”Colui che dimentica la storia è condannato a riviverla”

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di Karim El Sadi

8Uno, due, tre, quattro, cinque, dieci, cento passi. No, non sono i passi che ha fatto il nostro Peppino Impastato. No. Sono i passi che faceva un ebreo qualunque dal cancello di Auschwitz fino alle camere a Gas. Un percorso brevissimo che inizia con la vita e termina con la morte. Gli stessi cento passi che ho compiuto anch’io oggi. In questa industria della morte solo in pochi sono ritornati a casa. I giudei venivano prelevati in ogni angolo d’Europa negli anni ’40 e trasferiti come carne da macello nelle fredde terre polacche nell’ignara attesa di essere uccisi. I soldati nazisti hanno schiavizzato i detenuti più forzuti per sfruttarli fino all’inevitabile morte per una media di lavoro di 5-6 mesi, il tempo necessario a risucchiare ogni briciolo di energia in corpo, utili ai tedeschi per ottenere il carbone dalle miniere polacche a costo zero. Nessun ebreo era esente dall’eradicazione nazista. Persino le donne e bambini giudei erano imprigionati nei campi di sterminio. La strategia adottata dai nazisti, che idealizzava la barbarica idea della razza ariana, era estremamente sinistra. Per la prima volta nel corso della storia è il vitello che va dal macellaio. Gli ebrei venivano rapiti e caricati su infiniti vagoni diretti verso un destino a noi certissimo ed è in questo frangente che troviamo il fattore più terrificante. I portatori della stella Gialla non sapevano dove andassero quei treni e i tedeschi fecero di tutto pur di non creare disordini e panico tra i futuri mutilati.
I prigionieri portavano appresso enormi bagagli e veniva consigliato loro, una volta giunti nei campi di concentramento, di scrivere i propri nomi sulle valigie in modo tale che una volta passate le procedure burocratiche nel campo, i prigionieri potessero ricevere nuovamente i bagagli e proseguire il loro percorso sul treno. Venivano venduti dei normalissimi biglietti per alludere ad una banalissima “Gita” in treno. Se ci penso mi rimanda molto, come già ho accennato, alla macellazione dei bovini, facilitata dalla musica classica in sottofondo, dalle coccole e dalla paglia bagnata, masticata lentamente. Un cocktail perfetto per una morte perfetta.
Ed è in questo ambiente che sono cresciute persone ancora oggi a noi conosciute, scampate per pochissimo alla morte. Tra questi Primo Levi e Liliana Segre. In sostanza la morte era certa per tutti, ma c’era chi moriva prima e chi dopo. I deboli (bambini, donne, malati ed anziani) morivano nelle camere a gas non appena mettevano piede nei campi, mentre i più forti erano costretti a lavori forzati dalla mattina alla sera fino al decesso che giungeva dopo mesi. Per non parlare delle umiliazioni che ogni ebreo riceveva e gli esperimenti di carattere farmacologico, testati su donne e bambini, da parte di case farmaceutiche tutt’ora esistenti (Bayer una su tutte).

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Camminare negli stessi sentieri, pestare le stesse scomode pietre, salire le stesse scale, entrare negli stessi dormitori, toccare gli stessi forni crematori. Un’angoscia durata tre ore con le lacrime che scendevano da sole pensando a quante vittime innocenti sono cadute in quell’inferno. Ma basta con queste commiserazioni. Basta. Non servono a niente. Non sto dicendo che è sbagliato piangere l’Olocausto. No! quello che sto dicendo è che a mio parere è completamente inutile ricordare lo sterminio degli ebrei solo in occasioni che lo richiedono, tra cui il giorno della memoria. Basta ipocrisia, basta menzogne. Come dice una mia amica, che stimo tantissimo, “noi siamo qui a braccia conserte, indifferenti a tutto questo, facciamo il minuto di silenzio in classe e poi chi se ne importa. Domani morirà qualcun altro”. Dico ciò perché è proprio l’indifferenza e il silenzio che hanno permesso ai tedeschi di sterminare un popolo intero. Non è stato solo Hitler ad uccidere milioni di ebrei. Siamo stati anche noi col nostro menefreghismo e con la nostra ignoranza che abbiamo permesso tutto ciò. Se le persone continuano ad avere una filosofia codarda è indifferente la Shoah non sarà più l’unico genocidio accaduto al mondo. Guardate un po’ cosa succede ora in Yemen, in Siria e in Palestina. La stessa Palestina tanto desiderata dagli ebrei che hanno fatto di tutto, ma vanamente, per raggiungerla. La stessa Palestina che al giorno d’oggi conta 20.000 vittime palestinesi. La stessa Palestina che si vede privata delle proprie terre, della propria cultura, dei propri figli da oltre 60 anni da parte dei nipoti di quegli ebrei detenuti nei campi. Quanti crimini hanno commesso gli israeliani, quante vite hanno tolto, quanti bambini palestinesi hanno incarcerato e quanti giovani hanno giustiziato. A volte penso: “se solo le vittime del regime Nazista potessero vedere tutto ciò che fanno i loro nipoti si rivolterebbero di sicuro nella tomba”. I ruoli si sono invertiti, gli ebrei da agnelli sono diventati macellai. Le vittime si trasmutano in carnefici. Si è passati dal muro della morte dove gli ebrei malati e malnutriti venivano fucilati, fino al muro della vergogna che circonda tutta la Cisgiordania. Ma questa non è l’unica cosa che vorrei denunciare. Vorrei criticare ogni atto di guerra ancora oggi in atto, ogni tipo di violenza e criminalità, perché queste persone non possano essere morte invano. Perché ci hanno dato un esempio ed è inutile marciare tutti insieme, mano nella mano, nelle vie parigine se poi alla prima disputa si corre alle armi e siamo tutti di nuovo nemici. Sono tanti i pensieri che ho avuto oggi dalla rabbia nel vedere centinaia e centinaia di chili di capelli e oggetti personali dietro le vetrate del museo e quelle vergogne che si possono osservare al di fuori. In 10 minuti i turisti sono passati dai forni crematori a quelli per la pizza collocati a meno di 100 metri dal campo di sterminio. Una speculazione assurda come dimostrano i vari ristoranti, hotel e catene alimentari quali Mc Donald e Kfc tutti distanti meno di 2 km da Auschwitz. Tutto ciò dimostra come anche le pagine più buie della nostra storia possano essere facilmente utilizzate per scopi a fondo di lucro. Cosa che ho notato nei miei stessi compagni una volta risaliti sul pullman per ritornare a casa, tutti intenti a mangiare a sazietà le pietanze offerte dai fast food situati dietro il campo di Birkenau. Tutti in religioso silenzio durante il tour ma una volta usciti dai cancelli si ritorna ai selfie, agli scherzi e alle risate, non è rimasto nulla. Io non mi riconosco assolutamente con queste persone e so che ci sono tanti che la pensano come me. Sostengo che sia questa la mia missione, il mio dovere di giovane cresciuto in una società che non ci fa evolvere come dovrebbe e che ci bombarda di nozioni inutili dalla mattina alla sera. Distinguermi. Coinvolgere altri ragazzi, aprire loro gli occhi, fargli apprendere la verità su tutto ciò che li circonda.
Dire loro che quelle scarpe Nike di cui vanno orgogliosi sono state fatte da bimbi di 9 anni per 2 dollari al giorno e che quei “vu cumpra” che stanno in piedi tutta la giornata nelle città italiane non sono lì per rubarci il lavoro o farsi saltare in aria ma per sfamare i propri figli. Oggi ad Auschwitz c’erano un sacco di ebrei israeliani in visita con alle spalle la bandiera dello stato ebraico. Sapevo in anticipo che sarebbero venuti così mi sono portato anche io il mio simbolo, la mia kefia palestinese, ciò non aveva nulla a che fare con provocazioni o tensioni varie. Ho fatto questo gesto per mostrare la mia solidarietà alle vittime dell’esercito nazista (non ai loro nipoti israeliani). Ho persino cercato di fare una foto con loro pensando di mostrar la kefia e loro la bandiera di Israele in simbolo di unione e collaborazione. Un po’ come fece Arafat ed il presidente israeliano Rabin. Purtroppo, però, non sono riuscito nell’impresa perché quella sciarpa dava fastidio e non appena mi sono avvicinato al gruppo di israeliani sono stato subito allontanato. Il mio sogno più grande è che un giorno tutta la gioventù del mondo si svegli dal letargo e decida di impugnare un megafono per gridare ai quattro venti tutte le loro speranze, i loro sogni e i loro diritti sotto le case di quei potenti che li hanno rinchiusi in questo mortale circolo vizioso.
Perché la vita di un bianco abbia la stessa importanza di un nero, perché musulmani e cristiani possano camminare a braccetto, perché gli omosessuali possano essere riconosciuti, perché i popoli oppressi ricevano un’identità, perché i guerrafondai siano condannati e che gli ingiusti conoscano il letale sapore della giustizia. Perché Paolo Borsellino, perché Giovanni Falcone, perché Anna Frank, perché Martin Luther King e tanti altri che hanno portato avanti il valore della giustizia, della parità dei diritti. Perché quei martiri che in Palestina ed Israele hanno lottato per raggiungere la Pace in Medioriente. Tra questi, seppur a modo loro, leader politici come Arafat e Rabin. Figure opposte ma con ideali pacifici unanimi, oggi entrambi martiri per aver collaborato insieme, per la prima volta dopo 2000 anni, con questo obiettivo, per porre fine ad un’assurda guerra tra fratelli e figli della stessa terra.
Non mi sento parte di quello che c’è fuori, non mi rispecchia e combatterò con le unghie e con i denti per poter dire un giorno che il pianeta Terra è la mia casa. Non importa a cosa andrò incontro, perché se difenderò i miei ideali nulla potrà dissuadermi a tirarmi indietro, nemmeno la morte. Oggi vorrei ricordare quei ragazzi della mia età che sono stati uccisi, voglio ricordare quelli che ancora muoiono e quelli che moriranno. Perché io sono con loro, in un modo o nell’altro, e non starò mai zitto di fronte alle ingiustizie. In questo momento sto ritornando in albergo ma l’odore pungente degli alloggi ebraici non va via e mi sembra ancora di camminare su quelle scale consumate da 1.500.000 ebrei che ogni giorno le percorrevano. Guardo il cielo e osservo il sole nonostante la luce abbagliante che mi acceca gli occhi e mi accarezza il viso. E’ una giornata bellissima come poche e vorrei ricordarla per tutta la vita. Perché io non dimentico.

Considerazioni in trasferta di un giovane studente

Auschwitz-Polonia
Aprile 2016

fonte:antimafiaduemila.com