I satelliti vedono una fusione senza precedenti alla superficie della calotta glaciale della Groenlandia

di Maria-José Viñas* – Nasa

Traduzione e nota a seguire di Antonino Bonan**.

Questo mese, per parecchi giorni la copertura glaciale della Groenlandia è stata interessata da fusione su un’area più vasta rispetto a qualsiasi altro momento, considerando gli ultimi 30 anni di osservazioni satellitari.

Quasi tutta la calotta glaciale, dai suoi sottili bordi costieri a bassa quota fino al suo centro spesso 2 miglia [1], ha subìto un qualche disgelo alla sua superficie, in base alle rilevazioni da 3 satelliti indipendenti analizzate dalla NASA e da scienziati di alcune università.

In media d’estate è naturale che ci sia disgelo su circa metà della superficie glaciale della Groenlandia. In alta quota, gran parte di quell’acqua di fusione ricongela rapidamente sul posto. Vicino alla costa, parte dell’acqua di fusione è trattenuta dalla calotta glaciale e il resto si perde nell’oceano. Ma quest’anno l’estensione del disgelo alla superficie o vicino ad essa è aumentata bruscamente. Secondo i dati satellitari, si stima che il 97% della superficie glaciale sia interessata in qualche modo dal disgelo a metà luglio.

I ricercatori non hanno ancora stabilito se questo evento di fusione così estesa influenzerà la perdita complessiva nel volume di ghiaccio attesa per quest’estate, nè se essa contribuirà in maniera rilevabile all’innalzamento del livello del mare. “La calotta glaciale della Groenlandia è una vasta area con un’articolata storia di cambiamenti. Questo evento, combinato con altri fenomeni naturali ma non comuni come il grande evento di distacco dal Ghiacciaio di Petermann [2] la settimana scorsa, sono parte d’una storia complessa” ha detto Tom Wagner, responsabile del programma di ricerca sulla criosfera alla NASA di Washington. “Le osservazioni satellitari ci stanno aiutando a capire in che modo eventi come questi possano essere in relazione sia tra di loro che col sistema climatico più ampio.”

Son Nghiem del Jet Propulsion Laboratory della NASA di Pasadena, in California, la settimana scorsa analizzava dati radar rilevati dal satellite Oceansat-2 dell’Indian Space Research Organisation’s (ISRO), quando notò che gran parte della Groenlandia pareva essere stata interessata da fusione il 12 luglio. Nghiem ha detto: “Ciò era così straordinario che all’inizio misi in discussione il risultato: questo era reale o era dovuto ad errori nei dati?”

Nghiem si consultò con Dorothy Hall al Goddard Space Flight Center della NASA di Greenbelt, nel Maryland. La Hall studia la temperatura superficiale della Groenlandia usando lo spettroradiometro ad immagini di moderata risoluzione (MODIS) montato sui satelliti Terra e Aqua della NASA. Confermò che MODIS mostrava temperature insolitamente elevate e che il disgelo era abbondante sulla superficie della calotta glaciale. Anche Thomas Mote, climatologo della University of Georgia ad Athens, in Georgia, e Marco Tedesco della City University di New York hanno confermato la fusione vista da Oceansat-2 e MODIS con dati satellitari da rilevatori passivi alle microonde, misurati dal profilatore/scansionatore speciale a microonde montato su un satellite meteorologico delle Forze Armate U. S. A. Il disgelo si è allargato rapidamente. Le mappe di fusione ricavate dai tre satelliti hanno mostrato che l’8 luglio circa il 40% della superficie della calotta glaciale era stata interessata dal disgelo. Al 12 luglio, questo aveva coinvolto il 97% della superficie.

Estensione della superficie interessata da fusione sulla calotta glaciale della Groenlandia nei giorni 8 (sinistra) e 12 (destra) luglio 2012. Le misure da tre satelliti hanno mostrato che l’8 luglio circa il 40% della calotta avevano subìto disgelo alla superficie o su uno strato ad essa prossimo. In solo pochi giorni, la fusione è bruscamente accelerata e al 12 luglio il disgelo ha interessato una percentuale stimata del 97% della superficie ghiacciata. Nell’immagine, le aree di “fusione probabile”(“probable melt”, rosa chiaro) corrispondono a quelle dove almeno un satellite ha rilevato fusione superficiale. Le aree di “fusione” (“melt”, rosa scuro) corrispondono a quelle dove essa è rilevata da due o tre satelliti. I satelliti misurano varie proprietà fisiche a seconda della scala e passano sopra la Groenlandia in vari momenti. Nel complesso, essi configurano un evento estremo di fusione, cui gli scienziati attribuiscono un alto grado di confidenza. [Immagini fornite grazie a Nicolo E. DiGirolamo, SSAI/NASA GSFC, e Jesse Allen, NASA Earth Observatory]

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Questo evento estremo di fusione è coinciso con un promontorio d’aria calda insolitamente forte, ossia una cupola calda, sopra la Groenlandia. Il promontorio faceva parte d’una serie che ha dominato il tempo sulla Groenlandia dalla fine di maggio. “Ciascun promontorio successivo è stato più forte del precedente” ha detto Mote. Quest’ultima cupola ha cominciato a spostarsi sulla Groenlandia l’8 luglio e poi ha sostato sulla calotta glaciale all’incirca nei tre giorni successivi. Dal 6 luglio, esso ha cominciato a dissolversi.

Anche l’area attorno alla stazione di Summit nella Groenlandia centrale, che sta a 2 miglia sul livello del mare ed è vicina al punto più alto della calotta glaciale, ha mostrato segnali di disgelo. Una così accentuata fusione a Summit e sulla calotta nel suo complesso non si era mai verificata dal 1989, secondo le carote di ghiaccio analizzate da Kaitlin Keegan al Dartmouth College di Hanover, nel New Hampshire. Una stazione meteorologica della National Oceanic and Atmospheric Administration a Summit ha confermato che le temperature dell’aria stavano sopra il punto di fusione o comunque non più di un grado sotto di esso per parecchi giorni l’11 e il 12 luglio.

“Le carote di ghiaccio da Summit mostrano che gli eventi di fusione di questo tipo accadono all’incirca una volta ogni 150 anni in media. Considerando l’ultimo avvenuto nel 1889, questo evento è giusto in tempo” dice Lora Koenig, glaciologa di Goddard e membro della squadra di ricerca che analizza i dati satellitari. “Ma se continuiamo a osservare eventi di fusione come questi negli anni a venire, ci sarà da preoccuparsi.”

La scoperta di Nghiem nell’analizzare I dati da Oceansat-2 era il tipo di beneficio che NASA ed ISRO avevano sperato di stimolare quando a marzo 2012 firmarono un accordo per cooperare ad Oceansat-2 condividendo dati.

 

Nota

di Antonino Bonan

Ho fatto anch’io il mio piccolo esercizio d’inglese scientifico, traducendo come posso un articolo che è stato ripreso con enfasi da alcuni siti web (si veda anche http://www.megachip.info/tematiche/democrazia-nella-comunicazione/8592-groenlandia-nasa-insolita-e-troppo-rapida-fusione-di-ghiaccio.html) e da testate giornalistiche nazionali. Ecco cosa mi è saltato all’occhio. Parto dalle “pulci”.

Si tratta (nella fonte originale, dunque a prescindere dalle eventuali storpiature sui media nostrani) di un articolo di propaganda, sebbene tratti di cose vere. Basta leggerlo a partire dall’ultimo capoverso. E poi il titolo: “fusione senza precedenti” (solo l’esperto coglie che lo è da quando si hanno a disposizione dati satellitari, non certo da prima; tant’è che i carotaggi ne fanno risalire una analoga al 1889).

Si considera un singolo evento anomalo. Si dice che dovrebbe succedere in media ogni 150 anni, e ne sono passati appunto poco meno dall’ultima volta: ciò contrasterebbe in termini statistici con l’asserita anomalia. In effetti, alla fine si dice che l’anomalia non è ancora veramente tale, ma lo sarà se si ripresenterà a breve. Senza proiezioni future da modelli climatici, che prevedono un riscaldamento globale, l’articolo non certifica alcuna stranezza.

– Attenzione all’interpretazione delle affermazioni. Non si dice che in 4 giorni s’è fusa il 97% della calotta. Si dice semmai che dal 40% della superficie (dato appena sotto la media estiva) si è passati bruscamente al 97% della stessa. Trattandosi di uno strato sottile, la massa fusa alla fine è una piccolissima parte della massa dell’intera calotta. Ovvio perciò che non si riesca a quantificarne l’effetto sul deficit atteso a fine estate per la massa glaciale della Groenlandia. E ancor più, che non si riesca a prospettare conseguenze in termini d’innalzamento nel livello degli oceani.

Non è però opportuno fermarsi a far le pulci. A prescindere da esse, infatti, l’articolo offre vari spunti informativi d’interesse. C’è da coglierli senza malintesi, come notizie su indizi (sebbene non prove) di cambiamenti climatici critici. A tal fine, mi verrebbe in mente di seguire questo schema logico nel raccogliere le varie fonti scientifiche:

I dati del passato generalmente sono usati per ricostruire un andamento statistico. In questo caso, i dati più antichi sono ricavati principalmente dai carotaggi, mentre da alcuni anni ad essi si può affiancare l’analisi delle misure da satellite.

La ricostruzione dell’andamento statistico permette di definire a che livelli si possa parlare di anomalia, prima che questa sia effettivamente osservata. L’estensione della fusione, nel caso in esame, è anomala al punto che “in teoria”, secondo la statistica, dovrebbe accadere una volta ogni molti anni (ben 150).

Per essere un campanello d’allarme già solo in base alle ricostruzioni statistiche, un evento analogo (o più significativo) dovrebbe essersi ripetuto più di due volte in 150 anni. Ciò non è, in quanto i carotaggi indicano un evento analogo 2012-1889=123 anni fa. Ma i dati del passato non sono le uniche informazioni che possiamo usare.

– L’evento è accaduto, anche se non è ancora un motivo d’allarme, per quanto appena detto. A questo punto del ragionamento, ci sarebbe da preoccuparsi solo se passeranno significativamente meno di 150 anni prima di poterne vedere altri (simili o peggiori). Tiriamo dunque i remi in barca, prima di allora? Nient’affatto, perché c’è dell’altro!

– La meteorologia si focalizza a scala temporale più breve, sia per analizzare che per prevedere nel dettaglio le condizioni del tempo. Queste ultime sono ovviamente le cause della fusione sulle calotte glaciali. I meteorologi sono quindi coloro dai quali c’è da aspettarsi una sveglia: quando si prospettano e/o si stanno verificando periodi particolarmente caldi. Suonata la sveglia, si devono tener d’occhio per bene i dati che arrivano dai satelliti e dalle osservazioni glaciologiche sul posto, per vedere se sta ripresentando un evento di fusione così significativo. E il lavoro dei meteorologi si affianca a quello dei glaciologi.

– La climatologia considera scale spaziali e temporali più grandi, con minor dettaglio ma con l’ambizione anche di disegnare scenari futuri di più ampio respiro. Basta appunto che non le si chieda di prevedere con troppa precisione gli scenari a piccola scala (su una piccola regione e/o in un momento preciso). Esistono a questo scopo i modelli climatici, i quali hanno raggiunto un rilevante consensus: prevedono in genere un riscaldamento globale. È insomma pressochè certo, che non dovremo attendere i 150 anni di cui sopra.

Pertanto, questo grosso evento di fusione non è ancora, preso singolarmente, un motivo d’allarme. Sono le proiezioni dei modelli climatici, semmai, a farne evidenza di un contesto allarmante.

Attenzione: non stiamo parlando di oroscopi. I modelli climatici sono sofisticati sistemi di calcolo, che partono dalla descrizione completa e fondata di tutte le osservazioni disponibili, per poi tracciare scenari. È nel quadro delle loro analisi che si inseriscono altre osservazioni, comprese quelle eclatanti assurte agli effimeri onori della cronaca. Basti pensare alla precoce e abbondante riduzione dei ghiacci attorno al polo Nord[3], al netto ritiro dei ghiacciai alpini, alle estati calde e secche come quella degli USA 2012[4], ai sempre più frequenti eventi di precipitazione estremamente breve e intensa come quelli recenti di Pechino e del Mar Nero…..

Insomma: al di là dei sensazionalismi nella cronaca e dell’autoreferenzialità negli enti di ricerca, lo stato dell’arte della scienza del clima permette di mettere insieme tutte le osservazioni meteoclimatiche e glaciologiche, che all’occhio inesperto paiono “ordinarie” o “straordinarie”. Dal calderone escono poi degli scenari, tali da far suonare la sveglia per tutti, dormiglioni compresi.

Sarebbe sin troppo facile, accontentarsi dei dati del passato e dire che alcuni di questi eventi “son sempre capitati”, più o meno. Sarebbe una considerazione puramente statistica, che non tiene opportunamente conto dei processi fisici in ballo. Sono invece proprio i modelli climatici, a tenerne conto secondo il massimo rigore scientifico e la massima completezza possibile.

Naturalmente il mondo va avanti anche per dinamiche non solo “fisiche” e “statistiche”. Questo, assieme all’intrinseca variabilità climatica, fa sì che non ci sia un unico scenario climatico possibile. Ma i vari scenari diventano sempre più convergenti verso un consistente riscaldamento globale, a mano a mano che l’uomo fa orecchie da mercante di fronte ai segnali della natura.

Bene. Ora conosciamo l’ennesimo luogo dove andare a scovare una bella sveglia, quando tra un po’ suonerà al realizzarsi degli scenari di riscaldamento globale: sui ghiacci della Groenlandia. Ma ci serve poi andar così lontano?

 

* NASA’s Earth Science News Team, Goddard Space Flight Center, Greenbelt, Md (USA)

** Meteorologo – Alternativa Veneto

Fonte: http://www.nasa.gov/topics/earth/features/greenland-melt.html