Plastica, crescono i traffici illegali di rifiuti: l’Interpol lancia l’allarme

Non vogliamo occuparci della spazzatura che produciamo né costruire impianti autorizzati a gestirla in sicurezza, scaricando il problema su altri Paesi. Ad approfittarne sono le mafie

di
Luca Aterini

L’Organizzazione internazionale di polizia criminale (Interpol) ha appena pubblicato il rapporto Tendenze criminali emergenti nel mercato globale dei rifiuti di plastica da gennaio 2018, con l’Italia già in copertina anche se il problema non riguarda certo solo il nostro Paese. Ormai i traffici illegali di rifiuti plastici hanno raggiunto una dimensione allarmante a livello globale.

«L’inquinamento globale da plastica è oggi una delle minacce ambientali più pervasive per il pianeta e la sua corretta regolamentazione e gestione è di fondamentale importanza per la sicurezza ambientale globale – dichiara il presidente del Comitato consultivo per la conformità e l’applicazione dell’ambiente dell’Interpol, Calum MacDonald – Il nostro rapporto evidenzia l’urgente necessità di identificare e valutare come i criminali stanno sfruttando le vulnerabilità del mercato, nuove e preesistenti, con un invito a rafforzare l’azione delle forze dell’ordine sia a livello di esportazione che di importazione» di questi rifiuti.

Il rapporto Interpol è stato finanziato dal progetto europeo Life Smart waste e mostra che c’è stato un notevole aumento negli ultimi due anni nelle spedizioni illegali di rifiuti, principalmente dirottate verso il sud-est asiatico attraverso più paesi di transito – per camuffare l’origine della spedizione dei rifiuti –. mentre altri risultati chiave includono un aumento delle discariche illegali e dei roghi di rifiuti in Europa come in Asia.

Il problema è noto da tempo ma si è evoluto dopo il 2017, quando la Cina chiuse le porte all’ingresso di numerose tipologie di rifiuti – plastici in primis –, che prima venivano spedite in gran quantità nel gigante asiatico dai Paesi europei come dall’America del nord. Adesso, come mostrano anche i più recenti dati Eurostat, plastiche (difficilmente) riciclabili hanno semplicemente cambiato rotta e vengono spedite in gran quantità in altri Paesi come Malesia e Turchia. E quello contabilizzato dall’Eurostat è solo l’export legale.

L’Interpol ha invece evidenziato l’infiltrazione di reti criminali nel commercio dei rifiuti di plastica, che dirottano illegalmente le spedizioni e/o gestiscono in modo non autorizzato i rifiuti stessi. La dimensione di questa gestione illegale di rifiuti di plastica è molto ampia, e coinvolge almeno 52 delle 257 rotte commerciali analizzate dall’Interpol. Nel mirino dei trafficanti ci sono soprattutto i paesi asiatici in via di sviluppo, in particolare quelli con capacità limitate di gestione e applicazione delle normative sui rifiuti. Nel maggio 2020, ad esempio, la Malesia ha avviato il costoso e vasto processo di “rimpatrio” di 3.737 tonnellate di rifiuti di plastica verso 13 diversi paesi da dove provenivano, equivalenti a 150 container.

Dal 2021 si dovrebbero adottare a livello mondiale misure internazionali sul commercio internazionale di rifiuti di plastica, secondo la Convenzione di Basilea. Tuttavia, l’Interpol ha evidenziato la necessità di aumentare il controllo sull’applicazione delle leggi in merito alla gestione e commercio dei rifiuti.

Ma per arrivare davvero a una soluzione del problema occorre grattare oltre la superficie. «La presenza di attività criminali relative ai rifiuti è una minaccia crescente che getta le sue radici  in un problema più profondo: l’incapacità di gestire sia l’utilizzo che la nostra produzione di plastica», commentano all’unisono Eirik Lindebjerg, responsabile delle politiche globali sulla plastica del Wwf, e il direttore conservazione del Wwf Italia Isabella Pratesi.

Gli ambientalisti del Panda hanno dunque delineato una serie di raccomandazioni per una risposta internazionale da parte dei governi, che riportiamo di seguito integralmente:

a) Accelerare i negoziati per un accordo globale legalmente vincolante con piani d’azione e regolamenti nazionali chiari, compreso il supporto per la gestione dei rifiuti nei paesi a basso reddito.

b) Rafforzare i meccanismi esistenti come l’eliminazione graduale della plastica monouso, il miglioramento della capacità di riciclaggio domestico nei mercati sviluppati e la risoluzione delle lacune nella gestione dei rifiuti nelle economie in via di sviluppo.

c) Innovare e ampliare le alternative alla plastica rispettose dell’ambiente.

d) Investire nella ricerca e nello sviluppo di capacità per migliorare il monitoraggio e l’applicazione delle norme sui rifiuti di plastica.

Per quanto riguarda più nello specifico il nostro Paese è però necessario ricordare che, tra le principali criticità per la gestione dei rifiuti – tutti, non solo plastici – messe in evidenza dalla Direzione investigativa antimafia (Dia) nei suoi ultimi due rapporti, c’è la strutturale carenza di impianti autorizzati a operare sul territorio nazionale. Che, come dovrebbe essere ovvio, contribuisce sia all’export legale sia ai traffici della malativa.

Per la Dia, infatti, «la cronica carenza di strutture moderne per il trattamento potrebbe favorire logiche clientelari e corruttive da parte di sodalizi criminali». E ancora: «La perdurante emergenza che in alcune aree del Paese condiziona ed ostacola una corretta ed efficace gestione del ciclo dei rifiuti vede tra le sue cause certamente l’assenza di idonei impianti di smaltimento che dovrebbe consentire l’autosufficienza a livello regionale […] Significativa, ad esempio, la mancata realizzazione di termovalorizzatori».

Qualche esempio delle conseguenze? Lo riporta oggi l’Interpol: «L’aumento degli incendi di rifiuti è stato segnalato principalmente dai paesi dell’Europa meridionale. Ci sono indicatori crescenti sul fatto che il surplus di rifiuti alimenti le mafie, che costruiscono il loro modello di business sullo smaltimento dei rifiuti irregolare e non sicuro». Spesso dirottandolo oltre confine: «L’incenerimento per il recupero energetico nell’industria del cemento non è immune dalla criminalità. In Romania, in particolare, l’industria del cemento è nota per aver bruciato rifiuti importati illegalmente da impianti italiani sospettati di essere gestiti da gruppi mafiosi italiani».

fonte: greenreport.it