Cile: in memoria di Victor Jara contro la dittatura di Piñera

La voce tuonante di Sonia Bongiovanni che scuote e fa tremare le vene ai polsi dei dittatori di questo secolo. Il canto, la protesta, l’arte e l’espressione d’amore dei giovani del movimento Our Voice in questo video non possono non far vibrare il cuore e l’anima ai genitori onesti e a tutti coloro che chiedono giustizia. I giovani del ventunesimo secolo sono l’ultima speranza per una società apatica e indifferente come questa che a volte assiste passivamente all’odio, alla corruzione e alla mafia. Ma con questi ragazzi la società si risveglierà dal sonno profondo, così come affermava Victor Jara: il mondo è fatto d’amore e per questo crescerà sempre. Di seguito l’articolo dell’attivista di Our Voice Argentina, Emilia Cardoso.


Our Voice commemora Víctor Jara
di Emilia Cardoso

Comprendere le dittature degli anni ’70 in America Latina, significa immergersi nella complessità di un’intera epoca, un’umanità che aveva vissuto due guerre mondiali, alla quale avevano promesso che i benefici della scienza e della tecnologia li avrebbero portati a risolvere la fame e i conflitti, eppure questi stavano aumentando al ritmo del “progresso” e ancora peggio nel Sud del mondo, dove vivere come nel “primo mondo” era sempre più un’utopia che una realtà.
Ma, quando cadde il velo dell’illusione, quando la gente si stancò di essere “il terzo mondo”, relegata in periferia, nacquero voci che gridavano così forte da poter essere sentite da un intero continente, le braccia si alzarono così forte che sembravano stravolgere le ideologie del mercato, venivano dai quartieri, dai centri universitari, venivano dai campi. La sensazione di essersi stufati era grande e la disuguaglianza era così perniciosa che non agire significava essere morti nella vita.
E Victor Jara è stato una voce e un braccio. Il suo lavoro artistico è sempre stato al servizio dei più umili, dei contadini, dei lavoratori, di coloro che subivano una qualche forma di oppressione, le sue canzoni suonavano contro la guerra del Vietnam, suonavano contro ogni tipo di disuguaglianza sociale nelle proteste di quegli anni. Suonavano in un Cile convulso che cercava un cammino democratico verso il socialismo dalla mano di Salvador Allende, in un momento in cui la prospettiva di trasformare la storia della dipendenza perpetua dalle potenze mondiali era vista come possibile, quasi imminente.
Oggi, a 88 anni dalla sua nascita, possiamo parlare dei fatti e dire che “il miracolo cileno” del progetto neoliberale inaugurato da Pinochet l’11 settembre 1973 con la dittatura militare è stato un miracolo per pochi, che la crescita economica non si è riflessa in miglioramenti per la popolazione e che la concentrazione della ricchezza del Paese nelle mani dell’1% è oscena. E se non si chiede ai milioni di cileni che sono scesi in strada nell’ottobre dello scorso anno gridando “non sono 30 pesos, sono 30 anni”, chiediamo ai pensionati delle loro pensioni, agli operatori sanitari, parliamo ai contadini, agli studenti, a quelli che non sbarcano il lunario, a quelli che devono scegliere tra mangiare a stento e pagare la metropolitana per andare al lavoro o perdere il lavoro.
E ancora una volta, quando la gente ne aveva avuto abbastanza, quando è scesa in strada perché stare in periferia e nel Terzo Mondo ha giocato loro ancora una volta uno sporco scherzo, il governo di Piñera ha risposto reprimendo come “i vecchi tempi”, come quei tempi che mancano a questo tipo di persone. Ha risposto con trattamenti crudeli e disumani, con torture, stupri, omicidi, feriti gravi, arrivando persino a lasciare le persone cieche.
Il ponte che unisce il passato al presente si restringe e improvvisamente ci ritroviamo a ricordare Victor, a ricordare la sua lotta che è anche la nostra, a potergli dire che chi lo ha ucciso lo ha fatto in difesa di interessi che non avevano nulla a che fare con il popolo cileno o latinoamericano, interessi dei proprietari del circo globale con i loro scavatori negli Stati Uniti.
E ora la sua canzone suona, in centinaia di migliaia di chitarre, tamburi, pianoforti, strumenti e voci che ancora una volta sognano la Grande Patria perché questa volta il velo e tutte le menzogne di chi prometteva benessere sono caduti di nuovo.
È per questo motivo che in occasione dell’88° anniversario della nascita del cantautore cileno Victor Jara, rapito, torturato e ucciso dall’ultima dittatura civile-militare del suo Paese, con Our Voice abbiamo deciso di aderire alla commemorazione organizzata dalla Fondazione Victor Jara che da oltre 20 anni svolge un’incredibile opera di memoria e di richiesta di giustizia per Victor, la cui causa proprio nell’anno 2018 ha visto qualche spiraglio con la condanna di 8 militari coinvolti nel crimine della sua scomparsa seguita dalla morte.
Sotto la produzione di una presentazione audiovisiva, Cile, Paraguay, Argentina, Uruguay e Italia si sono uniti per cantare “Il diritto di vivere in pace”, una canzone molto conosciuta dal popolo cileno e dal mondo che porta nel cuore un giovane vincitore, un combattente che ci ha lasciato in eredità la sua storia di vita e la sua arte. Quest’opera è dedicata a lui, alla Fondazione Victor Jara e alla resistenza del popolo cileno.

Tratto da: ourvoice.it