La mediocre, anzi, scarsa riforma Bonafede sul Csm

Un bavaglio ai magistrati indipendenti
di Giorgio Bongiovanni



Al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede non bastavano la “sporca-faccenda” della mancata nomina di Nino Di Matteo come direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria o il fallimento della gestione carceri nel tempo del Coronavirus, risolto in extremis solo dopo le proteste di magistrati, familiari vittime di mafia e addetti ai lavori anche grazie alle nomine di Roberto Tartaglia come vice-capo del Dap. A dimostrazione di un modo di intendere la giustizia fallace (al di là delle “solite” leggi, comunque positive, voto di scambio, spazzacorrotti, blocca-prescrizione che vengono continuamente ripetute come un mantra per testimoniare la bontà del suo operato) vi è anche la riforma del Consiglio superiore della magistratura.
Il progetto, che ha visto l’abbandono dell’idea primordiale dell’elezione per sorteggio, è stata presentata in questi giorni e presenta luci (poche, come la proposta per cui i “laici” del Csm non possano essere scelti tra i politici eletti in Parlamento o la separazione tra vita politica e attività giudiziaria del magistrato), ed ombre (troppe) che paradossalmente potrebbero portare ad un rafforzamento del correntismo che, come si è visto con il caso Palamara, non rappresenta solo una degenerazione, ma un vero e proprio sistema di potere.
Il consigliere togato del Csm Sebastiano Ardita, intervistato da Il Fatto Quotidiano, ha lanciato un vero e proprio allarme sul punto.
Secondo il magistrato se si dovessero votare i membri del consiglio in venti piccoli collegi, c’è il rischio “di far sparire i candidati indipendenti e anche una realtà come la nostra (riferendosi ad Autonomia e Indipendenza, ndr) che raccoglie il consenso sparso di chi non condivide il sistema delle correnti. Forse il ministro non sa che alcune correnti hanno reti locali che prendono in carico i magistrati dal loro ingresso in magistratura e li accompagnano fino alla pensione. – ha proseguito – Più ristretto è il collegio e più facile è intercettare il voto. Nessun magistrato, se non sostenuto da un gruppo, verrebbe mai eletto“.
In un colpo solo si realizzerebbe il sogno di tanti politici, di destra, di centro e di sinistra, che vorrebbero proprio mettere il bavaglio a quei magistrati coraggiosi che, senza essere iscritti alle correnti, potrebbero avere “voce”.
Eppure basterebbe ricordare che Giovanni Falcone, che non era iscritto alle correnti tradizionalmente di peso, non fu eletto quando si presentò in un piccolo collegio di Palermo. Ma è cosa nota che il nostro è un Paese dalla memoria corta.
Se non vi fosse stato il sostegno di Autonomia & Indipendenza (il movimento di Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita) che decise con convinzione di sostenere la candidatura al Csm da autonoma di Nino Di Matteo, oggi il magistrato non sarebbe al Consiglio superiore della magistratura e non potrebbe fare da cassa da risonanza per tutti quei magistrati che non sono legati a nessun partito o corrente politica, che non vogliono iscriversi a nessuna corrente della magistratura.
Troppe volte abbiamo visto come il sistema correntizio ha penalizzato, pregiudicandola, la carriera di ottimi magistrati.
E tante volte abbiamo visto l’autonomia e l’indipendenza della magistratura essere messa a rischio da quella parte della politica che vorrebbe ridurre il magistrato ad un burocrate invece che più attento a fare giustizia.
Sempre Ardita ha evidenziato altri punti deboli della riforma laddove si prevedono “poteri più penetranti del Csm rispetto ai capi degli uffici, attraverso gli strumenti di organizzazione (tabelle, criteri di assegnazione, deleghe) con tanto di responsabilità disciplinare dei magistrati che non si adeguano“. “Questi strumenti – ha ribadito il consigliere togato rispondendo alle domande di Gianni Barbacettose applicati in modo burocratico nelle Procure, rischiano di essere un freno alla competenza e alle iniziative dei singoli magistrati. La magistratura verrebbe ulteriormente gerarchizzata e controllata. Non penso che qualcuno potrà mai più avere l’autonomia che ebbero negli uffici Giovanni Falcone o Paolo Borsellino”.
Dunque il rischio più grande che si manifesta è che calcoli di opportunismo, o di opportunità politica, si manifesteranno sia nelle scelte dell’autogoverno che in quelle del singolo magistrato che vedrà così limitata quella autonomia e indipendenza, garantita dalla Costituzione.
Ecco perché diciamo che la riforma Bonafede per il Csm è mediocre o scarsa. Si sarebbe dovuto ridurre il peso delle correnti e invece c’è l’altissimo rischio che, tra cavilli e tecnicismi, le stesse spazzeranno via le piccole correnti che lavorano per i magistrati indipendenti e che non hanno il timore di garantire loro l’autonomia.
Si sarebbe dovuto andare anche oltre nella riforma.
In questi anni ci siamo occupati più volte di questo tema.
La magistratura, per rendersi definitivamente libera, in primo luogo dovrebbe raggiungere effettivamente l’indipendenza totale dalla politica, soprattutto al suo interno.
Ideale sarebbe stato azzerare completamente la presenza dei membri laici (otto compongono il Plenum), eletti dal Parlamento, per far sì che il Csm sia davvero un organo di autogoverno.
Per farlo servirebbe una riforma costituzionale sul punto che, se si vuole procedere davvero a un cambiamento senza restare nel campo delle “chiacchiere”, diviene necessaria.
Ma la verità, purtroppo, è che la politica (quasi tutta) non vorrà mai una riforma simile e a tutt’oggi non esiste una maggioranza (deve essere dei due terzi, ndr) disposta ad approvarla.
Anche le correnti dovrebbero essere completamente cancellate.
La nostra opinione è che i membri che dovranno far parte del Csm debbano essere a loro volta scelti da tutti i magistrati tramite una scelta democratica elettiva, con tanto di “campagna elettorale” per rappresentare il proprio curriculum e le proprie idee.
Anche l’elezione democratica dei rappresentanti dell’organo di autogoverno della magistratura, quindi, deve essere fatta da magistrati i quali possono scegliere basandosi esclusivamente su merito.
A nostro modo di vedere il sorteggio, oggi scartato ma in passato proposto, non sarebbe la soluzione più giusta, anche se molti magistrati la indicano come un modello possibile.
Un modo per intervenire a garanzia della pari dignità dei giudici può essere l’introduzione, per legge, della rotazione di alcuni incarichi semidirettivi, ma anche in questo caso vi deve essere un rigoroso vaglio di idoneità basato sempre sul merito.
Un concetto, quello del merito, che deve valere sia per l’elezione democratica dei rappresentanti dell’organo di autogoverno della magistratura, che per le nomine e le promozioni.
Sarebbe grave se si tornasse ad un sistema in cui l’anzianità abbia più peso delle capacità dei magistrati. Basti ricordare lo “schiaffo” del Csm a Falcone, nel momento in cui “con motivazioni risibili” gli preferì Antonino Meli come capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo. Paolo Borsellino, il 25 giugno 1992, disse chiaramente che quel momento contribuì alla sua morte professionale.
Dunque, in un Paese come il nostro, dovrebbero essere promossi quei magistrati che si occupano di indagini delicate, come quelle sul terrorismo e della lotta alla mafia. Un campo quest’ultimo, estremamente delicato.
Una riforma seria abolirebbe anche i limiti per gli incarichi direttivi e semidirettivi, così come quella circolare aberrante che prevede la fuoriuscita dalla Dda di un magistrato dopo 8 anni in cui ha lavorato in quel settore specifico, acquisendo esperienza e professionalità specifiche.
E poi ancora è necessario che sia restituita la titolarità dell’azione penale ai singoli pm e non più soltanto ai procuratori capi, così come è previsto da alcune circolari degli ultimi anni.
E’ necessario che il magistrato indipendente non abbia le mani legate da “aut aut” da parte del Procuratore capo, ma semplici indirizzi generali in tema di indagini, affinché poi egli stesso possa autonomamente procedere negli sviluppi investigativi.
Anche queste sono aberrazioni su cui si dovrebbe intervenire.
Dopo aver visto gli scandali del Csm di ieri (ai tempi di Falcone e Borsellino) e di oggi (scandalo Palamara e affini) una politica seria, con le Camere serie e onesta che non abbia interessi nel controllo della magistratura, saprebbe intervenire. Altrimenti, come ha detto Ardita a Barbacetto nell’intervista “non dite che non l’avevamo detto…“.

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fonte: antimafiaduemila.com