Fratelli Graviano, non vi resta altro che collaborare con la giustizia!

di Giorgio Bongiovanni

Nessun via libera alla richiesta di uscire dal carcere in permesso premio per il boss stragista Filippo Graviano. Non possiamo che accogliere con favore il sonoro “No!” espresso dalla Corte di Cassazione nel momento in cui viene detto in maniera chiara che la sua dissociazione (paventata anche davanti ai magistrati di Firenze) è solo di facciata (“Nessuna effettiva presa di distanza dai gravissimi reati commessi”), confermando la decisione precedente del Tribunale di Sorveglianza.
Sul piano tecnico pesano anche quei rapporti mantenuti con i propri familiari tra i quali non mancano parenti “convolti in logiche associative”.
Condannato all’ergastolo come mandante per le stragi del ’92 e del ’93 e per l’uccisione del sacerdote don Pino Puglisi, Filippo Graviano non è uno qualunque. Viene definito dai collaboratori di giustizia come la “mente finanziaria” della famiglia di Brancaccio e assieme al fratello Giuseppe ed al superlatitante di Castelvetrano, Matteo Messina Denaro, rappresenta il vertice di Cosa Nostra.
Sono loro a possedere i segreti delle stragi ed a condurre un gioco sporco che va avanti da qualche tempo con i poteri occulti.
Per questo motivo va analizzato in maniera profonda quanto successo in questi anni. In particolare i due boss di Brancaccio hanno dato segni di insofferenza per la detenzione al 41 bis e l’ergastolo, regimi che i capimafia avrebbero voluto eliminare sin dai tempi del “papello” di Totò Riina e della trattativa tra Stato e mafia.

Parola di Graviano
La dialettica sulla dissociazione rientra in una strategia che i Graviano hanno portato avanti in tutti questi anni di detenzione.
Anni fa proprio Filippo disse al collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, durante una comune detenzione, che era bene far sapere al fratello “che se non arriva niente da dove deve arrivare qualche cosa è bene che anche noi cominciamo a parlare coi magistrati”.
Un fatto che poi si è realizzato nel corso del 2020 quando “Madre Natura” (così era chiamato dai suoi sodali Giuseppe Graviano) per svariate udienze ha risposto alle domande del procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, e all’avvocato Antonio Ingroia nel processo ‘Ndrangheta stragista.
In quelle deposizioni il boss di Brancaccio ha indubbiamente lanciato messaggi all’esterno, parlando dei rapporti economici che la sua famiglia avrebbe avuto con Silvio Berlusconi affermando di aver incontrato l’ex Premier, da latitante, in almeno tre occasioni. Inoltre aveva anche riferito di “un imprenditore a Milano che non voleva che le stragi si fermassero”.
Sempre Graviano aveva fatto intendere di nutrite speranze dopo i pronunciamenti della Cedu sull’ergastolo ostativo ed il regime carcerario 41 bis.
Una speranza divenuta sicuramente più forte nel 2021, quando la Corte costituzionale definì incostituzionale l’ergastolo ostativo dando al Parlamento un anno di tempo per legiferare in materia. Già nell’ottobre 2019, in nome dei diritti dell’uomo, la Consulta aveva sostenuto che per l’ergastolano, sia o meno mafioso, la collaborazione con la giustizia non fosse più una “conditio sine qua non” per ottenere eventuali benefici carcerari.

Mi dissocio
E da quell’elemento Filippo Graviano ha trovato la forza di chiedere al giudice di sorveglianza dell’Aquila un permesso premio dichiarando ufficialmente di essersi dissociato da Cosa Nostra.
Una via, quella della “dissociazione”, che anche altri capomafia, in passato, avrebbero voluto adottare.
Da sempre è stata una delle richieste principali di Cosa Nostra, che a metà degli anni ’90, intimorita dalla potenza devastante dei collaboratori di giustizia, avrebbe preferito un semplice allontanamento informale da parte dei detenuti mafiosi in cambio di benefici carcerari, più o meno come era previsto negli anni ’80 per gli appartenenti alle Brigate Rosse. Così l’idea venne messa nero su bianco nel “papello” e tempo dopo la proposta fu rilanciata dal capomafia Pietro Aglieri. Quest’ultimo, attraverso alcuni sacerdoti, cercò di poter comunicare a esponenti delle istituzioni la ferma volontà da parte di alcuni mafiosi di volersi consegnare, chiedendo allo Stato di poter iniziare una vita nuova senza essere obbligati ad accusare i compagni.
Caso vuole che nell’agosto 1996 l’ex parlamentare Melchiorre Cirami, transitato dalla Casa delle Libertà, all’Udeur, all’Udc di Cuffaro e poi tornato nel partito di Berlusconi, fu tra i firmatari di un provvedimento che prevedeva appunto una serie di benefici per i mafiosi che avessero ripudiato Cosa Nostra. Nel dl si concedevano sconti di pena fino a un terzo – anche in presenza di condanne definitive -, la sospensione dei procedimenti di prevenzione in corso e una serie di misure alternative al carcere. La normativa non era applicabile, però, ai mafiosi condannati per omicidi.
Nel 2001 quando a chiedere la dissociazione si erano ritrovate le varie mafie italiane: Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra e Sacra corona unita. A fare da ambasciatore in quell’occasione era stato designato Salvatore Biondino, uomo di fiducia di Totò Riina, nonché capo mandamento di San Lorenzo, legato ai Servizi Segreti.
Al tempo lavorava al Dap il magistrato Alfonso Sabella che svelò il progetto impedendone la riuscita.

Contro il 41 bis
E’ evidente che il vero obiettivo dei boss non è solo quello di intervenire sul carcerario, ma anche colpire l’istituto dei collaboratori di giustizia.
Oggi il rischio resta alto. Questa risposta netta della Corte di Cassazione giunge in un momento storico delicato dopo l’intervento del governo in materia di ergastolo ostativo mentre si è in attesa della discussione della Corte Costituzionale in materia, fissata per l’8 novembre.
Certo è che le condotte dei due fratelli Graviano non possono essere considerate come casuali, ma sono un segnale verso l’esterno molto preciso.
Ed è apparentemente anomalo il dato per cui, chi dissociandosi e chi accettando di rispondere alle domande dei magistrati, sta comunque violando la regola di omertà di Cosa nostra.
Nelle regole ferree di Cosa Nostra, così facendo, dovrebbero perdere immediatamente la leadership ed ogni carica interna. Non solo. Se fosse davvero questo il punto metterebbero a repentaglio la loro stessa vita proprio per aver rotto quel giuramento fatto con la “punciuta” anni ed anni orsono.
Niente di tutto ciò sta avvenendo. Perché a Brancaccio la famiglia Graviano ancora oggi continua a “dettare legge”. Dobbiamo dunque dedurre che con questo loro “dire e non dire” stanno conducendo una partita sporca con il potere? Assieme a Matteo Messina Denaro, che secondo i pentiti è il possessore dei documenti di Riina, stanno conducendo una nuova trattativa in cui la possibilità di dissociazione viene barattata con il silenzio sui segreti di Stato?
E’ ai fratelli Graviano in particolare che ci rivolgiamo con alcuni consigli non richiesti.
Ma non avete capito che se davvero volete uscire dal carcere e rivedere i vostri figli non è quella la strada da percorrere.
Dovreste avere il coraggio di fare una scelta precisa, netta, coerente e coraggiosa: arrendervi e collaborare con la giustizia, senza se e senza ma, svelando i nomi di quei mandanti esterni delle stragi che hanno portato alla morte Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tanti altri innocenti. Così facendo vi trasformerete nei protagonisti che hanno davvero sconfitto Cosa nostra.
E’ quello l’unico modo che avete se davvero volete cambiare la vostra storia, prima ancora che quella d’Italia.
Altrimenti lasciate perdere, senza lanciare ulteriori messaggi.
Perché la risposta avuta dalla Corte di Cassazione sulla richiesta di permesso premio è netta: lo Stato non cederà.

Rielaborazione grafica by Paolo Bassan

fonte: antimafiaduemila.com