liana della lotta anti­ma­fia. Decine di migliaia di donne e uomini (200 mila secondo gli orga­niz­za­tori) hanno sfi­lato ieri mat­tina dallo sta­dio al cen­tro sto­rico per la ven­te­sima gior­nata della memo­ria e dell’impegno per le vit­time inno­centi delle mafie. In tutto poco meno di 4 chi­lo­me­tri che il ser­pen­tone ha per­corso con la testa alta e la schiena dritta. «Cam­mi­niamo insieme per chie­dere verità e giu­sti­zia» ha detto il fon­da­tore di Libera, don Luigi Ciotti. Più tardi in una piazza VIII Ago­sto gre­mita all’inverosimile, don Luigi ha sfer­zato la poli­tica det­tando una fitta agenda di impe­gni da assu­mere (leg­gasi: leggi da appro­vare, ndr) per con­tra­stare effi­ca­ce­mente le mafie. Per­ché «non c’è più tempo».

Il cor­teo

In testa, come da tra­di­zione, lo stri­scione di Libera con lo slo­gan scelto per la gior­nata: «La Verità illu­mina la giu­sti­zia». A reg­gerlo ci sono i fami­liari delle vit­time inno­centi delle mafie. In oltre 600, sono arri­vati a Bolo­gna coi pull­man della poli­zia e della Fore­stale, poco dopo le nove, pro­ve­nienti da Rimini dove hanno pas­sato la notte. Ognuno con un’immagine del pro­prio caro ucciso: c’è chi la porta visi­bile in un car­tello appeso al collo e la mostra ai pas­santi, chi l’ha impressa sulla maglietta bianca e la sfog­gia con orgo­glio, chi la tiene in mano con rispetto e discre­zione e chi la con­serva nel cuore e la mostra solo a parole.
Verità e giu­sti­zia: è que­sto bino­mio che spinge le stan­che gambe dei coniugi Ago­stino, geni­tori dell’agente Anto­nino, ucciso insieme alla gio­vane moglie a Palermo il 5 ago­sto del 1989. Il padre Vin­cenzo ha i capelli e la barba lun­ghis­simi: non se la taglia da quel 5 ago­sto: «Lo farò solo quando avrò avuto giu­sti­zia per i miei morti (nell’agguato, oltre al figlio Anto­nino, fu uccisa anche la moglie incinta, ndr)» spiega men­tre cam­mina per le strade medie­vali del cen­tro con accanto la moglie e un nipote.

Poco più indie­tro ci sono i fami­liari di Anto­nio Lan­dieri, ucciso nella faida di Scam­pia. Sono circa una decina: c’è anche una gio­vane che spinge una car­roz­zina. Por­tano tutti una maglietta bianca con su scritto il suo nome. Anto­nio è stato ucciso per errore men­tre in rione Sette Palazzi stava gio­cando a cal­cio balilla con alcuni amici. Sono stati scam­biati per degli spac­cia­tori. Gli assas­sini non sono ancora stati indi­vi­duati. «Non vogliamo essere qui per ricor­darlo in maniera malin­co­nica — dice suo cognato -, vogliamo fare memo­ria attiva. Que­ste morti non devono essere inu­tili, la nostra testi­mo­nianza deve fare sì che certe cose non acca­dano più».

A poca distanza c’è un altro napo­le­tano, Giu­seppe Miele, fra­tello di Pasquale, ucciso a Grumo Nevano nel 1989. «La nostra fami­glia aveva una fab­brica di abbi­glia­mento. Ci siamo rifiu­tati di pagare il pizzo e loro hanno deciso di fare un’azione inti­mi­da­to­ria. Hanno spa­rato con­tro le fine­stre. E’ così che mio fra­tello è stato col­pito ed è morto sotto gli occhi di mia madre e di mio padre».
Nel lungo ser­pen­tone che segue i fami­liari ci sono i gio­vani delle scuole, gli ammi­ni­stra­tori di Avviso Pub­blico, i sin­da­ca­li­sti della Cgil e della Fiom, ma anche della Cisl e della Uil. Ognuno rico­no­sci­bile ma rigo­ro­sa­mente senz’altra ban­diera che non sia quella di Libera.

I nomi che graffiano

Il cor­teo, par­tito dallo sta­dio poco dopo le 9.30, pro­cede a sin­ghiozzo, alter­nando pause a momenti in cui il passo si fa veloce. Come sot­to­fondo, dal camion­cino elet­trico in testa, la let­tura dei nomi delle 1035 vit­time inno­centi della mafia, del ter­ro­ri­smo e delle stragi. Gli stessi nomi che in piazza VIII Ago­sto una staf­fetta di poli­tici, sin­da­ca­li­sti, per­so­na­lità dello spet­ta­colo, auto­rità, fami­liari e sem­plici cit­ta­dini ha letto prima del discorso con­clu­sivo di don Ciotti. «Tutti i nomi, non solo quello di mio fra­tello — dice Giu­seppe Miele -, ven­gono a graf­fiare den­tro ognuno di noi, ven­gono a graf­fiare le nostre coscienze, a spin­gerci a fare qual­cosa per miglio­rare la nostra società». La prima a salire sul palco è stata la pre­si­dente della com­mis­sione anti­ma­fia Rosy Bindi; l’ultimo l’ex pro­cu­ra­tore di Torino Gian­carlo Caselli che, dopo aver pro­nun­ciato l’ultimo nome, quello del giu­sla­vo­ri­sta Marco Biagi, ha detto: «A voi va la nostra memo­ria e il nostro impe­gno affin­ché la verità possa illu­mi­nare la giu­sti­zia». A quel punto, la com­mo­zione delle decine di migliaia di per­sone giunte in piazza si è sciolta in un lungo applauso.

Il discorso

Don Luigi Ciotti sale sul palco poco dopo le 12.30. Ha con sé un pic­colo plico di appunti. «La demo­cra­zia è incom­pa­ti­bile con il potere impo­sto o con il potere segreto. Per que­sto non può restare il dub­bio che ci sia stata una trat­ta­tiva con la mafia». La piazza applaude, a più riprese. «Certe leggi non rie­scono a pas­sare, ma quella sulla respon­sa­bi­lità civile dei magi­strati è pas­sata, eccome se è pas­sata» incalza don Luigi che chiede più stru­menti e risorse per la magi­stra­tura e le forze di poli­zia impe­gnate nelle inchie­ste sulla cri­mi­na­lità orga­niz­zata e la corruzione.

Dal palco, e con la forza delle 200 mila per­sone giunte da tutta Ita­lia, il fon­da­tore di Libera detta alla poli­tica gli impe­gni per pas­sare dalle parole ai fatti: appro­va­zione di una legge sulla cor­ru­zione, sul falso in bilan­cio, sulla pre­scri­zione. Il tutto senza media­zioni, senza nego­ziati con quelle forze che si oppon­gono a que­ste leggi. «Chi non vuole una legge sulla cor­ru­zione fa un favore ai mafiosi, ai potenti, alle lobby» dice don Ciotti. E poi­ché «la cor­ru­zione è la più grave minac­cia alla demo­cra­zia e l’avamposto delle mafie» biso­gna col­pire duro.

«Le mafie dia­lo­gano con le imprese, con­di­zio­nano la poli­tica, sono tra­sver­sali»: «non si può par­lare di infil­tra­zione, ma di occu­pa­zione dei ter­ri­tori» da parte dei clan. Insomma, nes­suno può più dire, anche al nord, anche in Emi­lia, «io non sapevo». «Il pro­cesso di libe­ra­zione non è finito, ci vuole una nuova resi­stenza» dice don Ciotti che, pur senza citarlo, attacca anche il lea­der della Lega Nord Mat­teo Sal­vini: «Vor­rei dire a chi si è tanto pre­oc­cu­pato di cac­ciare i migranti dal paese, che biso­gna cac­ciare i mafiosi e i corrotti».

Per col­pire al cuore le mafie, ha sem­pre soste­nuto Libera, biso­gna col­pire i patri­moni dei mafiosi. E quindi sì ai seque­stri dei beni mafiosi e sì all’affido degli stessi alla col­let­ti­vità. Ma ora che la crisi ha lasciato senza lavoro milioni di gio­vani e non solo, biso­gna agire per ridurre la povertà. «Ci vuole una legge per il red­dito minimo o di cit­ta­di­nanza: pos­si­bile che l’abbia tutta Europa tranne la Gre­cia e l’Italia?».

Tutti impe­gni da rispet­tare in fretta per­ché, come ricorda don Ciotti citando don Primo Maz­zo­lari: «Rischiamo di morie di pru­denza in un mondo che non può più attendere».

Fonte:Ilmanifesto