Iene e nuovi corvi attaccano Sebastiano Ardita

Calunnie ed accuse diffamanti contro il magistrato del Csm

C’è stato un tempo, a Palermo, che fu “battezzato” come la stagione del “Corvo”, l’anonimo che con delle lettere tentò di porre in essere una delegittimazione dei collaboratori di giustizia e del giudice di Palermo Giovanni Falcone, quando questi era tra i leader del pool che mise sotto scacco Cosa nostra istruendo il maxiprocesso.
E’ quella macchina del fango che nel corso del tempo si è via via affinata e che nel 2021 è perfettamente in grado di fare danni gravissimi tentando di delegittimare onesti e veri servitori della nostra Costituzione.
E a ben vedere quanto sta accadendo oggi, con attacchi mirati a quei magistrati che sono sempre stati in prima linea contro il Sistema criminale e le storture del potere, è molto simile.
Ed oggi nel mirino dei nuovi “corvi” è finito il consigliere togato del Csm, Sebastiano Ardita. Una vicenda tanto sporca e complessa che va ricostruita nella sua totalità.
Perché da diverse settimane è in corso un’operazione ancor più torbida dello scandalo Palamara, che già ha devastato l’universo della magistratura.
Protagonista di questa vicenda è Piero Amara, avvocato siciliano arrestato nel 2018, indagato per i depistaggi dell’inchiesta Eni, che ha già patteggiato una condanna a 2 anni e 8 mesi per corruzione in atti giudiziari, e coinvolto anche nelle vicende dell’ex pm romano Luca Palamara, radiato dalla magistratura e accusato d’aver pilotato nomine in cambio di regali e favori.
Tra la fine del 2019 ed i primi mesi del 2020 Amara è stato sentito più volte dal procuratore aggiunto di Milano Laura Pedio e dal sostituto Paolo Storari. Verbali che ad oggi sono ancora segretati.
Ed è qui che tornano in gioco i “corvi”, perché adesso parte dei contenuti di quei verbali sono stati resi noti all’opinione pubblica. Ma per capire cosa è accaduto si deve procedere con ordine.

Le accuse di Amara
Quando Amara ha parlato con i magistrati di Milano ha riferito una serie di fatti – alcuni più o meno verosimili, altri incredibili, ed altri ancora diffamatori o calunniatori – assolutamente non riscontrati. Ha dunque raccontato di una serie di rapporti avuti con giudici, funzionari di Stato, politici, alti prelati, alti ufficiali delle forze dell’ordine, imprenditori. Addirittura ha tirato in ballo l’ex Premier Giuseppe Conte, che ha smentito con decisione i fatti a lui ascritti.
Ma tra gli aspetti più gravi riferiti da Amara c’è la propria appartenenza ad una fantomatica loggia massonica chiamata “Ungheria”, di cui farebbero parte numerose toghe “garantiste” che volevano combattere contro i giustizialisti. E tra questi magistrati Amara inserisce in maniera diffamante e calunniosa anche il nome di Sebastiano Ardita, consigliere togato del Csm.
Accuse che lo stesso magistrato, ex procuratore aggiunto a Catania e Messina, ha smontato davanti ai pm di Perugia dimostrando che sono false.
I verbali di Amara, coperti da segreto investigativo, nel frattempo hanno iniziato a girare dentro e fuori le sedi istituzionali con modalità tutt’altro che limpide.

Da Storari a Davigo
Il primo atto, emerso oggi, assolutamente insolito se non addirittura irrituale, è quello del pm Paolo Storari che, tra marzo ed aprile 2020, decise di consegnare i verbali, in cui si parla del Csm e di alcuni magistrati, all’allora consigliere Piercamillo Davigo.
Per Storari quell’azione sarebbe stata un “atto dovuto” in “autotutela”, in quanto preoccupato dall’“immobilismo” che registrava intorno a quelle accuse. Storari avrebbe temuto che quelle dichiarazioni dell’avvocato Amara, seppur ancora da approfondire, fossero finite in un nulla di fatto.
Oggi, mentre la Procura di Brescia sta compiendo le sue valutazioni su quell’operato, Piercamillo Davigo, raggiunto da alcuni quotidiani, ha confermato di aver ricevuto i verbali aggiungendo che non vi sarebbe alcuna violazione di segreto investigativo perché “il segreto non è opponibile ai consiglieri del Csm”. Quindi ha aggiunto, rispondendo a chi gli contestava il proprio silenzio, di aver “informato chi di dovere”. Chi? Il Quirinale, nella persona del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
La domanda è la seguente: può un consigliere come Davigo informare, o mandare documenti al Capo dello Stato, quando certi atti sono coperti dal segreto istruttorio e presentano una forma sospetta? Non sarebbe stato più corretto informare l’autorità giudizia di competenza, come hanno fatto i giornalisti ed il consigliere togato Nino Di Matteo, che hanno ricevuto i verbali senza firma ed in forma anonima?

Le mosse del Corvo: i dossier anonimi
Di cosa parliamo? Tra la fine del 2020 e gli inizi del 2021, mentre la Procura di Milano inoltrava alle Procure competenti gli atti con le dichiarazioni di Amara per effettuare i vari riscontri, i verbali dell’avvocato siciliano sono iniziati a girare anche in altra forma.
Dei veri e propri dossier anonimi, inseriti in plichi con all’interno i verbali di Amara, senza alcuna firma in calce, sono stati inviati a diverse redazioni giornalistiche.
Alcuni colleghi della stampa, rendendosi conto dell’operazione di dossieraggio e della forte anomalia hanno subito denunciato il fatto all’autorità giudiziaria che si è mossa fino ad individuare una delle possibili fonti: Marcella Contrafatto, funzionaria storica del Consiglio superiore della magistratura, inserita nella segreteria del consigliere Davigo.
Secondo le indagini dei pm di Roma, sarebbe stata lei a recapitare il plico. Nella perquisizione disposta dai magistrati ed eseguita dai militari della Guardia di Finanza sarebbero stati trovati nel computer delle copie degli atti spediti.
Ma come ha ricevuto quei documenti? Le indagini, allo stato, non lo hanno accertato.
Attualmente la Contraffatto è indagata per calunnia dalla Procura di Roma, che agisce anche in riferimento “al luogo di consumazione del reato di rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio”, articolo 326 del codice penale.
La funzionaria sarebbe stata al momento sospesa dal Csm. Se alcuni giornali hanno riprovato che la stessa Contraffatto si sarebbe avvalsa della facoltà di non rispondere quando i magistrati l’avrebbero convocata per chiedere conto del proprio operato, in serata è giunta una nota della legale della funzionaria. In particolare, si legge, “la signora Marcella Contraffatto ritiene di dover smentire le condotte alla medesima attribuite e date per acclarate, giacché sono, al contrario, ancora oggetto di delicata indagine”. Restano comunque gli interrogativi su quei documenti rinvenuti nei computer.
Certo è che quel medesimo plico inviato ai quotidiani, alcuni dei quali hanno anche deciso di pubblicarne alcuni contenuti, è stato inviato anche al consigliere togato del Csm Nino Di Matteo.
Ieri lo ha denunciato pubblicamente durante il Plenum del Csm.
“Nei mesi scorsi ho ricevuto un plico anonimo tramite spedizione postale contenente una copia informale, priva di sottoscrizioni, di un interrogatorio di un indagato davanti all’autorità giudiziaria. Nella lettera anonima che accompagnava il documento quel verbale veniva ripetutamente indicato come segreto. Nel contesto dell’interrogatorio l’indagato menzionava, in forma diffamatoria se non calunniosa e come tale accertabile, circostanze relative a un consigliere di questo organo”.
Di Matteo aveva anche raccontato di aver già “contattato l’Autorità giudiziaria di Perugia alla quale ho riferito compiutamente il fatto specificando il timore che tali dichiarazioni e il connesso dossieraggio anonimo potessero collegarsi a un tentativo di condizionamento dell’attività del consiglio. Auspico pertanto che le indagini in corso possano tempestivamente fare luce sugli autori e sulle reali motivazioni della diffusione di atti giudiziari in forma anonima all’interno di questo Consiglio superiore”.

Attacco diretto ad Ardita
Ed oggi Di Matteo è tornato a parlare, anche perché in tutti i giornali è stato fatto il nome di uno dei magistrati che, in base a quel che avrebbe detto Amara in quei verbali, inseriti all’interno della loggia massonica “Ungheria” vi sarebbe Sebastiano Ardita.
“Le dichiarazioni che riguardano il Consigliere Sebastiano Ardita sono palesemente calunniose” – ha ribadito Di Matteo all’agenzia AnsaLa loro falsità è facilmente riscontrabile. L’illecita diffusione di quei verbali anche all’interno del Consiglio superiore rappresenta un vero e proprio dossieraggio volto a screditare il consigliere Ardita e a condizionare l’attività del Csm”.
Le accuse che Amara in quel verbale fa ad Ardita appaiono palesemente false. Basta conoscere un po’ la storia del magistrato catanese che nel 2006 non era affatto “culo e camicia” con l’ex capo del Dap Gianni Tinebra (come invece sosterrebbe l’avvocato siciliano), tanto che fu lui a svelare l’esistenza del cosiddetto “protocollo farfalla”, quell’accordo tra 007 e Dap per la gestione delle notizie fornite dai mafiosi in carcere in cambio di un compenso, siglato nel maggio 2004 tra Mario Mori (all’epoca direttore del Sisde) e, appunto, Tinebra.
Anche da semplici ricerche di archivio ANSA si legge che nel 2005 tra Ardita e Tinebra c’era una forte spaccatura.
Ed è assurda l’accusa di far parte della loggia di “garantisti”.
Sulla loggia Ungheria la Procura di Perugia ha aperto un fascicolo, per competenza, proprio perché all’interno vi sarebbero anche nomi di magistrati romani e alcune toghe sarebbero, anche a loro tutela, già indagate.
E’ evidente che allo stato vi è una fortissima campagna in atto che mira a destabilizzare ulteriormente gli organi della magistratura e non è un caso se a finire nel mirino è una figura come quella di Sebastiano Ardita.
Un magistrato che ha sulle spalle una lunga carriera contro la criminalità organizzata, in particolare contro la sanguinaria cosca di Cosa nostra catanese comandata dal boss Nitto Santapaola e i cosiddetti “colletti bianchi”.
Nel corso del tempo si è distinto per le sue indagini, come membro della Dda, contro la criminalità organizzata di tipo mafioso, per le inchieste per reati contro la pubblica amministrazione e le infiltrazioni mafiose nei pubblici appalti e forniture, mostrando come la legge, per lui, fosse davvero uguale per tutti.
Da giovane sostituto della DDA di Catania, oltre ad occuparsi dell’organizzazione Cosa nostra ha fatto parte del pool che nel 1993 ha azzerato il vertice della politica catanese coinvolta in reati di corruzione e collusioni con la mafia, arrivando anche all’arresto dell’ex ministro Salvo Andò e degli onorevoli Nino Drago e Rino Nicolosi.
Abbiamo già ricordato il grande lavoro svolto all’interno del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP), come direttore dell’Ufficio detenuti, dal 2002 al 2011. Qui si è distinto per le circolari sul trattamento penitenziario e la particolare serietà nella gestione del regime 41bis, il carcere duro contro i mafiosi e terroristi, esponendosi e subendo anche gravi minacce.
Una volta terminato il mandato alla direzione penitenziaria venne anche sentito davanti alla Commissione Parlamentare Antimafia il 15 maggio 2012, e le sue dichiarazioni diedero un importante contributo alle indagini portate avanti dalla commissione sulla gestione delle carceri, sul regime detentivo del 41-bis. E sempre Ardita fu chiamato a testimoniare nei processi contro gli ufficiali del Ros, Mario Mori e Mauro Obinu, nonché al processo trattativa Stato-mafia, in cui raccontò proprio del “protocollo farfalla”.
A Messina, dove è stato procuratore aggiunto, ha firmato importantissime inchieste come quella sullo scandalo Formazione alla regione siciliana costata la condanna a Francantonio Genovese, o l’operazione “Matassa” sulla compravendita di voti, fino all’operazione “Beta”, che ha messo in evidenza il pericoloso intreccio tra mafia, massoneria e poteri economici all’ombra del clan Santapaola che sullo Stretto continua ad avere molti interessi.
Successivamente, sempre come procuratore aggiunto, è tornato a Catania dove si è occupato sempre di mafia e “colletti bianchi”.
Successivamente è stato eletto al Consiglio Superiore della Magistratura – nel gruppo di Autonomia&Indipendenza da lui stesso fondato assieme a Piercamillo Davigo.
Oggi è ancora al Csm dove, coadiuvato dal consigliere togato indipendente Nino Di Matteo, si è messo in evidenza all’interno nel tentativo di dare un nuovo input alle attività consiliari, incrementandone l’efficienza e la trasparenza, difendendo anche quell’autonomia ed indipendenza della magistratura che va oltre le logiche correntizie dimostrando di avere un alto senso della difesa dei valori contenuti nella Carta Costituzionale.
L’ipotesi che dietro lo sporco lavoro di ‘dossieraggio’ possa esservi la firma di alcune forme di potere occulto che vogliono in tutti i modi fermare la ricerca della verità, è tutt’altro che peregrina.
Un’operazione che parte da lontano e che ha obiettivi precisi con lo scopo di screditare il lavoro giuridico eseguito dai magistrati onesti impegnati contro le mafie, i ‘colletti bianchi’ e i centri di potere occulto, come le massonerie deviate.
Quel medesimo lavoro sporco che confluisce in un’opera meschina volta a delegittimare il lavoro ed i risultati ottenuti da tutti quei magistrati ed investigatori con tanto di dossieraggi, ingiurie e calunnie.
E non è un caso che ad essere più colpiti siano sempre quelli più impegnati nella ricerca della verità e nel dare un volto a quei mandanti esterni delle stragi, rimasti ancora oggi senza volto.
Verità scomode, come quelle raccontate nel processo sulla trattativa Stato-mafia e che ha visto l’emissione di condanne in primo grado per mafiosi, politici ed ufficiali dell’arma.
Ecco perché i magistrati in prima linea che lottano contro il Sistema criminale finiscono al centro del mirino. E’ il primo passo verso l’isolamento che uccide. E noi non cadremo certo nella trappola.
Occorre che tutta la società civile, nell’impegno di ognuno, nessuno escluso, si svegli e ritorni ad essere attivista. Per chiedere con determinazione alle Istituzioni, a chi ci governa e persino al Presidente della Repubblica di difendere quei servitori dello Stato che rischiano la propria vita per la difesa della libertà e della democrazia.
Senza dubbio Sebastiano Ardita è uno di questi.

fonte: antimafiaduemila.com