Gli accordi su gas e petrolio con il Consiglio di cooperazione del Golfo sono l’opposto della leadership climatica

La politica commerciale di Italia, Ue e UK dovrebbe essere utilizzata per guidare la transizione globale a basse emissioni di carbonio

Dopo l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo, si sono susseguite notizie e dichiarazioni su accordi con il con il Gulf Cooperation Council (GCC), un’unione politica ed economica costituita da Arabia Saudita, Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar ed Emirati Arabi Uniti (Eau) per sfuggire alla schiavitù del gas russo che è gestito dal governo autocratico di Vladimir Putin.

La scorsa estate il governo britannico ha annunciato l’avvio di negoziati commerciali con il GCC e l’Italia ha fatto lo stesso con accordi bilaterali con Paesi come il Qatar, mentre l’Unione europea ha individuato nell’ex ministro degli esteri italiano Luigi Di Maio i l’inviato nel Golfo per trattare questi problemi di rifornimento energetico alternativo al gas russo.

Ora, a parte il fatto che paragonato alle 6 monarchie assolute sunnite lo Stato-mercato russo ne uscirebbe come il più democratico e che Arabia saudita e Eau hanno in corso da anni una feroce una guerra di invasione nello Yemen come la Russia in  Ucraina, che il Qatar che ospita senza nessun boicottaggio i mondiali di calcio è noto per finanziare gruppi jihadisti siriani, Hamas e i ribelli libici, che il Baharain ha represso nel sangue – con l’aiuto dei carrarmati sauditi – una rivolta della maggioranza sciita e che i leader dell’opposizione sono tutti in galera, che in quasi tutti questi Paesi i diritti delle donne sono addirittura inferiori a quelli dell’Iran in rivolta contro il governo teocratico di destra…  un’indagine dell’International Trade Select Committee sui negoziati con il GCC ha presentato prove sui potenziali impatti climatici e ambientali di questi accordi.

Le domande dell’ International Trade Select Committee si sono concentrate sull’accordo tra Regno Unito e GCC  e su come  i suoi impatti potrebbero essere mitigati attraverso le disposizioni di un accordo di libero scambio (ALS), i problemi rappresentati dall’inclusione di forti disposizioni ambientali e su come un accordo potrebbe facilitare un maggiore commercio di beni e servizi ambientali. Domande e conclusioni che valgono naturalmente anche per gli accordi fattti o in itinere dall’Italia e dall’Unione europea con le monarchie assolute del Golfo.

Uno dei commissari, Cameron Witten, scrive su  Inside Track  della Green Alliance che «Uno dei principali insegnamenti che ho tratto da questa esperienza è stato che nel panel sembrava esserci consenso sul fatto che garantire le protezioni ambientali che ci aspettiamo da un moderno accordo di libero scambio completo non sarà un compito facile. Farei un ulteriore passo avanti per sostenere che, prima di tutto, perseguire un accordo commerciale con questo blocco va direttamente contro l’ambizione dichiarata del Regno Unito di essere un leader mondiale contro il cambiamento climatico. Mettendo da parte i loro terribili record sui diritti umani, le economie del GCC sono caratterizzate dalla loro schiacciante dipendenza dall’estrazione, raffinazione ed esportazione di combustibili fossili. Tre di loro, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Kuwait, restano tra i primi dieci paesi produttori di petrolio a livello globale. I proventi del petrolio e del gas rappresentano il 70% del budget annuale dell’Oman e il 70% dei proventi delle esportazioni del Bahrain». Non sorprende quindi che i combustibili fossili costituiscano anche la maggior parte delle importazioni britanniche ed europee dalla regione.

Witten  si occupa anche di un’argomentazione molto diffusa anche in Italia per giustificare l’importazione di gas naturale liquefatto (GNL) e petrolio da queste dittature: «Alcuni sosterranno che perseguire un accordo con il GCC in questo momento è solo realpolitik, il logico risultato dell’invasione russa dell’Ucraina. Ma questo è nel migliore dei casi un approccio a breve termine e offusca la capacità e la responsabilità del governo di accelerare la transizione delle energie rinnovabili in patria. L’obiettivo dovrebbe essere in primo luogo isolare il Regno Unito dai costosi e volatili mercati dei combustibili fossili».

L’analisi dell’impatto fatta dallo stesso governo conservatore britannico afferma che «Un accordo con il GCC aumenterà il rischio di carbon leakage» con il quale l’esportazione della produzione all’estero può portare ad un aumento delle emissioni di gas serra.  Witten  fa notare che «Questo significa che il Regno Unito esporterebbe la sua impronta di carbonio all’estero, in particolare a breve e medio termine. Questo perché è probabile che il Regno Unito si muova molto più velocemente nella decarbonizzazione e nel rafforzamento delle sue protezioni climatiche e ambientali rispetto al CCG». Lo stesso vale naturalmente anche per Europa e Italia e il discorso omissivo fatto dalla presidente del consiglio Giorgia Meloni alla COP27 di Sharm el-Sheikh tralasciava non a caso anche questi aspetti.

L’analisi del governo britannico identifica i settori chimico, dell’abbigliamento, dei metalli, della plastica e dell’elettronica del Regno Unito come i più a rischio di carbon leakage e Witten sottolinea che «E’ probabile che, a causa del previsto aumento delle importazioni,  un accordo aumenti anche le emissioni da  consumo nel Regno Unito, bloccandoci di conseguenza su livelli più elevati di produzione di combustibili fossili. Un accordo con il GCC potrebbe comportare da 2 a 5 milioni di tonnellate in più di emissioni di CO2 all’anno. Ancora una volta, questo è secondo l’analisi del governo ed è probabile che sia una valutazione prudente».

Gli accordi con GCC vanno nella direzione opposta alle politiche energetiche e climatiche europee e Witten sottolinea che «Invece di dare la priorità a un accordo con Paesi con record climatici abissalmente bassi, la politica commerciale del Regno Unito può e dovrebbe svolgere un ruolo centrale nel realizzare le nostre priorità dichiarate per affrontare il cambiamento climatico e accelerare la transizione verso l’energia rinnovabile pulita. Il Regno Unito, che ha appena ceduto la presidenza della COP, si proclama leader mondiale e, in effetti, ha fatto passi da gigante nella decarbonizzazione del sistema energetico. Ma si potrebbe fare molto di più per allineare la politica commerciale con il ripristino della natura e le ambizioni net zero».

E l’esperto climatico ed energetico propone un percorso che vale anche per l’Italia: «Per cominciare, il governo dovrebbe produrre una strategia commerciale per garantire la coesione tra i suoi negoziati commerciali e impedire che gli impatti negativi cumulativi compromettano le priorità ambientali nazionali. Impegni net zero legalmente vincolanti e strategie di decarbonizzazione dovrebbero essere una linea rossa in qualsiasi negoziato commerciale. Come parte di qualsiasi accordo commerciale, il Regno Unito dovrebbe insistere affinché ogni paese del CCG presenti la propria strategia climatica a lungo termine all’Unfccc. Hanno aderito a questo in base all’Accordo di Parigi, ma finora nessuno di loro lo ha fatto. Qualsiasi accordo commerciale tra Regno Unito e CCG dovrebbe includere anche capitoli ambiziosi, applicabili e vincolanti su “Commercio e sviluppo sostenibile” e “Ambiente e clima”. Il governo dovrebbe anche sfruttare questa opportunità per assicurarsi che anche eventuali accordi esistenti con i Paesi del CCG siano idonei allo scopo. Innanzitutto, questo significa rivedere i trattati bilaterali sugli investimenti che il Regno Unito ha già stipulato con 5 delle 6 nazioni del CCG e rimuovere le dannose disposizioni sulla risoluzione delle controversie tra investitori e stato (ISDS). L’ISDS consente alle imprese di citare in giudizio i governi per qualsiasi politica che ritengono possa danneggiare i loro profitti, e anche questo dovrebbe essere escluso da qualsiasi accordo commerciale a livello di CCG. In realtà, non dovrebbe far parte di eventuali futuri accordi commerciali negoziati dal Regno Unito».

Witten  non si nasconde che non sono obiettivi facili da aggiungere ma cv conclude  che «Se il governo è seriamente intenzionato a mantenere il suo status di leadership internazionale sul cambiamento climatico, dovrebbe rifiutare gli accordi commerciali che non soddisfano questi criteri».

Intanto stiamo comprando gas (e preparando rigassificatori) da dittature petrolifere di tutto il mondo che fanno di tutto (d’accordo con Putin) perché gli accordi climatici dell’Unfccc non vadano avanti.

fonte: greenreport.it