Nega, inganna e ritarda: i pilastri della disinformazione climatica

Le principali tattiche per diffondere il dubbio e ingannare l’opinione pubblica sui social media. E come rispondere ai negazionisti climatici

Il nuovo rapporto Deny, deceive, delay: documenting and responding to climate disinformation at COP26 and beyond, pubblicato  dall’Institute for strategic dialogue (Isd) e dalla coalizione Climate action against disinformation (Caad,) documenta la portata e la diversa natura della disinformazione climatica prima, durante e dopo la 26esima Conferenza delle parti dell’United nations framework convention on climate change (Cop26 Unfccc), tenutasi a Glasgow nel 2021.

Si tratta del rapporto di questo genere più completo mai realizzato, e fornisce 7 raccomandazioni politiche essenziali per impedire alla disinformazione di mettere a repentaglio l’azione climatica futura, a partire dalla COP27 Unfccc che  si terrà in Egitto a novembre.

L’Isd spiega che «il rapporto è il risultato di uno sforzo senza precedenti per monitorare e rispondere alla disinformazione climatica». Gli analisti dell’Isd e di 8 organizzazioni partner hanno scoperto che «le strategie messe in atto dalle compagnie Big tech e dalle organizzazioni dei media sono inefficaci nel combattere la disinformazione virale, e i sistemi restano soverchiati dalla pubblicità greenwashing e da altri high-traction denial».

Analizzando i social media, il dossier “Deny, deceive, delay” ha riscontrato che la disinformazione con maggiore forza trainante proviene soprattutto da un numero selezionato di esperti e attori politici, che «fondono le narrazioni sul clima e le “guerre culturali” per violare in tandem più politiche di moderazione dei contenuti». Twitter ha il maggior numero di contenuti falsi in termini di volume, mentre l’algoritmo di Facebook ha una maggiore esposizione alla disinformazione climatica, a dispetto del suo stesso Climate science center e alle sue politiche di fact-checking che vengono purtroppo scarsamente applicate.

Jennie King, head of climate disinformation dell’Isd, spiega che «la nostra analisi ha dimostrato che la disinformazione climatica è diventata più complessa, evolvendosi da quella che era una vera e propria negazione a “discourses of delay” identificabili per sfruttare il gap tra buy-in e azione. I governi e le piattaforme dei social media devono apprendere le nuove strategie in atto e comprendere che la disinformazione nel regno climatico ha un crescente incrocio con altri danni, tra cui l’integrità elettorale, la salute pubblica, l’incitamento all’odio e le teorie del complotto. Abbiamo proposto 7 misure concrete che possono adottare per contrastare l’importanza e l’impatto di questi contenuti, per costruire mandati pubblici basati su una scienza credibile e un dibattito in buona fede».

Basandosi sulle narrazioni e le tattiche identificate dal suo sistema di monitoraggio, la coalizione Caad raccomanda che «i responsabili politici riconoscano formalmente la minaccia, adottino una definizione universale di disinformazione climatica e limitino le scappatoie per i media tradizionali nella regolamentazione tecnologica, come il Digital services act dell’Ue: tutto questo contribuirà a mitigare il rischio che contenuti falsi o fuorvianti ostacolino i negoziati sul clima e le agende legislative in questo momento critico».

L’europarlamentare Verde Gwendoline Delbos-Corfield, che fa parte della Commissione speciale Inge2 responsabile della mitigazione delle minacce di disinformazione nell’Unione europea, ha definito il rapporto «un’analisi tempestiva e importante dello stato di avanzamento della disinformazione climatica. L’innovativa dashboard di Isd e Casm technology ci ha fornito nuove e preoccupanti informazioni sulla portata con la quale protagonisti  malintenzionati vanno a distorcere e screditare la scienza climatica. Questo dimostra che, lungi dall’affrontare il problema, le piattaforme [social media] stanno amplificando le voci di una piccola comunità di attori che diffondono disinformazione climatica. Dobbiamo fare di più per affrontare la disinformazione climatica a livello europeo. Se non vengono presi provvedimenti urgenti per affrontarla frontalmente, il nostro lavoro collettivo per raggiungere gli obiettivi climatici rischia di essere minato».

Il rapporto identifica anche le azioni concrete che dovrebbero essere intraprese dalle Big Tech per migliorare il loro approccio sistematico alla prevenzione della disinformazione climatica: migliorare la trasparenza e l’accesso ai dati per quantificare le tendenze della disinformazione su larga scala; adottare una definizione di disinformazione climatica nelle linee guida della community o nei termini di servizio; limitare la promozione ingannevole dei combustibili fossili nella pubblicità a pagamento e nei contenuti sponsorizzati; applicare o introdurre politiche contro i recidivi che diffondono disinformazione sui loro prodotti e servizi; etichettare meglio i contenuti vecchi o fuorvianti per prevenire il ricircolo di disinformazione; consentire ricerche basate su immagini tramite Api per tracciare meglio la disinformazione virale in formato meme, video e immagine.

Queste linee guida politiche si basano ciascuna su un corpus di prove prodotte negli ultimi 18 mesi, soprattutto durante e dopo la Cop26. Il rapporto fornisce esempi esaurienti di chi sta diffondendo negazionismo climatico e quali tipi di disinformazione crescono in vari spazi online e per quali tipi di pubblico.

Michael Khoo, co-presidente della Climate disinformation coalition per Friends of the Earth Usa, ha sottolineato: «Non saremo in grado di fermare il cambiamento climatico se tutte le conversazioni saranno inondate di disinformazione. I governi devono richiedere alle compagnie dei social media di essere trasparenti e responsabili dei danni causati dai loro prodotti, come fanno con ogni altro settore, dalle compagnie aeree alle auto, alla trasformazione degli alimenti. Non dovremmo continuare con questo gioco senza fine del negazionismo climatico che scava come una talpa».

Il Caad chiede all’Ipcc, all’Onu, all’Unione europea, agli organismi scientifici, ai social media e ai responsabili politici di «affrontare la disinformazione climatica con passi concreti prima dei negoziati della Cop27».

Ben Blackwell, ceo del Global wind energy council (Gwec), fa notare le ricadute concrete del negazionismo climatico: «La disinformazione è una vera minaccia alla transizione energetica e al raggiungimento dei nostri obiettivi climatici, poiché mira a diffondere confusione e divisione tra i responsabili politici, le comunità e altri attori, causando ritardi vitali verso soluzioni chiave come l’aumento dell’energia eolica e solare. Come mostra questo importante rapporto di Isd, Casm e Caad, la disinformazione si è spostata da un vero e proprio negazionismo climatico a “discorsi ritardanti” e soluzioni di discredito verso la crisi climatica, diffondendo inerzia e sconforto. Il Gwec elogia il continuo lavoro svolto dall’Isd per monitorare, analizzare ed esporre questi sforzi di disinformazione».

Ilana Berger, ricercatrice sulla climate & energy Internet disinformation, conclude: «Questo rapporto fornisce la prova che le piattaforme sociali sono piene di disinformazione climatica dannosa e, come documenta Media matters nel suo caso di studio, le politiche esistenti in atto per limitare la diffusione della disinformazione non sono adeguatamente applicate. Presi insieme, il problema della disinformazione climatica e le soluzioni fallimentari portate dalle piattaforme,  dovrebbero obbligare i Governi a ritenere gli account responsabili».

fonte: greenreport.it