Strage Piazza della Loggia: verso nuovo processo. Pm: ‘terzo livello’ che porta alla Nato

Respinta richiesta di revisione per Maurizio Tramonte

Potrebbe esserci un nuovo processo sulla strage di piazza della Loggia, l’attentato terroristico compiuto dalla destra eversiva il 28 maggio 1974.
Quel giorno una bomba era esplosa durante un comizio antifascista, provocando otto morti e oltre cento feriti.
Questo è il sedicesimo processo in 48 anni. Ma questa volta, riporta l’Agi, gli inquirenti sarebbero arrivati fino ad un possibile ‘terzo livello’: l’Alleanza Atlantica, più precisamente al Comando Forze Terrestri Alleate per il Sud Europa, all’epoca apparato militare delle Nazioni Unite con sede a Palazzo Carli di Verona, la città di Roberto Zorzi e Marco Toffaloni, i due allora giovanissimi neofascisti per i quali è stato chiesto il rinvio a giudizio.
È molto il materiale a disposizione dell’accusa. Per questo l’avallo del gup per un nuovo processo sembrerebbe imminente.
Ricordiamo che la Corte di Cassazione, con la sentenza del 20 giungo 2016, aveva confermato l’ergastolo per i neofascisti Carlo Maria Maggi, mandante, e Maurizio Tramonte, ex collaboratore dei servizi segreti e partecipe del piano stragista.
Con il nuovo processo si cercherà di andare oltre.
Toccherà al pm di Brescia, Silvio Bonfigli, protagonista dell’inchiesta durata quasi un decennio assieme alla collega Caty Bressanelli e alla Procura dei Minori che si è occupata di Toffaloni, dimostrare anche “l’accertamento di eventuali deviazioni” di apparati dello Stato.
È un procedimento difficilissimo“, ha detto il pm, “Qui parlo da vecchio consulente della Commissione parlamentare terrorismo e stragi e mi riferisco al contesto storico che sta alla base delle riunioni nella caserma dei carabinieri di Parona e del comando Ftase (Forze terrestri alleate per il Sud Europa, ndr). È una lettura interessante di quei fatti attraverso eventuali deviazioni”.
Marco Toffaloni e Roberto Zorzi, “nella tesi dell’accusa avrebbero ricoperto il ruolo di autori materiali con ruoli differenti“, ha spiegato ancora Bonfigli. “Io sono arrivato nel 2019 e con la collega Caty Bressanelli abbiamo fatto un grandissimo sforzo per chiudere l’ultima branca del procedimento e ci siamo riusciti. La peculiarità è non solo avere due imputati in dimensioni diverse perché di Toffaloni si è occupata la Procura dei Minori, essendo all’epoca dei fatti non maggiorenne, e di Zorzi la Procura, ma anche la difficoltà che i due vivono all’estero e questo ha portato a un rallentamento delle indagini”.
Ma fin dove gli inquirenti si sono spinti?
Dalle 280 mila pagine depositate dalla Procura emerge che la pista investigativa porta a Palazzo Carli di Verona: nel secondo dopo guerra divenne prima sede del Comando delle forze militari della NATO, e poi sede del Comando delle forze operative terrestri COMFOTER dell’Esercito Italiano.
In questa struttura, secondo gli investigatori, vi sarebbero state delle riunioni preparatorie di un progetto stragista che avrebbe mirato a sovvertire la democrazia italiana.
Il tutto con la copertura di generali dei paracadutisti italiani e statunitensi.
Ad aver orientato gli inquirenti verso Palazzo Carli sarebbe stato un supertestimone, un uomo che ha segnato la via di questa inchiesta facendo nomi e cognomi.
La sua identità non è nota, mentre lo è quella di Giampaolo Stimamiglio. Quest’ultimo aveva deciso nel 2009 di vuotare il sacco al colonnello del Ros Massimo Giraudo raccontando che Marco Toffaloni gli avrebbe detto, in una conversazione del 6 aprile 2011 che “anche a Brescia gh’ero mi!“; Piazza della Loggia? “Son sta mi!“.
Agli atti dell’inchiesta c’è anche un altro elemento: una fotografia che lo ritrae Toffaloni in piazza, quel giorno. Ora, diventato cittadino svizzero si è ‘trasformato’ in Franco Muller, prendendo il cognome dell’ex moglie Silvia. Secondo altre testimonianze, avrebbe avuto una cantina piena di esplosivo, forse anche quello usato per la strage.
Il supertestimone avrebbe parlato anche di Roberto Zorzi raccontando che avrebbe partecipato a una riunione preparatoria dell’attentato.

“Un potere non italiano che ha determinato il caos nel nostro paese”
Al tempo il nucleo investigativo dei Carabinieri di Brescia, che si occupava delle indagini era guidato da Francesco Delfino, poi generale, già assolto dalla Corte d’appello di Brescia dall’accusa di aver fatto parte del gruppo stragista.
Nel febbraio del 2014, poco prima di morire, Delfino aveva incontrato la giornalista e scrittrice Stefania Limiti, alla quale aveva fatto delle rivelazioni: aveva detto con disinvoltura che la strada delle indagini era stato precostituita per non “disturbare” Ordine Nuovo. “Fu lo stesso Buzzi (Ermanno ndr) a parlarci dei veneti, ci fece dei nomi, naturalmente falsi, nomi di battaglia. Noi cercammo di capire a chi appartenessero ma non riuscimmo a scoprire nulla, non riuscimmo a individuare le persone che Buzzi ci stava indicando. In quel periodo a Brescia c’era un gran via vai di veronesi perché il gruppo di neofascisti bresciani aveva capacità operativa di medio livello, il centro direttivo, invece, era a Verona”.
Delfino poi aveva detto altro, spiegando che anche “il gruppo veronese non rispondeva solo a sé stesso. Era manovrato dagli agenti atlantici. Esisteva una rete molto vasta di personaggi che facevano capo alle basi militari. Uno dei capi più attivi era un americano che ha abitato per un certo periodo con la moglie a Verona, ma non ho mai saputo il suo nome”.
“Generale, lei sta facendo riferimento ad una sovrastruttura straniera?” Aveva chiesto Stefania Limiti.
“Sto parlando di un potere non italiano che ha determinato il caos nel nostro paese. Noi abbiamo scoperto quello che ci è stato consentito di scoprire”.

Respinta richiesta revisione Tramonte
La Corte d’appello di Brescia ha rigettato l’istanza di revisione del processo avanzata da Maurizio Tramonte, condannato in via definitiva all’ergastolo. Sul fronte della revisione Tramonte, ex informatore dei Servizi segreti, aveva chiesto un quarto grado di giudizio sostenendo di essere vittima di un errore e spiegando, anche intervenendo in video collegato dal carcere di Melfi, che non era presente in Piazza della Loggia il giorno dell’attentato smentendo una foto che, nell’ambito del processo che nel 2015 aveva portato alla sua condanna all’ergastolo davanti alla Corte d’assise di Milano, era finita agli atti come prova contro lo stesso Tramonte. “Il rigetto della revisione è in linea con le richieste dell’accusa e delle parti civili. Bene così, ma aspettiamo di leggere le motivazioni” ha commentato il procuratore generale Guido Rispoli, che ha rappresentato l’accusa in aula. “Questa decisione rafforza la sentenza di condanna diventata definitiva nel 2017“, ha detto Manlio Milani, presidente della Casa della Memoria e marito di Livia Bottardi, una delle 8 vittime della strage bresciana. Il legale di Tramonte, l’avvocato Baldassare Lauria ha annunciato già ricorso in Cassazione: “Non ci fermiamo perché riteniamo che Tramonte non abbia avuto un giusto processo”.

fonte: antimafiaduemila