DOSSIER SIRIA: L’intervento russo in Siria visto da Mosca

DOSSIER SIRIA: L'intervento russo in Siria visto da Mosca

Il 30 settembre 2015 iniziava l’intervento russo in Siria. È la prima volta dalla fine dell’Urss che la Russia porta avanti una significativa operazione militare fuori dall’ex-orbita sovietica. A marzo 2016 Putin etichettava l’operazione come un ottimo test per la tecnica militare russa e annunciava il ritiro: “l’obiettivo è stato raggiunto”. Il presidente conteggiava che la Russia aveva compiuto 10.000 raid (fino a 75 al giorno), colpendo 30.000 obiettivi.

In realtà la decisione del ritiro non ha riguardato l’interità delle forze russe: le strategiche basi aerea di Latakia (in funzione dal 30 settembre) e navale di Tartus (attiva dal 1971 secondo accordi russo-siriani) hanno continuato a lavorare a pieno regime, contribuendo anche alla liberazione di Palmira a fine marzo. Ad agosto 2016 la Russia ha poi siglato un accordo con l’Iran per utilizzare in maniera temporanea la base aerea di Hamedan.

La lotta russo-siriana al “terrorismo islamico”

L’intervento russo in Siria si prefigge ufficialmente di contrastare i terroristi, Isis in primis. Tuttavia, non ci sono dubbi sul fatto che raid russi abbiano colpito i ribelli, ostili ad Assad ma non per questo proseliti dell’Isis. Fondamento di divergenze tra Mosca e Washington, infatti, resta l’appoggio russo al leader siriano, da una parte, e la decisione irremovibile, dall’altra, della sua destituzione, con possibile ammiccamento, anche forse troppo alla leggera, verso le forze ribelli. La tregua che poteva far ben sperare non ha avuto i risvolti sperati e gli incontri tra le due nazioni continuano a produrre poco. Esempio è il recente G20, durante il quale, anzi, la Russia si è portata a casa un importante accordo con l’Arabia Saudita che permetterà forse di aiutare l’economia russa grazie alla stabilizzazione del prezzo del greggio.

Implicazioni economiche

La Russia è da anni economicamente in stallo: il prezzo delle materie prime cala, mentre l’inflazione cresce e la produzione resta al palo. Le sanzioni che avrebbero potuto dare uno stimolo all’industria leggera, hanno debilitato ulteriormente il paese, la cui moneta è stata anche fortemente svalutata. Una pessima situazione per uno stato coinvolto in un conflitto. Non stupisce che a molti russi torni alla memoria l’avventura sovietica in Afghanistan del 1979.

Medvedev in dicembre dichiarava che i costi rientravano nel budget della Difesa. In marzo Putin li quantificava in 33 mld di rubli (oltre 450 mln di euro). Ma c’è chi propone altri numeri. Bloomberg, ad esempio, riportava nel dicembre scorso una spesa giornaliera sui 3-8 mln di dollari. Queste cifre non tengono inoltre conto degli aiuti umanitari che Mosca stanzia al governo di Assad e ai civili siriani dal 2012 (2 mln di dollari nel 2015).

Implicazioni politiche

Tali spese non spaventano evidentemente Putin e il suo paese, che continua, per ora (vedremo alle presidenziali 2018), ad appoggiarlo, come hanno dimostrato le elezioni del 18 settembre. L’intervento ha dimostrato le capacità militari della Russia post-sovietica e potrebbe avere come obiettivo quello – atavico e a tratti anacronistico – di presentarsi come potenza alternativa agli Usa nel planisfero del post Guerra Fredda. Con questa operazione la Russia è riuscita a spostare l’attenzione mondiale dall’Ucraina ed è uscita, in un modo o nell’altro, dall’isolamento diplomatico. Avere la Siria e Assad come alleato storico le dà diritto di sedere ai tavoli delle trattative di oggi, e soprattutto a quelli del futuro, dove potrà giocarsi la carta dei rapporti e delle influenze politico-economiche su tutta l’area mediorientale. L’utilizzo della base iraniana di Hamedan e il recente accordo sul greggio con l’Arabia Saudita sembrano dei buoni primi passi verso questo obiettivo.

Fonte:Eastjournal