Processo Trattativa: quando lo Stato chiede alla mafia di mettere le bombe

di Lorenzo Baldo
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Palermo. Con un minuto di silenzio in ricordo dell’avvocato Mimma Tamburello scomparsa lo scorso 4 novembre è iniziata l’udienza del processo trattativa Stato-mafia dedicata alle audizioni (in videoconferenza) dei collaboratori di giustizia Francesco Onorato e Giovanbattista Ferrante. Tra il pubblico negli spalti dell’aula bunker alcuni esponenti delle “agende rosse” del nord e del sud Italia venuti per manifestare solidarietà al pool. Il clamore mediatico suscitato dalla lettera di Napolitano al presidente della Corte di Assise Alfredo Montalto (di cui oggi si attendeva la lettura in aula), in riferimento alla sua prossima audizione, è stato rapidamente sopito dall’annuncio dello stesso Montalto (in foto) di non aver ricevuto alcuna missiva dal Capo dello Stato. Come è noto lo scorso 31 ottobre le agenzie di stampa avevano diramato una nota del Quirinale che anticipava la suddetta lettera nella quale vi sarebbe stato scritto che il Presidente della Repubblica “sarebbe ben lieto di dare, ove ne fosse in grado, un utile contributo all’accertamento della verità processuale, indipendentemente dalle riserve sulla costituzionalità dell’art. 205, comma 1, del codice di procedura penale espresse dai suoi predecessori.

Il presidente ha nello stesso tempo esposto alla Corte i limiti delle sue reali conoscenze in relazione al capitolo di prova testimoniale ammesso”. Parole dal contenuto inequivocabile – soprattutto nel passaggio “ove ne fosse in grado” – provenienti da chi a tutti gli effetti manifesta una scarsissima volontà di mettere a disposizione della giustizia la propria memoria per contribuire al raggiungimento della verità. “Allorché la lettera perverrà – ha specificato in aula Alfredo Montalto – la Corte si riserva di esaminarla e ove il contenuto sia rilevante per il processo, sarà messa successivamente a disposizione delle parti per le eventuali rispettive valutazioni e determinazioni”. Poco dopo il Quirinale ha diramato un’ulteriore nota nella quale veniva sottolineato che tale lettera sarebbe stata spedita giovedì scorso verso le ore 18,30. Il “mistero” della mancata ricezione della lettera del Presidente si è risolto qualche ora dopo quando lo stesso Montalto ha comunicato di avere saputo della odierna ricezione della missiva da parte della propria cancelleria.

Le pietre di Francesco Onorato (foto © Ansa)
onorato-francescoL’ex reggente della famiglia di Partanna Mondello (annessa dopo l’ultima guerra di mafia al mandamento di San Lorenzo) ha esordito sottolineando il suo senso di solitudine e abbandono da parte dello Stato. Onorato ha chiesto pure di poter posticipare la sua audizione per una mancanza di serenità dovuta a problemi di salute della moglie, poi però ci ha ripensato e immediatamente dopo le sue dichiarazioni hanno cominciato a rimbalzare su tutti i media. Parole come pietre si potrebbe dire. Che sono partite dalla ricostruzione dell’omicidio di Salvo Lima per il quale lo stesso Onorato (insieme a Giovanbattista Ferrante ed altri boss) è stato condannato in via definitiva. Secondo la ricostruzione del pentito a dare l’ordine di uccidere Lima sarebbe stato Salvatore Biondino, braccio destro di Totò Riina, definito “l’ambasciatore della Commissione di Cosa nostra”. “Dopo l’esito del maxiprocesso – ha proseguito – Cosa Nostra contattò una serie di politici, tra cui Salvo Lima, che però non si presentò all’appuntamento, diede buca…”. Ecco che la conferma delle condanne al Maxi sancita dalla Cassazione torna nuovamente sotto i riflettori quale spartiacque per l’avvio della strategia stragista. Onorato ha specificato che, al di là di Salvo Lima, erano diversi gli omicidi programmati: quello a Calogero Mannino, a Carlo Vizzini, a Giulio Andreotti, a Claudio Martelli, ai Gardini, ai Ferruzzi, fino ad arrivare a Rino Germanà. Nel 1992 tra gli obiettivi di Cosa Nostra c’era anche  l’ex capo della squadra mobile Arnaldo La Barbera: “Io stesso – ha riferito Onorato – fui incaricato di pedinarlo all’hotel ‘Perla del Golfo’ di Terrasini, dopo l’omicidio Lima”. Ed è proprio su La Barbera che Francesco Onorato ha lasciato intravedere pesantissime ombre: “Salvatore Biondino diceva che l’ex capo della Mobile di Palermo apparteneva ai Servizi e che era in buoni rapporti con i Madonia”, “anche Riina era in buoni rapporti con La Barbera”, ha aggiunto. L’ex boss ha sottolineato che sarebbero stati gli stessi Servizi a chiedere successivamente la morte di La Barbera e che questo omicidio “interessava ai Madonia” che erano “in contatto” con gli stessi apparati di intelligence per conto dei quali a volte “si mettevano bombe”. Di fatto il 9 giugno del 2010 erano usciti alcuni dispacci di agenzia sulla notizia-scoop contenuta nel libro di Sandra Rizza e Peppino Lo Bianco “L’agenda nera della Seconda Repubblica” che Arnaldo La Barbera era stato per un periodo un agente sotto copertura del Sisde con il nome in codice “Catullo” (si sarebbe scoperto in seguito che il suo vero nome in codice era “Rutilius”). E proprio sul ruolo di La Barbera quale probabile depistatore nelle prime indagini sulla strage di via D’Amelio c’è ancora tanto da scoprire. “Sento parlare di trattativa tra Stato e mafia – ha rimarcato successivamente Onorato –. Ma quale trattativa? Io ho visto la convivenza tra politica, Stato e mafia. Totò Riina ha ragione quando dice che lo Stato lo ha lasciato solo. Prima lo Stato, Craxi e Andreotti, gli hanno fatto fare le cose, gli hanno fatto uccidere il generale dalla Chiesa. E poi lo hanno lasciato solo. Perchè dalla Chiesa non dava fastidio a Cosa Nostra. Questo l’ho sentito da Biondino”. Nell’ascoltare le parole del collaboratore di giustizia è tornata alla mente l’intercettazione del 2001 nel salotto di casa dell’allora capo mandamento di Brancaccio, Giuseppe Guttadauro, mentre parlava con un suo gregario Salvatore Aragona. “Salvatore – aveva detto Guttadauro –…ma tu partici dall’ottantadue, invece… ma chi cazzo se ne fotteva di ammazzare a dalla Chiesa… andiamo parliamo chiaro…”. E Aragona gli aveva risposto: “E che perché glielo dovevamo fare qua questo favore… Ma perché noi dobbiamo sempre pagare le cose…”, al che Guttadauro gli aveva replicato: “E perché glielo dovevamo fare questo favore…”. Proseguendo la sua deposizione Onorato ha poi aggiunto: “Martelli l’abbiamo fatto diventare ministro. Abbiamo investito anche 200 milioni per finanziarlo e portarlo a diventare ministro della Giustizia perchè si diceva che avrebbe fatto uscire i mafiosi dal carcere”. “Quando abbiamo fatto l’attentato a Falcone all’Addaura, poi fallito – ha specificato –, abbiamo messo in giro la voce che la bomba se l’era messa lui per indebolirlo, per farlo passare per bugiardo. Salvatore Biondino mi disse che si trattava di una pressione fatta dai politici per fare passare Falcone per uno di poco conto”.

Giovanbattista Ferrante
ferrante-giovanbattistaLa testimonianza di Giovanbattista Ferrante, uomo d’onore di San Lorenzo, legato a Salvatore Biondino da un rapporto molto stretto, è stata costellata da diverse contestazioni (mosse dalla Procura e da alcuni legali degli imputati) relative a parziali difformità con le sue precedenti dichiarazioni rese nel 1998 in veste di imputato (oggi è stato invece ascoltato in qualità di teste assistito). Attraverso un excursus storico si è arrivati fino al suo ruolo nella strage di via D’Amelio. “Facemmo delle simulazioni – ha specificato Ferrante – per provare i telecomandi che dovevano azionare l’autobomba circa 15 giorni prima della strage di via D’Amelio. Li provammo vicino viale Regione Siciliana. Allora non sapevo ancora che l’obiettivo era il giudice Borsellino”. Un tassello importante ha riguardato sicuramente il traffico telefonico che ha visto protagonista lo stesso Ferrante il 19 luglio 1992. Quel giorno i tabulati telefonici di Fifetto Cannella, uomo d’onore di Brancaccio agli ordini di Giuseppe Graviano, hanno registrato quattro telefonate da Giovanbattista Ferrante, ma è l’ultima della giornata quella di maggiore interesse investigativo. Di fatto Ferrante era stato incaricato da Salvatore Biondino di telefonare a un numero di cellulare trascritto su un bigliettino per segnalare l’arrivo in via D’Amelio del corteo delle auto di scorta del giudice Borsellino. Secondo quanto riportato nei tabulati alle ore 16,52 di quella domenica di luglio il cellulare in uso a Fifetto Cannella aveva ricevuto una telefonata della durata di 7 secondi proprio dal cellulare in uso a Giovanbattista Ferrante.
Prossima udienza giovedì 21 novembre con l’audizione in videoconferenza del collaboratore di giustizia Antonino Giuffrè.

tratto da :antimafiaduemila.com