Di Matteo: ”Al Csm protetti i sodali di Palamara”

di Luca Grossi
Alle elezioni dell’Anm (Associazione Nazionale Magistrati) di Palermo ha vinto il gruppo ‘Articolo 101’, che chiede il sorteggio del Csm.
Il consigliere togato Nino Di Matteo, in un’intervista su ‘La Stampa‘, ha spiegato che si tratta di un “segnale da non sottovalutare: tanti magistrati chiedono una cura forte per un organismo malato. Il sorteggio temperato, magari per un tempo limitato, è il vaccino per il virus del correntismo“.
Una cura quindi che potrebbe spezzare il dominio decennale delle ‘cordate’, come definite dallo stesso magistrato nel suo libro ‘I nemici della giustizia’, e che potrebbe restituire credibilità alla magistratura.
Il Csm non gode di una brillante storia e la bocciatura di Giovanni Falcone il 19 gennaio 1988 a capo dell’ufficio istruzione del Tribunale di Palermo rappresenta ancora una onta che solo un radicale e permanente cambiamento potrà redimere.
Tuttavia, come ha detto lo stesso magistrato antimafia, “il Csm si dibatte tra spinte al cambiamento e controspinte conservatrici, come la difficoltà di liberarsi delle vecchie logiche, dure a morire, e nella tentazione di sopire, ridimensionare“. E poi ancora “avevo sempre diffidato del Csm: isolava e delegittimava, anziché difendere, i magistrati liberi e coraggiosi, non intruppati. Quelli che, come dicevano di me, non ‘coltivano’ le domande per gli incarichi direttivi“.
Domande che, purtroppo, vengono coltivate molto spesso in seno a mere logiche di appartenenza che portano il candidato (che appartiene ad una corrente) ad avere delle corsie preferenziali, a danno di quei magistrati indipendenti che applicano la legge e garantiscono l’obbligatorietà dell’azione penale ad oggi minacciata dalla riforma della giustizia Cartabia. “Continuo a ritenerla dannosa e pericolosa (la riforma ndr) – ha detto Di Matteo – Sono perplesso per la prevalenza delle esigenze legate ai fondi del Pnrr su quelle di giustizia, in una visione della società dominata dall’economia e non dal diritto. Contesto la soluzione tecnica dell’improcedibilità, estranea alla nostra cultura giuridica, che manderà in fumo i processi anziché velocizzarli. E sono allarmato dall’attribuzione al Parlamento del potere di stabilire criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale” poiché quest’ultima sarà “in mano alle mutevoli maggioranze politiche. Il Parlamento potrà dire ai pm di perseguire prioritariamente gli scippi e solo se avanza tempo la corruzione“.
E’ vero che sono state apportate delle modifiche alla riforma Cartabia in merito ai reati di mafia tuttavia, ha detto Di Matteo, “ancora una volta c’è stato bisogno della denuncia dei soliti quattro o cinque magistrati antimafia. Gli stessi periodicamente accusati di invadere il campo di una politica che, al di là dei proclami, mai ha davvero posto in cima all’agenda politica un serio contrasto alle mafie“.
La ferma presa di posizione del magistrato riguarda anche la legge “bavaglio” a pm: “Si usa un principio giusto per imbavagliare le autorità pubbliche. I processi mediatici proseguiranno, ma solo con imputati e avvocati. Si silenzia chi indaga sul potere impedendo ai cittadini di sapere. Per me è una questione di democrazia e libertà“.
Il magistrato ha poi sottolineato che a differenza dei tempi di Berlusconi c’è stata una reazione “blanda e limitata. Per diversi fattori. Primo: le iniziative di quei governi compattavano tutte le componenti della magistratura. Secondo: nel governo attuale ci sono quasi tutte le parti politiche. Terzo: la magistratura è in questo momento un pugile alle corde, che si limita a schivare i colpi per limitare i danni senza reagire, avendo il ripiegamento su sé stessa come unica prospettiva“.

Il caso Palamara e le calunnie a Sebastiano Ardita
Lo scandalo della chat di Palamara “con magistrati che chiedevano il sostegno di correnti ed esponenti politici” talvolta fa emergere ancora la “logica di minimizzazione, prudenza sospetta e perfino riflesso di protezione per chi nei rispettivi gruppi aveva incarichi importanti”. Questo atteggiamento, secondo Di Matteo è dovuto al fatto che “si pensa che destituito Palamara e puniti i suoi accoliti dell’hotel Champagne, il problema sia risolto”. Ma Palamara, come ricordato più volte anche dal procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri “non votava da solo”. “Palamara da solo non decideva nulla – ha affermato Di Matteo – Grave errore demonizzarlo come organizzatore o perno fondamentale. Era una pedina importante, non di più, di un sistema alimentato da una base di consenso e dalla spinta dal basso di magistrati che chiedevano aiuto a fini di carriera“.
Alla vicenda Palamara si è poi aggiunta quella del dossieraggio al Csm.Senza scendere in dettagli perché ci sono inchieste giudiziarie e pratiche al Csm, non voglio essere ipocrita. La vicenda è di una gravità non minore, in termini di intralcio al regolare funzionamento del Csm, della riunione dell’hotel Champagne con Palamara, Ferri, Lotti e i cinque membri del Csm“. Questa circolazione impropria dei verbali – ha continuato Di Matteo –  potrebbe essere stata “in qualche modo strumentalizzata per interferire sul Csm, condizionando un organo di rilievo costituzionale“.
In conclusione la magistratura dovrà fare delle scelte molto profonde per poter recuperare quell’apparenza di autorevolezza agli occhi dei cittadini. Ad alcuni potrebbe sembrare che sia in corso una lotta tra giustizialisti e garantisti, soprattutto in merito ai dibattiti ancora accesi per esempio sull’ergastolo ostativo. Per Di Matteo si tratta di “una semplificazione fuorviante. Io difendo la massima espansione delle garanzie di indagati e imputati, ma vorrei che la certezza della pena non fosse sistematicamente vanificata da benefici e scappatoie. Se vuol dire essere giustizialisti, allora sono il primo dei giustizialisti”.

Foto © Davide de Bari

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fonte; antimafiaduemila.com