Magistrati castigo di Dio

Parte seconda

Dicevamo, nella puntata precedente, che la destra si preparava al Meloni Day da almeno trent’anni. E a preparare la traversata nel deserto fu il crollo del Muro di Berlino, la scomparsa del vecchio PCI, la fine delle ideologie.
Tangentopoli e Mafiopoli furono grandi stagioni di speranze popolari che assestarono duri colpi alla politica, tradizionalmente intesa, che si reggeva sul sistema dei partiti, che datava dalla Liberazione nazionale, e che nel volgere di qualche anno si deteriorò in partitocrazia insopportabile, invisa all’opinione pubblica; che fu ribattezzata, per l’occasione, società civile.
Sino a quel momento, il vecchio PCI disponeva di un solido dizionario di riferimento.
Le formule più gettonate erano la questione della pace, la questione meridionale, la questione morale. E a proposito di quest’ultima, le subordinate più in voga facevano riferimento proprio alla corruzione che iniziava a diffondersi a macchia d’olio nel ceto politico e ai rapporti, fitti e ormai evidenti, fra la mafia e la politica.
Enrico Berlinguer era il politico sobrio che aveva racchiuso simbolicamente in sé la necessità, per il PCI, di ridurre il divario fra Nord e Sud e sconfiggere quella mafia che iniziava a corrodere le strutture della cosa pubblica.
Venuto meno Berlinguer, tramontato il vecchio PCI, sorto dalle sue ceneri il PDS di Achille Occhetto (1991), come estremo e generoso tentativo di approdare a nuovi lidi, quel solido dizionario di riferimento iniziò però lentamente a evaporare.
Fine della questione meridionale, scalzata velocemente dalla nuova globalizzazione, fine della questione morale, fine delle relazioni di minoranza delle commissioni parlamentari antimafia, dedicate ai rapporti fra mafia e politica. Tutto impercettibilmente per gradi, naturalmente. Non dall’oggi all’indomani.

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Quanto alla Dc, come partito di centro, si avviava, già da tempo, a essere un malato terminale, causa la tragedia del sequestro e dell’uccisione di Aldo Moro (1978).
Leggere e rileggere oggi l'”Affaire Moro”, di Leonardo Sciascia, come fosse un vaccino di richiamo per resistere all’Italia che abbiamo sotto i nostri occhi.
La triste parabola di Bettino Craxi, culminata prima nel lancio delle monetine all’Hotel Raphael e poi nella fuga di Tunisia, chiusero il cerchio per il PSI dell’epoca.
La magistratura si trovò al centro di questi scenari, che si rincorrevano assai velocemente, venendo a occupare di fatto le voragini che la politica lasciava scoperte.
La politica non gradì mai né Tangentopoli, con il suo “pool” di magistrati, né Mafiopoli, con il suo “pool” di magistrati.
Prima ne subì la pressione, poi iniziò a correre ai ripari.
Nel frattempo, al PDS occhettiano faceva seguito la cosiddetta “fusione a freddo” fra ex democristiani, “Margherita” – Romano Prodi ne fu il rappresentante più autorevole – ed ex comunisti. Creatura nuova, ribattezzata DS, e sugello definitivo del piano inclinato (2007).
Ormai era già cambiato tutto.
Il primo soccorso rosso al sette volte presidente del consiglio, il democristiano Giulio Andreotti, processato per mafia, venne, ironia del destino post-ideologico, proprio da alcuni dirigenti PCI della vecchia guardia, nella convinzione che i magistrati non solo intendevano garantire il controllo della legalità, ma pretendevano di scrivere e riscrivere la storia.
I rottami della Prima Repubblica si erano già abbondantemente, quanto tacitamente, federati contro lo “strapotere” dei Pubblici ministeri e della magistratura.
Le stragi di Capaci e Via D’Amelio (1992) faranno capire ai posteri come, nell’Italia di allora, il magistrato per bene prima finiva isolato poi ammazzato.
La questione giustizia avrebbe occupato d’ora in avanti il centro della scena politica.
A questo punto, entrò in scena lui, Silvio Berlusconi.
E i magistrati, in un fiato, diventarono ufficialmente, istituzionalmente, televisivamente, il castigo di Dio.

(Continua)

Foto © ImagoeconomicaARTICOLI CORRELATI

fonte. antimafiaduemila.com