''Se tutti vorremo la verita' sulle stragi, non potranno non darcela''


di Giovanna Maggiani Chelli – 18 marzo 2011

“Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato; noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue: Articolo unico: Il Re Vittorio Emanuele II
assume per sé e suoi Successori il titolo di Re d’Italia.

Ordiniamo che la presente, munita del Sigillo dello Stato, sia inserita nella raccolta degli atti del Governo, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Da Torino addì 17 marzo 1861″.

Il 17 di marzo del 1861, con queste parole e con questo atto ufficiale, nasceva l’Italia unita.

Oggi, 17 marzo 2011, qui io rappresento un’altra Italia unita. Un’Italia che è stata unita dal sangue innocente versato per le stragi terroristiche, eversive e mafiose.

Un’Italia che vede le vittime di stragi terroristiche unite con quelle delle vittime della mafia.

Noi, vittime e familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili, rappresentiamo il fil rouge tra terrorismo e mafia. Quando infatti, il 6 maggio del 2002, la Corte di Cassazione ha condannato definitivamente cosa nostra nei suoi capi storici quali mandanti interni all’organizzazione criminale per le stragi del 1993, nella sentenza si legge chiaro e tondo “per la realizzazione di una strategia attuata per finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine costituzionale nonché per agevolare l’attività dell’associazione di tipo mafioso cosa nostra”.

Per la prima volta in Italia, la mafia non poteva essere condannata all’ergastolo due volte, una per strage mafiosa ed una per strage terroristica, perché non si può condannare due volte all’ergastolo. Bisognava scegliere, e la Cassazione ha scelto di emettere una sentenza per terrorismo ed eversione. 

Siamo diventati così vittime del terrorismo eversivo mafioso per agevolare l’attività dell’associazione di tipo mafioso “cosa nostra”.

Nasce da questo spartiacque quella brutta sensazione di una divisione con le vittime di mafia.
Nasce da qui quella brutta sensazione di essere sì vittime del terrorismo e vittime della mafia. Ma proprio per questo motivo, però, ritenute lontani da tutti.

Ma oggi, qui, non è così.

Il cartello che proponiamo è chiaro: io rappresento le vittime di mafia e del terrorismo eversivo mafioso di via dei Georgofili, ma anche le vittime del terrorismo che sono raccolte nell’Unione familiari vittime di strage terroristica eversiva.

Voglio far chiarezza, una volta per tutte, su questo concetto.

La mafia è terrorista ed eversiva, ha voluto e vuole cambiare le leggi dello Stato a suo favore, lo ha ampiamente dimostrato in via dei Georgofili a Firenze la notte del 27 maggio 1993.
E così, le parole mafia e terrorismo si sposano, si fondono.
Sono tutt’uno.
Per questo ci siamo sempre battuti.

La nostra battaglia affinché le leggi amministrative atte a risarcire le vittime, come la 512 del 1999, legge per antonomasia contro la mafia, e la legge 206 del 2004, legge cardine contro il terrorismo, trovassero spazi la dove le vittime rivendicano i più elementari diritti di sopravvivenza dopo aver subito torti di una gravità inaudita.

Ancora oggi, dopo troppi anni, i fondi previsti per leggi come la 512 non trovano i giusti sostentamenti. Allo stesso modo, la legge 206 non trova le giuste applicazioni. Si pensi che ci sono invalidi all’80% della capacità lavorativa fra le vittime delle stragi del terrorismo eversivo che ancora oggi non percepiscono la pensione prevista dalla legge. Sono cinque casi nella nostra Italia unita, cinque persone, cinque casi che non trovano soluzione.

Alla lunga ci siamo fatti l’idea che non si tratti solo di un’applicazione erronea della 206, ma di pura e semplice cattiveria umana da parte di chi deve dare il via all’erogazione delle pensioni.
Quegli stessi uomini che non oppongono la stessa scrupolosa attenzione quando si tratta di dare la pensione ai mafiosi.

Il fondo per la legge 512 langue e non è mai coperto nemmeno per far fronte alle cause civili contro la mafia anche perché non vi affluiscono in giusta misura i beni confiscati alla mafia stessa, perché non si riesce a trovare il modo più corretto per monetizzarli.

Lo dovevo dire tutto ciò, lo dovevo fare per quanti in Italia, vittime del terrorismo e della mafia, non hanno ancora goduto dei loro diritti amministrativi. Ed essere così propositiva in questo contesto.

Questo argomento lo chiudo qui.

Perché la mia presentazione nel sito dell’Associazione nazionale familiari vittime di mafia, insiste sulla legge 206, ma vuol accendere i riflettori anche su un altro punto fondamentale: l’abolizione del segreto di Stato.

Quel segreto di Stato che la legge ci dice non esistere sulle stragi.
Ciononostante, avete tutti visto come si fa a segretare un documento, al di là di ciò che dice la legge: basta dire di non averlo visto ed il gioco è fatto. L’effetto che si ottiene è eguale se non peggiore a quello del segreto di Stato. È quello che è successo di recente con il documento dello SCO Protocollo 123G/731462/10/I-3 Roma 11, 9, 93 Oggetto attentati verificati i a Roma Firenze e Milano.

Questo è un documento che nessuno ha visto all’epoca.
Questo è un documento che nessuno si ricorda.
Eppure, in questo documento perso tra i cassetti dell’Antimafia, a torto o a ragione già si usava l’espressione “trattativa” riferita ai rapporti fra lo Stato e la mafia.
Ripeto: nessuno degli uomini di allora ne sa nulla.
Esiste forse un modo più efficace per segretare qualcosa?

Nella nostra Italia unita, sono talmente tanti i cassetti che celano nei loro meandri segreti i documenti che parlano di verità sulle stragi da non riuscire a tenerne conto.

Ma noi, oggi, siamo qui anche e soprattutto per alzare la voce, ancora una volta, ed urlare tutto il nostro appoggio alla magistratura libera ed indipendente dal potere politico, perché crediamo nella Costituzione. Perché crediamo che il giusto processo stia nella Costituzione stessa.

Il nostro appoggio per la ricerca della verità sulle stragi, su tutte le stragi visto che oggi ho l’onore di rappresentare l’Unione familiari vittime stragi che raccoglie le vittime della strage alla stazione di Bologna, le vittime della strage di Piazza Fontana, le vittime della strage di Piazza della Loggia, le vittime della strage dell’Italicus, le vittime della strage di via dei Georgofili, le vittime della strage del rapido 904. Un elenco che fa paura, la spina dorsale della nostra Italia unita.

Sono però, in primis, la rappresentante dei familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili.
La strage che più ci tocca da vicino, in questo ultimo periodo.
Proprio in queste settimane, si è aperto a Firenze un nuovo processo per le stragi del 1993.

Lo Stato processa un altro uomo di cosa nostra. L’uomo che, secondo Gaspare Spatuzza, ha curato l’esplosivo di Firenze. E se c’è un effetto che questo processo ha ottenuto è che tutto ciò che fino a ieri sembrava sedato nell’ombra, adesso si è riattivato.

Anche il nostro dolore e la nostra rabbia, si sono ancora una volta incendiati.
nel sentire quei “non ricordo” o quei “ricordo male” di uomini dello Stato del tempo delle stragi del 1993, di recente in aula a Firenze durante il processo per le stragi del 1993.

Infatti comprendiamo ogni giorno di più quanto i nostri morti abbiano avuto una giustizia parziale con i buonissimi processi di Firenze che si sono conclusi con la condanna passata in giudicato di 15 uomini di cosa nostra il 6 maggio 2002.

Per questo passiamo ogni giorno della nostra vita ad invocare la verità nelle aule di giustizia.
Per noi, sono vere e proprie staffilate frasi come: “Se questa riforma della giustizia ci fosse stata prima non ci sarebbe stata mani pulite”.
Avremmo voluto sentirci dire che se fosse stata fatta prima questa riforma della giustizia oggi sapremmo la verità sulle stragi del 1993 come su tutte le altre stragi.

Perché se davvero c’è una riforma da fare non è sicuramente quella che eviterebbe un’altra mani pulite.
E qui diventiamo propositivi, infatti vogliamo una riforma che ci dica chi c’era in via dei Georgofili con cosa nostra il 27 Maggio del 1993, e alla stazione di Bologna il 2 agosto del 1980 .

Vogliamo una giustizia riformata che dentro ai tribunali possa godere di mezzi i più sofisticati per l’accertamento della verità, non certo una riforma della giustizia che consenta di non processare i politici e gli amministratori che con le tangenti si arricchiscono alle spalle dei cittadini onesti, sanzionando i magistrati e riducendoli degli impiegati di concetto. Non vogliamo una riforma che spaventi i giudici e li metta nelle condizioni di non disturbare chi è avvezzo a massacrare sotto il tritolo quando è necessario coprire ruberie inaudite ai danni dello Stato stesso.

Invochiamo un processo ai “mandanti esterni a cosa nostra” per le stragi del 1993 e solo una magistratura libera indipendente, munita di ogni tipo di tecnologia, intercettazioni ambientali e telefoniche, senza barbari limiti di 180 giorni per verbalizzare ciò che dicono i collaboratori di giustizia, senza limiti all’utilizzo di tabulati telefonici, senza balletti ignobili sul fronte del 41 bis può arrivare a quella verità alla quale hanno diritto tutti quanti in questo Paese.

Quella verità però ha bisogno del grande supporto dell’informazione. Ed è qui cade l’asino.

Oggi l’informazione è influenzata se non direttamente controllata da editori che tagliano i fondi se viene scritto ciò che non è congeniale. Molto spesso, del resto, non hanno bisogno di ricorrere a minacce di questo genere: troppe volte i giornalisti sono ben lieti di fungere da amplificatore alle posizioni di chi paga, anziché fare bene il proprio mestiere, anziché sentire dentro quella nostra spinta irresistibile nella ricerca della verità.

Invocare giustizia diventa inutile, quindi, se già dalle agenzie di stampa si fanno cernite di quale notizia deve passare e quale no.

Spesso ci sentiamo dire che diciamo sempre le stesse cose.
Perché, chi dice qualcosa di diverso?

Noi scriviamo ogni giorno che il 41 bis va applicato alla mafia. Per forza risulta che scriviamo sempre la stessa cosa. Ma quante volte al giorno gli avvocati dei mafiosi chiedono l’abolizione del 41 bis per il loro clienti, e le agenzie lo battono e i giornali ne scrivono?
Non è un dire sempre la stessa cosa?

Anche mentre vi parlo dico le stesse cose di sempre, ma perché non c’è altro da dire.

Non potremo mai dire altro fino a quando non potremmo davvero andare tutti su di un palco per festeggiare il giorno dell’unità dell’Italia solo per far festa, e non per cercare il modo che questa unità si sviluppi a tutti i livelli, per avere più forza e pretendere quella verità che ci viene negata giusto da 150 anni.

Vi ringrazio per la pazienza dimostrata al mio fiume di parole.
Vi prego, però: soffermatevi per un tempo brevissimo della vostra esistenza, dedicatelo ad una sola riflessione.

Quanti eventi terroristici, quante vittime, quanti morti ammazzati che io oggi qui fortemente rappresento, hanno condizionato la riuscita della vera unità di questo paese?
E che cosa ha condizionato quella riuscita di vera unità se non la mancanza di VERITA’ sulle stragi, sul terrorismo che ha insanguinato il paese, sugli ammazzamenti della mafia, dal più grande al più piccolo?

Ha detto il Procuratore Ingroia insieme a tanti altri magistrati: “se tutti vorremo la verità sulle stragi del 1993, non potranno non darcela”.

Ed è questo il mio appello a tutti voi che siete qui, a tutti quelli a cui racconterete di ciò che avete ascoltato oggi, a tutti quelli che leggeranno, sentiranno: vogliate tutti la verità, vogliatela insieme a me, che sono una madre che piange i figli ma anche una donna che ha imparato ad essere una cittadina, una cittadina che si è stufata dei torti che non trovano giustizia, e che rappresenta un’associazione di vittime di mafia, quella mafia che si è fatta terrorista eversiva, quella mafia che ha massacrato tutti noi in via dei Georgofili per andare in Parlamento.

Grazie
Giovanna Maggiani Chelli

Tratto da: 19luglio1992.com

Testo integrale dell’intervento di Giovanna Maggiani Chelli alla manifestazione “150 proposte per l’Italia” organizzata dall’associazione nazionale familiari di vittime di mafia che si è tenuta a Napoli giovedì 17 marzo 2011.