Né scuola, né lavoro. L’Italia non è un Paese per giovani


di Nicola Tranfaglia
non e paese x giovani

Ieri abbiamo saputo con maggiore certezza, grazie a una ricerca compiuta da We Word (organizzazione italiana non governativa di cooperazione allo sviluppo) presentata a Roma nello spazio Europa del parlamento europeo, che nel vecchio continente ci sono tredici milioni e mezzo di giovani dai 15 e i 29 anni che non sono più a scuola e non sono nemmeno nel mondo del lavoro. E sono un quarto rispetto al numero di quelli sparsi in Europa. Giovani che pagano alla crisi o all’incapacità del sistema educativo con l’esclusione dal sistema sociale. Nel vecchio continente sono aumentati dal 10,9 % del 2007 al 12,4 % del 2014 e in Italia dal 16,2 % al 26 %. Un primato quello italiano che si stacca tanto che siamo definiti very high rate mentre in Germania la percentuale è all’8 % e in Francia al 13 %. Lo studio indica anzitutto che la piaga dei Neet tende ad allargarsi ogni anno con l’aumento di almeno un punto all’anno e il suo costo sull’economia e sulla crescita del Paese arriva fino al 6,8 % del PIL calcolato come effetto sul reddito fruibile nell’arco della propria vita. Lo studio è il primo che mette in relazione la condizione dei Neet con il loro insuccesso scolastico: buona parte dei ragazzi che non studiano e non lavorano hanno alle spalle un passato di dispersione scolastica. L’obbiettivo dell’OECE era quello di ridurne il numero al 10% ma in Italia rappresentano il 15 %(17% maschi, 12% femmine) mentre Germania, Francia e Regno Unito registrano quote più basse. Se poi consideriamo le quote regionali, l’obbiettivo è molto lontano in Sardegna, Sicilia e Campania, dove oltre il 20% per cento dei ragazzi è fermo alla licenza media e non frequenta nessun corso di riqualificazione professionale. I dati del Ministero sulle mancate rei-iscrizioni a scuola sono addirittura più drammatici complessivamente dalla prima media all’ultima classe di scuola superiore, si perdono oltre il trenta per cento dei ragazzi che hanno abbandonato gli studi o si sono inseriti in corsi che non hanno danno accesso all’istruzione terziaria, pur avendo rispettato l’obbligo formativo. Certo contano altri fattori come la condizione economica e sociale di origine, la situazione familiare (disoccupazione di uno dei genitori, separazione, malattia) e il contesto economico nazionale ma il dato italiano è di gran lunga il peggiore in Europa. Per loro gli adulti non hanno funzionato da indicatori, accompagnatori e non li orientano nelle loro scelte. E loro si buttano nello sport e nel volontariato o si chiudono in una stanca routine,senza nessun altro progetto. Fondamentale diventa quindi agire per dar fiducia a questa generazione attraverso azioni di prevenzione e di contrasto attraverso azioni di prevenzione e contrasto rispetto alla dispersione scolastica cercando strumenti formativi che sappiano ridurre i divari sociali. Pensando-secondo l’organizzazione We World-alle nuove tecnologie come strumento di capitale sociale creando ponti tra scuola, formazione e mondo del lavoro.

Fonte:Antimafiaduemila