La sopraffazione di Benetton sul popolo Mapuche

di José Guzmán dall’Argentina
“Essere cosciente dell’oppressione
E non agire
Fa divenire l’oppresso complice del suo oppressore”

Nelle prime ore di venerdì 27 maggio un gran numero di forze di polizia, agenti del Reparto Speciale di Operazioni (GEOP) e della Gendarmeria Nazionale, ha fatto irruzione nel territorio recuperato dai Mapuche, all’interno del progetto portato avanti dalle Pu Lof en Resistencia del Dipartimento Cuschamen denominato “Recuperación de tierras”.
Il territorio interessato dal conflitto si trova nella zona Leleque-Vuelta del Río, a circa cento km. da Esquel, a Chubut, e a circa trenta dalla città El Maitén, nella stessa provincia della Repubblica argentina.
Il recupero di terre è iniziato nel 2015 e riguardava terreni che i mapuche rivendicano alla Compañia de Tierras del Sud Argentino, proprietà della famiglia Benetton, il più grande gruppo proprietario terriero del paese, che possiede circa 900.000 ettari di campo nelle provincie di Chubut, Rio Negro, Buenos Aires e Santa Cruz.
L’operazione della polizia è stata messa in atto per trarre in arresto Facundo Jones Huala, verso il quale sarebbe stato emesso un mandato di cattura internazionale. Fonti dell’Intelligence avrebbero rivelato la sua presenza nel territorio al magistrato di Comodoro Rivadavia, Camila Banfi.
Huala è stato finalmente arrestato, ma anche altre sei persone sono state private della loro libertà, tra di loro un minore liberato qualche ora dopo. I membri del movimento Pu Lof en Resistencia del Departamento Cushamen, impegnato in prima linea per il recupero territoriale, hanno denunciato la violenza usata dalle forze dell’ordine, per far sgomberare le persone dalle proprie abitazione a notte inoltrata, trascinando alcuni di loro addirittura dai capelli. C’erano anche diversi bambini, tra cui un neonato di un mese, costretti a trascorrere la notte fuori (con temperature sotto zero) al gelo, perché la zona è stata delimitata per “non inquinare le prove” e non è stato permesso loro di ritornare nelle loro case.

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Le motivazioni dell’arresto massivo sono da attribuire al ritrovamento di un’arma da fuoco e ad evidenti tracce di macellazione di animali, che è costato ai membri del lof l’accusa di abigeato.
I detenuti sono stati fatti salire su delle auto senza targa e con i vetri oscurati, e poi portati ad Esquel.
Nei fatti, si è trattato di un tentativo di sgombero, mascherato da perquisizione ed impedito solo grazie alla resistenza delle donne e dei bambini che sono rimasti nel loro territorio ed alle reti di solidarietà ed appoggio attivatisi immediatamente.
La Cort,e presieduta dal giudice Zacchino, si è riunita il giorno dopo, alle 11 circa. Jones Huala è stato spostato nelle varie prefetture provinciali e federali, accompagnato da un forte dispiego di forze dell’ordine, che hanno impiegato perfino mezzi Unimog per far fronte alle decine di manifestazioni messe in atto già dal mattino all’ingresso dei tribunali di Esquel.
L’udienza si è protratta fino alle 9 di sera, tra pause intermedie ed ammonimenti da parte del giudice, il quale, non riuscendo a capire la lingua ed il protocollo di presentazione mapuche, si indisponeva e chiedeva la traduzione in spagnolo.
Finalmente, nonostante le richieste del pm e di Martín Iturburu Monef, rappresentante legale della Compañía de Tierras, che si è costituita parte civile nella causa, tutti i detenuti, ad eccezione di Facundo Jones Huala, sono stati rimessi in libertà. È stata negata la restituzione della proprietà oggetto della controversia all’azienda Benetton e non è stata fissata alcuna misura restrittiva per gli accusati, per quanto riguarda il ritorno al loro territorio.
Jones Huala è stato rinchiuso nell’Unità Penale 14, a Esquel. È stato condannato a 60 giorni di reclusione, nel frattempo la magistratura valuterà lo stato del mandato di cattura internazionale che pende su di lui, dato che non c’è certezza che sia ancora in vigore.
Questi i fatti, ma per comprendere i motivi che hanno portato a questa situazione bisogna fare un salto indietro nel tempo.
Nel 1896, 12 anni dopo la Conquista del Deserto, il presidente argentino José Evaristo Uriburo ha donato 900.000 ettari di terra a dieci cittadini inglesi, in violazione della legislazione dell’epoca che vietava donazioni tanto estese e la concentrazione di terreno, di un valore superiore a 400.000 ettari, ad una sola persona o società. Poco tempo dopo questi personaggi anonimi hanno trasferito le terre all’Argentinian Southern Land Company Ltd., un’“azienda fantasma creata all’unico scopo di ricevere la donazione di suddette terre”. Questa donazione, che violava la legislazione dell’epoca, è stata realizzata in segreto e tale è rimasta per oltre cent’anni. “Una delle teorie più consolidate sostiene che la donazione di terre corrispondeva al pagamento o ricompensa per la armi automatiche inglesi usate durante la Conquista del Deserto”.
Questa ripartizione della terra nasce appunto dalla “Campaña del Desierto”, come sostiene lo storico Osvaldo Bayer. Stando a quanto scrive l‘autore di La Patagonia Rebelde, 42 milioni di ettari furono consegnati a 1.800 possidenti membri della Sociedad Rural (Associazione dei grandi proprietari terrieri), che contribuì al finanziamento della Campagna contro i popoli nativi. La missione militare lasciò 14.000 indigeni morti e circa 14.600 furono presi come schiavi. I sopravvissuti dovettero affrontare “un lungo periodo di indigenza”, racconta Bayer, relegati nelle terre improduttive, senza armi legali per difendersi dall’occupazione dei proprietari terrieri. Gran parte della popolazione mapuche, circa il 60% della popolazione attuale, dovette trasferirsi in città, occupando le periferie urbane, nei quartieri più poveri, “senza possibilità di sviluppo o accesso all’abitazione”, perdendo lentamente l’identità, la memoria e la cultura.

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Nonostante l’impegno nella regione della Confederazione Mapuche Neuquina sin dagli anni ’70 e del Consejo Asesor Indigena dagli ’80, l’anno 1992 segna un punto di inflessione: “I popoli indigeni prendono coscienza e si rendono conto che non possono retrocedere più di quanto abbiano già fatto, e se dopo 500 anni sono ancora vivi, con possibilità di ricostruire la loro storia ed il loro destino, è perché hanno avuto una capacità di resistenza molto grande. È arrivato il momento che non intendono retrocedere ancora di più e sono intenzionati ad iniziare ad avanzare”.
Nel 1994 viene riformata la Costituzione Nazionale, dove: “si riconosce il diritto alla proprietà ed al possesso di terre tradizionalmente occupate dalle popolazioni indigene, la personalità giuridica delle comunità che si riconoscono come tali e la partecipazione alla gestione delle risorse naturali”. Inoltre vengono riconosciuti alcuni dei diritti indigeni contemplati dall’accordo 169 dell’OIT, la nuova carta magna che ratifica un principio la cui affermazione ha richiesto circa due secoli della storia argentina: “La Nazione riconosce la preesistenza etnica, culturale e storica dei popoli indigeni”.
Tuttavia, per la Confederazione Mapuche Neuquina (CMN) “la mancanza di legislazione e di azioni politiche pubbliche a livello nazionale”, per rendere effettivi i diritti degli indigeni, ha fatto sì che questi principi “formulati a modo di dichiarazioni generiche” non siano applicati nella maggior parte dei casi.
L’importanza delle modifiche legislative risiedeva nella diffusione dei diritti indigeni, constatabili “leggendo la Costituzione” e nel grado costituzionale che tali diritti assumono, e che diventa uno “strumento giuridico per affrontare una causa in un processo amministrativo”.
Era chiaro che le organizzazioni indigene ritenevano insufficiente la riforma. Nel 1997, durante un’assemblea del Consiglio Asesor Indigena, l’Ingegnere Jacobacci da’ per conclusa “la tappa amministrativa” dopo aver costatato che lo Stato non aveva volontà di rispettare la legge e restituire le terre usurpate.
I conflitti per la terra si sono moltiplicati a partire del 2001, non solo a causa del processo per il recupero dell’identità del popolo mapuche, ma per l’incremento esponenziale delle pressioni economiche sulle terre abitate dalle comunità. Alle pressioni del settore turistico ed immobiliare è andata ad aggiungersi l’entrata in gioco delle compagnie petrolifere e minerarie nei territori mapuche.
La situazione è peggiorata con l’arrivo di una nuova ondata di possidenti rurali: multinazionali e milionari europei e nordamericani.
Luciano Benetton, il milionario britannico Joe Lewis, lo statunitense Douglas Tompkins, il presentatore argentino Marcelo Tinelli o Ted Turner, proprietario di un impero mediatico, sono soltanto alcuni dei nomi di questi nuovi grandi possidenti.
Ma nei fatti e nella storia manca qualcosa, che solo il popolo mapuche può comprendere e, più che comprendere, ‘sentire’ sarebbe l’espressione più vicina all’Universo Wingka (chi non è mapuche) per capirlo.
Dopo un lungo viaggio di oltre 1.100 km attraversando la provincia di Santa Cruz fino al luogo dei fatti, abbiamo raggiunto il punto dove è avvenuto il raid. Abbiamo accompagnato Sergio Nahuelquir, rappresentante della comunità di porto Santa Cruz LofFem Mapu. Al nostro arrivo abbiamo visto le tende ed incontrato persone accorse per dare il proprio appoggio a questa minoranza che sta cercando di recuperare le loro terre ancestrali, e che la giustizia ed i mezzi di comunicazione chiamano terroristi.
Scendendo dall’auto ci siamo avvicinati alla recinzione ed abbiamo visto un uomo che si avvicinava a noi salutandoci, dandoci un bacio su entrambe le guance. Ci ha chiesto amorevolmente chi eravamo e cosa volevamo e ci ha chiesto di attendere. Si è allontanato qualche minuto per poi invitarci a passare oltre la recinzione.
La prima cosa che abbiamo visto sono state le tende e diverse bottiglie caricate di acqua, abbiamo salutato le donne che si trovavano lì e ci hanno raccontato che erano venute a dare sostegno alle persone arrestate qualche ora prima. Abbiamo seguito il ragazzo per circa 70 m. arrivando ad una piccola abitazione con la porta distrutta, dove era evidente che avevano danneggiato delle cose. Abbiamo chiesto perché era in quello stato e ci ha detto che i gendarmi avevano trascorso lì la notte e fatto quei danni, oltre ad aver consumato tutto il cibo che c’era. Lo abbiamo seguito per altri 200 metri ancora, fino a raggiungere un’altra piccola abitazione, dove abbiamo incontrato diverse persone con il volto coperto, insieme a diversi bambini.
Siamo entrati accolti da Luis, un giovane che dopo i saluti ci ha offerto alcuni ‘mate’. Abbiamo  spiegato chi eravamo e cosa ci aveva portato lì e che volevamo scrivere un articolo.
Ci ha offerto ancora una “torta fritta” e sono entrate donne, uomini e bambini. Quando ci siamo presentati si sono tolti i passamontagna o magliette dalla faccia salutandoci uno ad uno con un affettuoso saluto. Gli sguardi che avevamo trovato al nostro arrivo erano svaniti, lasciando il posto ad un’espressione di gioia e di felicità. Mentre sorseggiavamo il mate ci hanno raccontato i fatti accaduti quella sera e come la sofferenza li abbia resi più forti.
“La colonizzazione è stata violenta e, anche se non lo vogliamo, altrettanto violenta sarà la decolonizzazione”.
Con profonda convinzione ci hanno detto: “le politiche del wingka sfociano sempre in guerre e la conclusione di queste guerre segna sempre l’inizio di politiche più distruttive per la terra”.
“Non siamo in queste terre tanto per. Non è un nostro capriccio, il mapuche non sceglie basandosi nel ragionamento, non decidiamo noi, gli esseri della terra ce lo indicano e il nostro spirito deve compiere la sua missione. Se un mapuche non la compie si ammala e non potrà più vivere”.
“Dobbiamo fare il bene per la nostra comunità, se non facciamo ciò che è giusto, se non lo facciamo, la terra risponde e distruggerebbe tutto il territorio”.
“Il nostro idioma (el Mapudungun) va oltre la semplice comunicazione, è la forma in cui il nostro spirito comunica con la terra; a sua volta è la forma di comunicazione da spirito a spirito, voi non lo capite, perché preferite riportare tutto alla lingua wingka che è vuota.

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“Nel parlare Mapudungun la ragione viene placata dallo spirito che si esprime e si equilibra nel territorio, arriviamo all’equilibrio tra ragione, spirito e la terra; ma dobbiamo risvegliare il nostro popolo che è addormentato dall’oppressione del mondo materiale wingka e possiamo farlo solo nella nostra terra, non possiamo farlo in un altro modo”.
“Il popolo mapuche deve risvegliarsi, oggi vive una fantasia, l’universo wingka è un’illusione; l’illusione del materialismo del mondo delle multinazionali e presto crollerà. Distruggono la terra con la mega miniera, con il fracking, con i pesticidi, con gli ogm”.
“Qui possiamo essere noi stessi, fuori siamo zombi, il recupero delle terre non è per noi, ma per quelli che verranno. Oggi i nostri figli nascono consapevoli e non riusciranno a vivere fuori dalla nostra terra, si addormenteranno”.
– Il wingka è tanto addormentato?
“Uccide i suoi figli, crea guerre, sperimenta sostanze in laboratorio, le inietta a se stesso, ai suoi fratelli, ai suoi figli, crea leggi ed i poteri economici le riformulano secondo la propria sete di sangue; sangue nei loro cellullari, nelle centrali nucleari, sangue in tutto ciò che fa e il peggio è che nessuno fa niente; nessuno frena questa pazzia. A tal punto è addormentato”.
L’acqua stava per finire e tutti sono ritornati ai loro compiti. La notte si avvicinava e mancava la legna per proteggersi dal freddo della sera; la legna di riserva se l’erano portata via oppure l’avevano consumata i gendarmi rimasti sul posto la notte precedente impedendo a tutti di entrare. Adesso era importante proteggere dal freddo Waiky di due anni e Molful di un mese.
Abbiamo approfittato degli ultimi raggi di sole per registrare le informazioni che poi avremmo trascritto. Infine ci siamo salutati avendo conosciuto un piccolo frammento di un mondo diverso: il Mapuche.

IL GRUPPO BENETTON
Oggi il Gruppo Benetton è presente in 120 Paesi del mondo.
L’azienda italiana è attualmente il maggior azionista della concessionaria di Autostrade ed Aeroporti. Benetton possiede quasi tutta la Patagonia, un’ampia regione dell’America de sud, dove sorgono quattro dei loro stabilimenti e dove vengono allevati 9.700 capi di bestiame, mille cavalli e 126.500 pecore che producono circa 500 tonnellate di lana all’anno.
Nelle loro pubblicità usano lo slogan “indumenti differenti per gente differente”, “pubblicità differente per gente differente” è indirizzato ad una classe medio-alta ritenuta in grado di capire i loro messaggi. Quello che non è molto chiaro è cosa succede quando la loro intenzione è arrivare a quella fascia che non veste Benetton, ma che vede i loro cartelli pubblicitari giganti, cioé, per dirla come loro, quelle persone che non sono in grado di comprendere le loro idee.
Le comunità mapuche dell’Argentina sono state relegate e spinte a vivere nelle terre peggiori, le più aride e inospitali. Un’azienda che vende al mondo il suo volto umanitario attraverso grandi campagne pubblicitarie, ma che ha dimostrato tutto il contrario guadagnandosi il titolo I colori uniti dell’inganno.
In Argentina, Luciano Benetton e suo fratello Carlo, del Benetton Group, possiedono oltre 900.000 ettari attraverso la Compañia de Tierra Sud Argentino, S. A. equivalente a 45 volte l’estensione della Capitale Federale. Nelle terre dei Benetton pascolano 260.000 pecore, per la produzione di lana pregiata per i loro capi, circa 1.300.000 kg. da esportare in Italia ogni anno, dopo la ritenuta delle tasse equivalente ad un 5 / 10%, in base al fatto che la lana sia lavata o sporca.
Negli ultimi anni il magnate ha cercato di diversificare la sua attività. Ha ordinato ai capisquadra dei suoi possedimenti – distribuiti a Chubut, Buenos Aires, Santa Cruz e Río Negro – di occuparsi di coltivazione di cereali e di produzione di carne bovina e ovina. Come ai tempi della Colonia, Benetton sposa la logica di guadagnare molto su prezzi stracciati. Acquistò terreni quando le terre della Patagonia costavano poco anche a livello locale. Adesso, i suoi possedimenti giacciono su un terreno quotato con diversi zeri nel mercato della speculazione immobiliare internazionale. L‘azienda stessa sostiene che negli ultimi 12 anni, i loro affari hanno reso circa 11 milioni di dollari. Affari di tutti i colori. Oltre a certi investimenti forestali nell’Argentina, l’altro nuovo “gioiello” dei Benetton è l’industria mineraria. Certamente, qualunque imprenditore che cerchi di espandere i propri affari, si rende conto quasi subito dei vantaggi che il sottosuolo e la legislazione locale offrono a questo settore. Dall’altra parte, i duri conflitti che le compagnie minerarie hanno di solito con gli ambientalisti, non sono un problema per il magnate, abituato com’è al ripudio di intere comunità. L’azienda Minera Sud Argentina Sa – dove i Benetton sarebbero azionisti di maggioranza – ha comunicato che sta realizzando esplorazioni a nord est di San Juan, cercando oro e rame.

Bibliografía:
•    Programa Permanente de Extensión en Comunidades Indígenas. Facultad de Filosofía y Letras
•    Universidad de Buenos Aires
•    cocomagnanville.over-blog.com

*Foto di copertina: www.laizquierdadiario.com
*Foto 2: www.radiolanegra.blogspot.com
*Foto 3: www.nacionmapuche.com.ar
*Foto 4: www.laizquierdadiario.com