Gli anni più belli

Il 25 marzo del 2000 veniva presentato a Palermo il primo numero di ANTIMAFIADuemila
di Lorenzo Baldo

E’ il titolo di un film. Ma anche di una canzone. Ed è parafrasando il testo di Claudio Baglioni che possiamo ripercorrere i primi 20 anni di ANTIMAFIADuemila. Perché dietro ai nomi dei componenti della redazione ci sono le vite, i sogni, i progetti e le disillusioni di un gruppo di amici. Che – grazie al coraggio, all’amore e alla passione civile di Andreina De Tomassi, fin da subito disponibile a donare la sua firma per far nascere il giornale – ha saputo mettersi in gioco seguendo le intuizioni e le indicazioni di un indomito direttore come Giorgio Bongiovanni, a dir poco “eretico”. Ma se, come dice Don Ciotti, “eresia significa scelta”, ecco allora che “l’eretico sa scegliere ed esprimere in modo civile un giudizio autonomo, ama la verità ma ancor di più la sua ricerca, non il possesso. Per l’eretico la ricerca della verità e la responsabilità sono inseparabili, egli si ribella al sonno delle coscienze e all’ingiustizia, al cinismo e all’indifferenza”.
Quel gruppo di ragazzi e ragazze – sicuramente incoscienti, ma altrettanto seri e responsabili – capitanato da una straordinaria caporedattrice come Anna Petrozzi, ha saputo fare proprie quelle parole, e ha lottato con incredibile spirito di sacrificio rivendicando il diritto di scrivere facendo nomi e cognomi. Soprattutto di chi – tra gli apparati istituzionali – ha contribuito ad armare il braccio di Cosa Nostra nelle stragi di Stato.

“Noi – canta Baglioni – che sognavamo i giorni di domani per crescere insieme mai lontani. E sapere già cos’è un dolore e chiedere in cambio un po’ d’amore. Noi che volevamo fare nostro il mondo, e vincere o andare tutti a fondo. Ma il destino aspetta dietro un muro e vivere è il prezzo del futuro”.

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25 marzo 2000. Un momento della conferenza tenutasi a Palermo dove fu presentata ANTIMAFIADuemila © ACFB


Volevamo davvero fare nostro il mondo. Probabilmente abbiamo commesso anche qualche errore dovuto all’inesperienza, ma ci siamo battuti con l’entusiasmo, l’onestà e la passione che appartiene a tutti gli idealisti. Sì, siamo stati profondamente idealisti, a volte probabilmente anche ingenui. Sapevamo che non bastava sconfiggere la mafia per dichiarare conclusa la partita. Forse non avevamo compreso fino in fondo la tremenda potenza di quel Giano bifronte che muove i fili di tanti burattini, e comunque eravamo intenzionati a continuare lo stesso.
Man mano che andavamo avanti imparavamo a conoscere un sistema criminale integrato nel quale si muovono centri di potere, più o meno occulti, bramosi di occultare la verità. Quella stessa verità che può essere imbrigliata, ostacolata, nascosta sotto metri di terra, per un periodo più o meno lungo, ma che alla fine è destinata ad emergere. Con tutta la sua forza liberatrice.
Con questa convinzione abbiamo quindi proseguito la strada che avevamo scelto: irta di ostacoli, ma ricca di umanità, accanto a molti familiari di vittime di mafia, persone segnate nel corpo e nell’anima, che non avevano più nulla da perdere, ma che proprio per questo non intendevano arrendersi.

“Noi, che abbiamo visto il sole accendere su noi gli anni più belli, noi una promessa da fratelli, tra lacrime di ombrelli noi, che abbiamo udito il mare piangere con noi”.


Una promessa.
Fatta nel preciso momento in cui abbiamo deciso di lottare assieme per dare un contributo alla ricerca della verità sul biennio stragista ’92/’93: un impegno totalizzante, prima con il giornale cartaceo e successivamente con il relativo sito internet che, con grande successo, continua ad aumentare sempre di più il numero dei lettori. Con il passare del tempo si sono uniti a noi altri giovani redattori, ugualmente idealisti, assieme ad alcuni prestigiosi giornalisti e scrittori tra cui Anna Vinci, Saverio Lodato e Giulietto Chiesa, grandi fotografe come Letizia Battaglia e Shobha, tanti altri amici come Michele Riccio e coraggiosi collaboratori che si sono riconosciuti in questa battaglia di civiltà; così come alcuni valorosi avvocati – Fabio Repici in primis – che ci hanno difeso nei momenti più difficili.
Ma sono stati anni nei quali abbiamo anche pianto di rabbia di fronte alle ingiustizie perpetrate da pezzi dello Stato nei confronti dei migliori servitori di questo Paese. A partire dalle vergognose prese di posizione – e altrettante vergognose omissioni – da parte del Csm e dell’Anm, nei confronti dei magistrati che avevano osato cercare quella terribile verità sulle stragi di Stato: Nino Di Matteo in primis. Ignobili prese di posizioni avallate da ampi settori della magistratura, della politica e dei media, con la pesante ingerenza delle più alte cariche istituzionali tra cui l’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Abbiamo ancora negli occhi i sentimenti di sdegno, frustrazione e annichilimento riflessi nel volto di un magistrato integerrimo come Di Matteo – condannato a morte da una rete criminale di cui Cosa Nostra è solo uno dei bracci esecutivi – che si vedeva rifiutare dallo Stato il dispositivo di protezione “bomb-jammer” (per poi ottenerlo dopo essere stato lasciato solo), e vedeva bocciate le sue richieste di avanzamento di carriera. Bocciature che si succedevano con nonchalance nonostante i suoi alti meriti professionali, e nonostante il progetto di attentato nei suoi confronti risultasse secondo alcuni pentiti – così come secondo alcune intercettazioni ambientali al capo di Cosa Nostra Totò Riina – del tutto operativo.
Riviviamo ancora sulla nostra pelle le mille battaglie intraprese per difendere quel gruppo sparuto di magistrati, di cui Di Matteo è l’emblema, così come per sostenere le loro delicatissime indagini. Ardue battaglie combattute strenuamente assieme a uomini giusti come Salvatore Borsellino, Don Ciotti, le Agende Rosse, Libera, sempre al fianco di tutta la componente più autentica dell’antimafia di cui Riccardo Orioles e Graziella Proto sono un punto di riferimento.

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Le copertine dei numeri 2, 3, 4 e 6 del giornale e la numero 62 che, nel 2009, esce in formato book

Spesso il dolore provato per alcune sconfitte è stato lacerante. Uno su tutti, l’assenza di verità – che non è arrivata in tempo – per alcune donne eccezionali che ci hanno lasciato troppo presto: Agnese e Rita Borsellino, Giovanna Maggiani Chelli, Emilia Incandela Catalano, Augusta Schiera Agostino; così come per altri familiari di vittime di mafia. Ma anche Antonino Caponnetto, Tina Anselmi, Pablo Medina e tanti altri giusti che ci hanno lasciato in questi 20 anni senza avere giustizia e verità.
Poi però, altre volte, allo stremo delle forze, è sopraggiunta la vittoria. Vibra ancora forte l’emozione – palpabile, poderosa, travolgente – per la sentenza di primo grado al processo sulla trattativa Stato-mafia. Una sentenza – coraggiosa e giusta – che ha confermato, seppur ancora in primo grado, un dato agghiacciante: nel biennio ’92/’93 lo Stato ha trattato con la mafia mentre tanti innocenti morivano assassinati dallo stragismo politico-mafioso.
Un misto di stordimento e di liberazione si è impossessato di noi al momento della lettura del dispositivo. E’ stato come un lunghissimo flashback nel quale abbiamo ripercorso tutti gli anni nei quali il processo Trattativa è stato deriso, ignorato, mistificato, e soprattutto ostacolato con ogni mezzo, e a tutti i livelli. In un istante è come se avessimo rivissuto i sacrifici, l’impegno e l’amicizia che si sono saldati attorno ad una causa di vita che accomuna tutti coloro che cercano la verità.
E se il termine “belli” accostato ai 20 anni appena trascorsi può apparire azzardato, va evidenziato che si tratta di una “bellezza” – ruvida e autentica – fatta di duro lavoro, condiviso all’ennesima potenza tra noi e chi percorreva lo stesso cammino. Una pesante ma altrettanto meravigliosa responsabilità impastata d’amore, rabbia, speranze, delusioni, dolori, sconfitte, vittorie, e grande spirito di resilienza, nonostante tutto. Anche ora. Nonostante la follia del momento che stiamo vivendo oggi, con un nemico invisibile sotto forma di virus che minaccia l’umanità intera.
E anche adesso la prima vittima è la verità.
Ma fino a che punto l’essere umano è diventato – lui sì – un virus, un feroce nemico dei suoi simili e dell’intero pianeta? Perché non siamo riusciti a comprenderlo prima per poter invertire la rotta?
Il terrore che si legge negli sguardi di tanta gente in questo periodo riflette l’atavica paura di morire. Ma se non si ha il coraggio di lottare per proteggere la Terra e tutti i suoi figli, per difendere i giusti, per crescere ed evolverci attraverso i valori della giustizia, della pace, dell’amore e della fratellanza, che senso ha vivere? Ce lo hanno già insegnato in tanti: donne e uomini laici della nostra epoca, così come grandi maestri spirituali, a partire da Gesù Cristo e anche prima di lui. Eppure non lo abbiamo ancora capito.
Oggi ci ritroviamo di fronte ad un futuro incerto – sul quale incombe tutta una serie di sconvolgimenti climatici che ci impone di fermarci – spersi, impauriti, pronti ad armarci contro i nostri simili che vediamo come nemici. Chiusi nei nostri egoismi e nelle nostre solitudini non ci accorgiamo di essere stati fagocitati da un sistema di potere criminale che ha depredato le nostre anime. Un sistema scellerato – in un mondo che è a un passo da una prossima recessione globale, con il rischio di ulteriori destabilizzazioni – che, attraverso la paura, la menzogna, la violenza e il ricatto, ipoteca il nostro futuro e quello delle nuove generazioni.
Tramortiti da questa realtà, non ci rendiamo conto dell’immensa opportunità che possiamo cogliere dalla drammatica situazione in cui ci troviamo ora, e che si traduce in una parola fondamentale: cambiamento. Possiamo rimetterci in gioco cambiando prospettiva di vita, fermando quell’ingranaggio che attenta alla nostra integrità di esseri umani, così da tornare a vivere in armonia con noi stessi e il pianeta, per riscoprire il senso e le vere priorità di questa esistenza.
Non sarà facile, perché l’ingranaggio è stato perfezionato nei secoli e intende proseguire a oltranza. Ma ne vale la pena: ogni conquista che conta costa sudore, lacrime e sangue.

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Non li avete uccisi: le loro idee camminano sulle nostre gambe © Shobha

“Noi, con le ferite dei duelli e spalle di fardelli noi, che abbiamo spinto il cuore a battere per noi gli anni più belli. Noi, che siamo stati lupi e agnelli, con l’anima a brandelli, noi che abbiamo chiesto al cielo di ridare a noi gli anni più belli”.


Racchiusa nell’ultima strofa della canzone di Baglioni, la preghiera laica di ridare a noi gli anni più belli si espande con forza nel vento. Che scompiglia i capelli di chi sa alzare ancora lo sguardo al cielo mantenendo i piedi ben piantati per terra.
Probabilmente alcune cose non sono andate come pensavamo sarebbero potute andare, o forse no. A volte si sono verificati imprevisti che ci hanno costretto a fare i conti con noi stessi. Ma questo fa parte del gioco. Certamente abbiamo tutti imparato qualcosa, e comunque verrà il tempo per trovare le risposte che ancora non abbiamo.
E se in questi 20 anni il vento di Maestrale ha sferzato i nostri volti – come uno scultore che smussa gli angoli della sua pietra – ha ugualmente infierito sul viso del nostro combattivo direttore a cui va un profondo ringraziamento per la sua totale abnegazione nei confronti di quest’opera, così come per il coraggio di perseverare in questa battaglia.
Oggi quel vento soffia ancora sul volto del nostro caporedattore Aaron Pettinari. Che, seguendo le indicazioni di chi regge il timone, ma anche con grande spirito di inventiva, ha saputo affrontare le forti mareggiate e i periodi di secca assieme al nostro webmaster Emanuele Di Stefano e ai colleghi di redazione. Ai giovani come loro l’augurio di continuare a lottare gioiosamente per la giustizia, per la pace e per la verità – dovunque la vita li chiamerà ad operare – con passione, spirito di sacrificio, generosità e tanta speranza, in attesa che sorga il sole. Perché nessuna notte è infinita.

Foto di copertina: Immagine © Shobha/Elaborazione grafica a cura di Paolo Bassani

fonte: antimafiaduemila.com