Cercate bene l’esplosivo destinato a Nino Di Matteo, troverete Matteo Messina Denaro

Un altro mafioso pentito, Alfredo Geraci, fresco fresco di arresto (a settembre) e di pentimento (qualche settimana dopo), torna alla carica su un tema scabroso, non gradito ai media, accuratamente evitato dagli opinionisti antimafia che vanno per la maggiore: quello dell’attentato da mettere a segno, con 150 chili di tritolo, ai danni di Nino Di Matteo.
Per primo ne aveva parlato il boss Vito Galatolo, raccontando di una espressa richiesta del super latitante Matteo Messina Denaro ai capi di Cosa Nostra e che risaliva al 2012.
Quasi un decreto ingiuntivo calato dall’alto, privo di motivazioni ufficiali, che non prevedeva né “se”, né “ma”, motivata dal fatto che Di Matteo, con il suo lavoro, “si era spinto troppo oltre”.
Riferimento ovvio alle stringenti indagini sulla Trattativa Stato-Mafia, culminate poi a Palermo in processo di primo grado e relative condanne, delle quali Di Matteo è diventato il rappresentante più simbolico e ben voluto dagli italiani.
Galatolo si dilungò in particolari e retroscena; come l’esplosivo era stato acquistato in Calabria, in quale quartiere di Palermo era stato nascosto, e in che modo il P.M. era stato seguito dai sicari di mafia alla ricerca del modo migliore per mettere a segno l’agguato.
Latore del messaggio del Denaro fu Girolamo Biondino, boss di San Lorenzo, il quale informò anche il vertice di Cosa Nostra che Matteo Messina Denaro avrebbe messo a disposizione un artificiere “di sua fiducia”, non conosciuto dai boss. Cosa che, fra gli stessi partecipanti alla riunione, sollevò non pochi interrogativi sui reali mandanti di un simile progetto di morte.
Infine Galatolo, nel 2014, chiese di incontrare Di Matteo, al quale riferì il complotto.
La Procura di Caltanissetta aprì un’inchiesta.

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Scattarono le ricerche dell’esplosivo.Ma poiché non fu mai trovato (un altro pentito, Francesco Chiarello, raccontò nel frattempo che i mafiosi lo avevano spostato in un luogo più sicuro) le indagini vennero archiviate per assenza del “fatto”.
Vanno infine ricordate, affinché il quadro sia completo, le esternazioni nel carcere di Opera da parte di Totò Riina, quando durante l’ora d’aria confidò a un altro detenuto che a Di Matteo voleva far fare “la fine del tonno”.
Adesso Alfredo Geraci, interrogato dai P.M. di Palermo, Amelia Luise e Francesca Mazzocco, nell’ambito di un’inchiesta sul taglieggiamento dei commercianti a Palermo, ha confermato e arricchito le parole del Galatolo.
Ha riferito che il summit, al quale parteciparono altri boss (se ne dà conto qui), si svolse al secondo piano di un appartamento a Ballarò, di proprietà della sorella di suo suocero, che proprio lui aveva messo a disposizione dei congiurati.
Proprio questa parte dell’interrogatorio di Geraci è stata secretata.
In conclusione.
Alla luce della sua deposizione, forse non sarebbe male che le indagini sull’attentato a Di Matteo venissero tempestivamente riaperte.
Magari tornando a cercare l’esplosivo, gli investigatori potrebbero persino imbattersi in Matteo Messina Denaro, latitante da quasi trent’anni.
Di solito, bombe e bombaroli vanno di pari passo. E il fatto che sino a oggi non siano stati trovati, non sta a significare che siano un’araba fenice.
Con buona pace di certi minimalisti.

Foto originale © Paolo Bassani

saverio.lodato@virgilio.it