Guerra nello Yemen, gli assassini criminali sono anche italiani

Il silenzio-assenso del Governo (del non cambiamento)
di Giorgio Bongiovanni

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Guerra, fame, pestilenze. Da anni lo Yemen, uno dei Paesi più poveri del mondo sito nella penisola arabica, sta vivendo una delle più tragiche crisi umanitarie, nel silenzio assordante delle Nazioni europee ed occidentali.
Lì, dal 2015, è in corso una guerra civile devastante con oltre 10mila persone uccise (due terzi delle quali civili), decine di migliaia ferite e altre ancora colpite dalla fame, dal colera e dalla difterite. Numeri impietosi, raccolti in questi mesi, che diventano ancora più drammatici se si considera che, secondo l’Unicef, ci sono 400mila bambini che rischiano di morire a causa della malnutrizione mentre oltre otto milioni di minori sono privati di acqua potabile. E nel conflitto che vede da una parte il governo riconosciuto del presidente yemenita, Rabbo Mansour Hadi, appoggiato da una vasta coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita, gli Stati Uniti e alcune Nazioni europee, e dall’altra i ribelli di religione sciita Houthi, sostenuti dall’Iran, sono all’ordine del giorni bombardamenti indiscriminati su scuole, ospedali e mercati, in cui hanno perso la vita migliaia di persone.
Perché lo Yemen è tanto importante è presto detto. Il Paese Arabo, infatti, confinante con l’Oman e l’Arabia Saudita, è collocato in un punto cruciale di collegamento tra il Mar Rosso ed il Golfo di Aden. Non una rotta qualunque ma una di quelle ritenute “cruciali” in particolare per il transito delle petroliere.
La lotta intestina che si sta sviluppando in questi anni è proprio figlia di questi interessi internazionali che non hanno nulla a che vedere con la libertà della povera gente. L’Arabia Saudita, assieme ad altri otto stati arabi sunniti hanno deciso di appoggiare il Governo riconosciuto di Hadi, avviando una costante campagna di bombardamenti mentre Stati Uniti, Regno Unito e Francia hanno offerto supporto logistico.
Anche l’Italia ha un ruolo in tutto questo in particolare se si guarda alla vendita di armi. I sauditi, secondo diverse inchieste e denunce internazionali, usano armi prodotte in Italia, sia in materia di bombe che di armi leggere.
Lo scorso dicembre il New York Times, con tanto di video reportage sulla vendita all’Arabia Saudita di armi prodotte in uno stabilimento della Sardegna, pubblicava un articolo dal titolo chiaro ed eloquente: “Bombe italiane, morti yemenite”. Un servizio completo dove si sollevano forti dubbi sul fatto che l’Italia possa violare sia le leggi nazionali che quelle internazionali. All’epoca, dalla Farnesina risposero che “L’Italia osserva in maniera scrupolosa il diritto nazionale ed internazionale in materia di esportazione di armamenti e si adegua sempre ed immediatamente a prescrizioni decise in ambito Onu o Ue. L’Arabia Saudita non è soggetta ad alcuna forma di embargo, sanzione o altra misura restrittiva internazionale o europea”.
Tuttavia oggi la questione torna al centro del dibattito. Nei giorni scorsi l’ennesimo attacco di Ryad ha ammazzato sette civili, tra cui due bimbi, e il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, ha chiesto di controllare la regolarità del contratto fra i sauditi e la Rmw Italia, società del gruppo tedesco Rheinmetall Defence, con basi in Sardegna, che da anni fornisce bombe proprio al Paese saudita.
In particolare ha scritto per competenza a Enzo Moavero Milanesi, il collega degli Esteri, per verificare il rispetto della legge numero 185 del ‘90 che limita le esportazioni militari. E già si parla di una nuova proposta per rendere le nuove norme più severe.
Senza nulla togliere all’intervento del ministro Trenta, che apparentemente vorrebbe rendere la norma ancora più stringente, è chiaro che qualunque sia la risposta del dicastero degli Esteri si è di fronte all’ennesimo crimine. La verità che in molti vogliono far finta di non vedere, nascondendosi davanti alla “foglia di fico” della burocrazia legislativa, è che l’Italia, il Paese che in base all’articolo 11 della Costituzione “ripudia la guerra”, partecipa ad una guerra attivamente vendendo armi. Può essere anche vero che contro l’Arabia Saudita non ci sono embarghi ma la Comunità internazionale dovrebbe prevederli di fronte al genocidio che viene messo in atto giorno dopo giorno. Quanto può essere legittimo vendere armi ad un Paese attivo in una guerra che non solo bombarda, ma anche mantiene il proprio embargo sui porti yemeniti impedendo anche l’arrivo degli aiuti umanitari, quanto mai indispensabili in un Paese sull’orlo del collasso?
Lo scorso dicembre, al tempo dell’inchiesta del New York Times, il senatore del M5s Roberto Cotti attaccava il precedente Governo: “La denuncia è forte, le prove schiaccianti, le responsabilità del Governo italiano evidentissime. Un Governo che continua ad autorizzare l’export delle bombe nonostante le mie denunce, con ben 6 interrogazioni parlamentari a cui non si sono degnati di rispondere per cercare di giustificare il loro operato. Un impegno, il mio, finalmente premiato”.
Quasi un anno dopo la medesima protesta è “sposata” da Laura Boldrini, ex presidente della Camera, oggi all’opposizione, sulla sua pagina Facebook scrive: “La Ministra Trenta ha chiesto informazioni alla Farnesina. Ma non basta, bisogna agire: il Governo deve assolutamente garantire che nessun’arma prodotta da imprese italiane sia usata nel massacro yemenita. Su questi temi il Parlamento italiano è intervenuto nuovamente con la ratifica, avvenuta nella scorsa legislatura, del Trattato di New York del 2013 sul commercio delle armi. Nonostante questo risulta che la vendita di armi, soprattutto di bombe, dall’Italia all’Arabia Saudita stia continuando. Che decide di fare il Governo italiano di fronte a tutto questo? Che provvedimenti intendono assumere il Ministro Moavero e la Ministra Trenta per fermare questo traffico indecente?”. Ad onor del vero va ricordato che anche i Governi del passato non sono intervenuti con forza sulla materia e non si trovano dichiarazioni simili da parte della Boldrini quando era Presidente della Camera.
Tuttavia le domande poste sono assolutamente pertinenti. Oggi cosa fanno i rappresentanti del Governo del (non) Cambiamento? Anziché agire immediatamente stoppando la vendita delle armi da parte delle case di Produzione di Stato e Private, prendono tempo con l’ennesimo rimpallo burocratico.
Il “Rapporto finale del gruppo di esperti sullo Yemen”, trasmesso lo scorso 27 gennaio al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, riporta che “il conflitto ha visto diffuse violazioni del diritto umanitario internazionale da tutte le parti in conflitto. Il gruppo di esperti ha condotto indagini dettagliate su questi fatti ed ha motivi sufficienti per affermare che la coalizione guidata dall’Arabia Saudita non ha rispettato il diritto umanitario internazionale in almeno 10 attacchi aerei diretti su abitazioni, mercati, fabbriche e su un ospedale”. Questi fatti rappresentano una chiara violazione dell’art.1 comma sei della legge numero 185 del ‘90 considerato che si vieta la vendita di armamenti a Paesi che sono in guerra in contrasto con la Carta delle Nazioni Unite e ostacola le cosiddette “triangolazioni”.
Steve Cockburn, vicedirettore del programma “Temi globali” di Amnesty International, riferendosi alla guerra in Yemen ha detto chiaramente nei mesi scorsi che “chi vende armi alla coalizione a guida saudita rischia di essere ricordato come complice di crimini di guerra”. E alla luce dei fatti come è possibile dargli torto? Il Tribunale dell’Aia potrebbe intervenire contro chi favorisce tali crimini.
Ed anche la giustizia italiana dovrebbe prendere provvedimenti avviando inchieste nei confronti di amministratori delegati di quelle industrie private che producono armi e continuano a venderle nonostante vi siano prove che dimostrano come queste siano usate in maniera criminale. La Procura di Brescia, nel 2016, avrebbe aperto un’indagine sulle forniture di bombe aeree all’Arabia Saudita. C’è materia per investigare anche su quei ministri che fino ad oggi non hanno fatto nulla permettendo tali atti. La notizia di reato è palese e prende sostanza nel crimine contro l’umanità o nel concorso in strage.
Un Governo che vuole davvero proclamarsi “del cambiamento” dovrebbe fermare tutte le consegne già autorizzate, anche rischiando di dover pagare penali milionarie. Serve il coraggio di andare oltre ad una lettera o un post nei social. Questo governo non ha la forza di andare contro la lobby delle armi, delle banche, e di quegli interessi pari a decine di miliardi di euro che in certi affari trovano le proprie fortune? Se non agirà vorrà dire che sarà l’ennesimo tradimento di quella fiducia che tanti italiani in esso avevano riposto.

Foto © Ansa – Armi italiane in un aeroporto della Sardegna in partenza per l’Arabia Saudita

fonte: antimafiaduemila.com