Ecco cosa deve fare l’Italia per rispettare la nuova legge europea sul clima

Dal 2014 le energie pulite crescono col contagocce e le emissioni sono stabili: sono necessari 7,5 GW/anno di rinnovabili, ma ora arriviamo a malapena a 0,8

di
Luca Aterini

L’Europarlamento ha approvato ieri in via definitiva la nuova legge europea sul clima, che impone di arrivare al 2030 con una riduzione nelle emissioni di gas serra pari al -55% rispetto al 1990, mentre adesso l’Italia – a soli 9 anni dalla deadline – è a -19,4%. È urgente dunque recuperare terreno: come?

Secondo Edo Ronchi, già ministro dell’Ambiente e oggi presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile dobbiamo «aggiornare rapidamente il Piano italiano di politiche e misure per raggiungere i nuovi target europei (ovvero il Pniec, nato già vecchiondr) e collegare, fattivamente, la loro attuazione all’utilizzo dei finanziamenti e delle riforme del Pnrr e così valutare fino a che punto possiamo arrivare con tali finanziamenti e tali riforme e cosa, probabilmente, dobbiamo fare di ulteriore».

Ma cosa significa esattamente questo per l’Italia? Italy for climate, l’iniziativa della Fondazione per lo sviluppo sostenibile sul clima, ha elaborato la prima roadmap per l’Italia compatibile con una riduzione delle emissioni di gas serra al 2030 del 55% rispetto al 1990, il che vorrebbe dire arrivare ad emettere non più di 232 milioni di tonnellate di CO2eq l’anno (dalle circa 380 stimate nel 2020, su cui peraltro ha pesantemente inciso la pandemia).

Per raggiungere questo risultato, secondo la roadmap bisognerà tagliare i consumi finali di energia ogni anno dell’1,5% e, cosa tutt’altro che facile, ridurre di almeno il 40% il consumo di petrolio e gas e quasi azzerare quello di carbone, raddoppiare le fonti rinnovabili elettriche, termiche e per i trasporti. Si tratta di un percorso incredibilmente sfidante e senza precedenti, per intraprendere il quale è necessaria una serie di interventi “trasversali” strategici: dalla introduzione di sistemi di carbon pricing più efficaci alla transizione da un modello economico estrattivo e lineare a uno rigenerativo e circolare, da una radicale semplificazione delle procedure burocratiche all’accelerazione su ricerca e sviluppo e nella creazione di una nuova cultura della transizione ecologica.

Si tratta di un cambio strada obbligato, perché quella imboccata finora non ha funzionato: come sottolineano da Italy for climate è «ormai dal 2014 che le fonti rinnovabili hanno rallentato bruscamente la loro corsa in Italia», e l’andamento degli ultimi bandi Gse per l’incentivazione delle rinnovabili elettriche è la testimonianza più imbarazzante di questo stallo.

Lo schema d’incentivazione varato col decreto Fer 1 nel 2019 aveva previsto incentivi per l’installazione di 4GW l’anno (circa la metà di quanto sarebbe ora necessario per raggiungere gli obiettivi al 2030) ma finora «solo il 29% della nuova potenza incentivabile è stata effettivamente allocata. Nello specifico, nei cinque bandi finora conclusi (sui 7 totali previsti dal decreto), sono stati allocati solo 1,7 GW, di cui 600 MW nei registri (cioè per impianti inferiori ad 1 MW)».

Com’è evidente il passo lento delle rinnovabili italiane non è dovuto dunque a motivi di natura economica, ma sono «le complessità burocratiche e le durate eccessive degli iter autorizzativi a frenare, e in molti casi bloccare, i progetti di nuovi impianti da fonti rinnovabili». Un fenomeno che va di pari passo con il moltiplicarsi delle sindromi Nimby e Nimto sui territori.

«In quest’ottica alcune misure introdotte dal DL Semplificazioni (in vigore da luglio 2021) vanno nella giusta direzione – commentano da Italy for climate – ma a detta degli operatori del settore appaiono ancora insufficienti per invertire significativamente il trend», come testimonia l’ultima analisi di Elettricità futura.

«Sulle rinnovabili non ci siamo – conferma anche Livio de Santoli, presidente del Coordinamento Free –  Tra il 2021 e il 2030 sono necessari 7,5 GW/anno di rinnovabili, ma ora arriviamo a malapena a 0,8 GW. Il ritardo medio delle procedure autorizzative in Italia è di sei anni rispetto ai due stabilito dall’Europa. Troppo lenti».

Per questo motivo il Coordinamento ha realizzato una serie di emendamenti alla proposta di decreto Semplificazioni che sono stati presentati ai deputati della Commissione competente e al ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani. Emendamenti che toccano ancora una volta gli indispensabili interventi sul fronte del permitting, ma che al contempo mirano anche ad aumentare il coinvolgimento della cittadinanza.

In merito al dibattito pubblico per Free è infatti necessario che la normativa sul Dibattito pubblico (DPCM 76/2018, Allegato 1) e sull’Inchiesta pubblica (articolo 24.bis, Decreto Legislativo 152/2016), sia modificata affinchè l’intervento normativo porti a introdurre l’inchiesta pubblica per i progetti sottoposti a procedura di valutazione ambientale nazionale o anche su scala regionale. E per offrire ai cittadini un ritorno economico diretto legato alla presenza degli impianti deve essere implementato sistematicamente il crowdfunding, come dimostrano alcune esperienze fatte in Italia.

«Le nostre proposte ora sono in mano alla politica, che non ha più alibi visto che molte sono a costo zero per la Pubblica amministrazione», conclude De Santoli.

fonte: greenreport.it