Georges Almendras, il giornalista che ha vissuto la cronaca nera come una Guerra

Dieci anni dopo aver lasciato Canal 4 il giornalista ricorda la sua vita tra poliziotti e criminali

Non ci sono più giornalisti come lei, Almendras. E Almendras rimane sbalordito. Almendras, come sta? E Almendras mi guarda in modo strano. Almendras, lei mi ha filmato un giorno in una procura. Ah, bene, è un piacere.
La gente per strada si ricorda di lui. Criminali degli anni ’90, vicini aggrediti, telespettatori del telegiornale principale.
Sono trascorsi dieci anni da quando Jean Georges Almendras (65) lasciò la sua professione come giornalista di cronaca nera per il Centro Montecarlo de Noticias del Canal 4, ma il tempo non ha cancellato alcune cose. I capelli neri e lisci hanno lasciato il posto a capelli grigi, ben corti ad ogni lato della testa. Baffi corti piuttosto folti, un po’ incolore, ma perfettamente tagliati.
Assomiglia molto a quando Almendras diventò Almendras.
Viaggiava seduto in autobus leggendo un libro quando si accorse che fuori, la via 8 de Octubre y 20 de Febrero, era piena di poliziotti. Strano per un 25 agosto. Così scese dall’autobus.
Erano stati uccisi quattro poliziotti ed erano in corso operazioni di polizia in tutta la città. Almendras percorse un isolato fino alla farmacia Villagrán.
Sono Georges Almendras, di Canal 4. Mi permette di telefonare? Devo chiedere urgentemente un fotografo e un cameraman.
Chiamò Últimas Noticias e il canale, i suoi due posti di lavoro. Inizialmente non gli credettero.
I quattro poliziotti erano arrivati presto in Via Morelli, perché sapevano che in un’abitazione dell’isolato si trovavano Víctor Hugo Benavidez e i suoi fratelli, tutti rapinatori di banche. Quando cercarono di arrestarli, furono uccisi a colpi di arma da fuoco.
Quel giorno di festa del 1989, Almendras non si fermò.
Saliva e scendeva dalle auto delle pattuglie. Entrò nel vivo. Fece cronaca in diretta. Entrò nella casa dei vicini, parlò persino del pranzo dei criminali e la foto di famiglia che trovò nella casa del crimine. Aveva vissuto la guerra e così la raccontò: “Veramente una situazione di pericolo nella via Londres, è questa la via Londres? Sentite le mitragliattrici, ascoltate”, susurrava al microfono affannato e rannicchiato dietro un auto. Trascinò il cameraman Hugo Modino dal cavo collegato al suo microfono. Rimproverandolo: “Vieni qui, dannazione…!”. All’epoca apparve un graffito davanti allo studio del canale (…)

Ti sei sentito in pericolo?
Qualche proiettile mi passò molto vicino, da quello che mi dissero i poliziotti. Ma in quel momento non pensai. Io e gli altri giornalisti che eravamo lì vicino alla sparatoria abbiamo avuto la possibilità di filmare, alcuni colleghi si ritirarono ed altri rimasero, altri ancora si avvicinarono ancora di più… Avevamo tutti le stesse possibilità.

E tu tra quali ti trovavi?
Tra quelli che si avvicinarono un po’ di più.
Almendras ride. Finì il telegiornale e la sera continuò con Últimas Noticias e arrivò il giorno dopo. Erano passate 24 ore da quando era salito sull’autobus per andare a lavorare. Chiamò quindi la Radio Pattuglia.
Mi faccia un favore. Può inviare un agente a casa per avvisare mia moglie che sto bene?
La pattuglia arrivò a casa di Almendras e sua moglie, che lo aveva aspettato tutta la notte, tirò un sospiro di sollievo.
Allora aveva Christian (oggi 33 anni) e Denise (31). Poi arrivò Giovanni (28), si separò e conobbe Erika, con la quale ha avuto un figlio, Giorgio David (14). Ha anche due nipotini di meno di un anno.
Per essere un pensionato dei mezzi di comunicazione, le volte che sale e scende le scale a casa sua non sono un dettaglio minore.
A volte guarda dalla finestra del terzo piano per evitare di andare giù ad aprire o chiudere la porta: “Le mie chiavi? Ah, sono nella casetta della posta…”.
L’ultima rampa di scale, al terzo piano, conduce a dove Almendras trascorre la maggior parte del giorno. Scaffali pieni di giornali. Scaffali pieni di libri. Scaffali pieni di tantissimi CD. Diverse scrivanie e computer. Un poster del Che Guevara, un’immagine di Cristo. Foto dei suoi quattro figli e, ben in vista, un poster di AntimafiaDuemila, il giornale che ha la redazione principale in Italia, di cui lui dirige la redazione in Uruguay. Fuori abbaia Firulai. Dentro, molto vicino al camino, Tigui, il gatto.
Sulla scrivania ha dei libri sui desaparecidos in dittatura, occhiali per vedere da vicino e fogli piegati a metà a forma di quaderno con il titolo Brecha, scritto a mano e colorato con matite verde e rossa. E così va costruendo il suo archivio, con un riassunto di quanto viene pubblicato ogni giorno dalla stampa e una descrizione su come trovarlo se dovesse servire in futuro.
Quando parla rimarca la esse, per essere nato, a sette mesi, ad oltre 3.600 m. di altitudine a La Paz, di dove erano i suoi genitori, e dove visse fino all’età di cinque anni. Anche se fu concepito in pieno quartiere latino a Parigi dove studiavano i suoi genitori. Da qui il nome Jean Georges, che ha una pronuncia tanto diversa in Uruguay. Non ha mai conosciuto Paris.
La sua epoca d’oro iniziò nel 1990. Era uno di quei giornalisti a cui i vicini chiedevano copertura, soluzioni, favori. “Almendras, posso avere fiducia solo di te”. Un padre, detenuto al Comcar, lo chiamò un giorno a Últimas Noticias per dirgli che suo figlio aveva ucciso un poliziotto e voleva consegnarsi alla Giustizia senza l’intervento della polizia. E Almendras ci andò: parlò con la Procura di Montevideo, chiese di non interferire – “Rispettiamo le regole, la mia vita è in pericolo”, andò in auto, fece dei giri in città, e arrivò a un luogo buio dove il minore lo stava aspettando. Andarono insieme alla procura di Bartolomé Mitre.
Altri momenti salienti di Almendras. Quando lo chiamarono a Canal 4 perché qualcuno minacciava di togliersi la vita e voleva denunciare qualcosa che lui riteneva un’ingiustizia. Almendras racconta che lo convinse a parlare e il giovane gli consegnò il suo fucile.
O quando ci fu un ammutinamento anche con degli ostaggi nella Casa Minorile di La Tablada. Almendras entrò ed era in mezzo, tra gli ammutinati e il gruppo di scontro. Si sorprende quando ricordiamo questa storia per l’ennesima volta:

Si sentiva dalla strada, letteralmente chiedevano a gran voce, non lo dico per esaltarmi, che entrasse Almendras a negoziare.

Parla di quell’epoca come se fosse qualcosa di vecchio, dimenticato, che non esiste più.
La generazione di cronisti di cronaca nera è morta. È morta con Nazario Sampayo a Canal 12, è morta con Georges Almendras a Canal 4, è morta con Nano Folle a Canal 10, seppure ancora Nano continua.
Dice che è cambiato tutto: I meccanismi elettronici, la messa in scena, lo show, la libertà di stampa. Che oggi il giornalismo è basato su comunicati della polizia, che non c’è la strada… Chi ci lavora lo fa bene, a suo modo, con il suo tempo, nella propria struttura, ma non è come prima.

E come era prima?
Nella nostra epoca eravamo dei referenti.
Su questo Miguel Chagas coincide. Il giornalista che si occupa di cronaca nera a Telemundo dice di Almendras che era un signore che faceva cronaca molto interessante: andare sul luogo dei fatti – anche quando i giornalisti non sono ben accetti – parlare con i testimoni, avere delle storie credibili.
Ma non crede che la generazione di cronisti sia morta. “Il lavoro che facciamo è lo stesso, oggi ci sono più rischi. Dieci anni fa i criminali iniziavano a sparare nelle gambe. Oggi colpiscono a morte. Siamo più esposti. Almendras si è trovato in mezzo a sparatorie. Nell’ultimo anno io sono stato in tre”.
La funzione della radio della polizia che ascoltavano i giornalisti per delle informazioni sui casi, oggi si fa tramite la tecnologia, le reti sociali. Inoltre, Chagas aggiunge un dato positivo: prima le prime informazioni potevano differire, persino sul numero di morti, oggi ci sono più strumenti, più mezzi per informare.
Quando Aureliano “Nano” Folle iniziò ad occuparsi della cronaca per il Canal 10, Almendras era già un noto personaggio. Era l’epoca in cui la concorrenza per l’anteprima era molto forte, quando i giornalisti televisivi erano gelosi dell’informazione che riuscivano ad ottenere. E ricorda Almendras come qualcuno a cui non piace perdere. “Aveva passione per la cronaca. Era un cane da campo, guardia, un soggetto che era sempre sul pezzo”.
Ma fa una distinzione. Per Folle, Almendras era la descrizione perfetta del cronista di cronaca nera, attaccato alla radio, all’uniforme azzurra, come fosse un suo prolungamento. Oggi tutto questo è cambiato e oggi il presentatore di cronaca nera di Subrayado si sente più comodo staccandosi da questo concetto. Parla in modo diverso di lavorare, comporre la scena completa, approfondire la storia, trovare il perché.
“A volte la cronaca nera, se ti immedesimi troppo, ti allontana dalla realtà. Influisce sulla mente di chi se ne occupa e bisogna stare attenti a non entrare in un capitolo scuro della condizione umana. Ti fa sentire ridicolo, molto esposto, a volte con fregature, altre con eroismo”.
Nano Folle dice che è stato un piacere conoscere anche l’altro Almendras, non il personaggio che correva con il microfono dietro le notizie e che era interessato agli extraterrestri. Almendras persona “con altri interessi e altri valori nella vita”.
Passato il momento d’oro Almendras ha smesso di brillare. Iniziò gradualmente con un dolore nel costato e nell’addome. Era stanco. Si trovava al Canal quando un rene implose. Vasculite, operazione di urgenza, una piccola immagine di Padre Pio dentro il cappellino in sala operatoria. Lo aveva sognato qualche mese addietro e per questo motivo la voleva con lui.
Questo accade nel dicembre del 2005. Il 20 settembre 2010 lo licenziarono dal Canal 4 per questioni economiche. Almendras approffitò per ammettere che anche lui non ne poteva più. Preparò il suo ultimo reportage, un incendio forestale e andò via. Non seppe mai se fu trasmesso.

Ti ha fatto male lasciare?
Mi ha fatto male perchè ho notato ingratitudine collettiva. Da una parte ho visto gratitudine, dall’altra ingratitudine e mancanza di lealtà. Attraversai quella porta, mi faceva male l’ego professionale, ma mi sono liberato. La pressione e lo stress erano troppi.
Adesso passa il suo tempo nella redazione di AntimafiaDuemila, al terzo piano della sua casa a Malvin. Scrive su quello che vuole, su quello che gli interessa, e su quello che considera importante. Nel 2019 scrisse su una persona vestita da militare che entrò nel liceo 1 de Solymar a filmare con il suo cellulare un incontro di studenti su desaparecidos nella dittatura. E lanciò tante domande senza risposta.
Chi c’è dietro questo episodio di evidente taglio fascista? Come è possibile che un militare (da indagare a fondo se veramente era un membro delle forze armate, in attività o in pensione, o una persona travestita) possa agire in quel modo nella totale impunità? Cosa si voleva fare con questo episodio, apparentemente isolato, ma che dimostra sfacciatamente la cultura dell’impunità ben radicata nella nostra società?
Quando non scrive di mafia studia gli Ufo. O parla di mistica, delle stigmate di Giorgio Bongiovanni, che è divenuto suo amico e guida, dando persino il suo nome al suo figlio più piccolo.
Dice che per essere giornalista di cronaca nera bisogna controllare bene l’emotività. Crede in Dio e nella reincarnazione, anche se non gli è mai interessato sapere cosa ha fatto nelle vite passate.

Vorresti reincarnarti come cronista di cronaca?
No, mi piacerebbe reincarnarmi in un giudice, un uomo che applica la Giustizia.
Mentre parla, Tigui, il gatto, si lecca la zampa, Almendras lo guarda, corruga la fronte e chiede: “Non sarà stato un assassino?”
(24 Ottobre 2020)

Tratto da: El Observador