Scarpinato: ”Per i collaboratori di giustizia i Graviano non parlano per non essere ammazzati”

di Karim El Sadi – Video
Alla festa de Il Fatto Quotidiano il pg di Palermo ha raccontato il crimine del grande potere tra mafia, stragismo e depistaggi

“Qualche giorno fa ho parlato con alcuni collaboratori di giustizia e ho chiesto perché i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, a 50 anni, ancora non collaborano. Mi hanno risposto che Graviano non può collaborare, perché lo ammazzano dentro la cella, come altri. Oppure uccidono uno dei suoi figli”. A dirlo è il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, intervenuto ieri a un incontro della Festa del Fatto Quotidiano insieme ad Antonio Padellaro e Marco Lillo.
“Significa che ci sono dei poteri che hanno una capacità di intervento e di intimidazione tale da impedire che la verità venga accertata. Per cui fa sì che chi sa non parla”. “Questo non è solo un dramma della conoscenza della memoria, ma della democrazia. Questo è un gioco grande che non si è mai interrotto”.
Durante l’incontro il magistrato, che da anni si occupa di delicate inchieste di mafia, per ultima quella sul caso Agostino (il 10 settembre davanti al gup si terrà l’udienza preliminare), ha parlato, rispondendo alle numerose domande dei due giornalisti, delle stagioni di sangue e bombe d’Italia partendo dall’attentato all’Olimpico, fortunatamente non avvenuto. Quella strage mancata – tra l’altro argomento dell’ultimo libro di Padellaro dal titolo “La strage e il miracolo” (ed. Paperfirst) – secondo Scarpinato “doveva suggellare la fine della prima Repubblica replicando in modo cruento quella avvenuta con la nascita della Repubblica. Perché l’incipit della prima Repubblica ha tenuto battesimo da una strage politico-mafiosa, cioè con la strage di Portella della Ginestra del 1 maggio 1947”. Quest’ultima tragedia, ha continuato, “segna l’inizio di una stagione stragista che si sussegue con una serie di attentati ininterrotta che non ha eguali in nessun paese europeo”. Fatti di sangue, ha spiegato davanti al pubblico, che a suo dire hanno un comune denominatore: i depistaggi. “Le indagini della magistratura vengono depistate al punto tale da non riuscire ad accertare la verità su alcune di esse”, ha detto il procuratore. “Soppressione di documenti essenziali, costruzione di false piste investigative, eliminazione di testi importanti. Non si tratta di dietrologia ma – ha sottolineato – di sentenze definitive passate in giudicato”. “Per quale motivo si depista?”, si è chiesto quindi il magistrato. E a quale scopo? Secondo Scarpinato i depistaggi avvengono “per nascondere una verità inconfessabile, per occultare i mandanti politici che ci sono in quelle stragi, per celare la causale politica sottostante alla causale apparente”. Tutto questo repertorio delle stragi è stato replicato nel 1992-1993, ha aggiunto riportando una lunga lista di gialli irrisolti come la mancata perquisizione del covo di Totò Riina dopo l’arresto nel gennaio ’93, la sparizione dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, il caso Vincenzo Scarantino e le misteriose morti di Luigi Ilardo e Antonino Gioé, entrambi pronti a disvelare ai pm segreti inconfessabili ed entrambi eliminati, si pensa, con complicità di Stato.

Perché sono state depistate le stragi di mafia? – è tornato a chiedersi Scarpinato – perché non sono solo stragi di mafia, ci sono altri mandanti che devono restare coperti. Perché altrimenti non ci sarebbe motivo per cui apparati dello Stato entrano sistematicamente in campo dall’inizio e per tutto il corso delle indagini per impedire di andare oltre il livello”. “Dietro le stragi del 1992-1993 – ha continuato facendo un interessante excursus su quegli anni della Prima Repubblica – c’è il braccio armato di Cosa nostra ma ci sono, come indicò già nel 1993 la Dia in un’informativa, altri soggetti che sono la mente politica dello stragismo del 1992-1993 che finalizzano le stragi di mafia a un progetto più ampio e politico di destabilizzazione del Paese per impedire un evento che si riteneva esiziale”. Ovvero “il sistema di potere italiano che aveva garantito, per tutta la prima repubblica all’interno dell’anticomunismo e del bipolarismo internazionale, protezione e impunità, non soltanto alla mafia ma a entità criminali come la P2 o a lobby affaristiche o soggetti degli apparati dello Stato che avevano coperto le stragi degli anni ’70-’80 per ragioni di carattere internazionale, sta crollando”. “Si annuncia in quella fase storica l’avvento della sinistra al potere, si parla della Gioiosa Macchina da Guerra, la coalizione tra la sinistra, DC e l’ex PC e si immagina che se la gioiosa macchina da guerra avrà luce ci sarà il regolamento di conti col passato, cioè la fine degli uomini di Gladio che hanno fatto le stragi. Quindi si viene a creare una convergenza di interessi e un software da parte di specialisti della destabilizzazione della comunicazione di massa che indicano la tempistica degli attentati delle stragi e gli obiettivi da colpire”. Questa causale politica, ha detto ancora Roberto Scarpinato, “viene celata ai capi di Cosa nostra e agli esecutori ed è conosciuta solo da un ristretto nucleo di capi: Totò Riina, Giuseppe Graviano, Matteo Messina Denaro e Leoluca Bagarella“. Insieme a loro a conoscere queste informazioni erano quelli che parteciparono nel 1991 alla riunione di Enna “dove venne deciso di porre in essere questa strategia di destabilizzazione del Paese che doveva prevedere stragi rivendicate dalla sigla Falange Armata, la creazione di una sfiducia collettiva, la delegittimazione delle istituzioni e la creazione delle basi per l’entrata in campo di un nuovo soggetto politico”. A fine intervento Scarpinato ha detto che ciò che si è verificato in Italia dal dopo guerra non ha eguali in Europa. Stragi, omicidi eccellenti e suicidi misteriosi hanno caratterizzato quello che il magistrato ha definito come “genocidio”. Un genocidio “compiuto da pezzi di classe dirigenti, le più violente del continente, che hanno utilizzato questi crimini come strumento per falsare il gioco politico. E credo che questo ‘grande gioco’ resterà ignoto alla gran parte dei cittadini perché il sapere non è innocente. La costruzione del sapere è uno dei terreni su cui da sempre si combatte per la lotta al potere. La falsificazione del grande crimine del potere – ha concluso – è un terreno su cui purtroppo noi siamo ancora oggi perdenti”.

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fonte: antimafiaduemila.com