Sistema Marchionne, guerra ai diritti

La firma del contratto per Pomigliano, raggiunta ieri con l’esclusione della Fiom, è fine e principio.

Fine di un percorso di alcuni mesi, in cui l’ostinazione di Sergio Marchionne ha portato all’uscita dal Contratto nazionale di riferimento, l’uscita da Confindustria, la fondazione di una Newco, l’esclusione dal tavolo non solo di un attore importante come la Fiom, ma anche di formazioni capaci e agguerrite che risiedono nel sindacalismo di base.

Il ricatto fra lavoro e diritti è sancito. Con buona pace dei sindacati che giustificano le proprie firme in calce all’accordo sostenendo che in periodi di crisi ci si deve adattare e riuscire a strappare le migliori condizioni.

Il principio sta in una strada senza un approdo visibile, in cui l’unica certezza è rappresentata dall’effetto domino che avrà una ferita così profonda nelle relazioni economiche e sindacali inferta dal sistema Marchionne. Quante altre imprese si accoderanno, e soprattutto quante altre giocheranno a rimpiattino fra il Contratto nazionale, i contratti esterni e gli integrativi in un sistema ormai disintegrato, pezzo per pezzo, rispetto a quanto era stato conquistato faticosamente in anni di lotte?

Se la questione del lavoro è grave – e il segretario della Fiom Landini bene ha fatto a ricordare alla speculazione politica cosa sia la fatica della catena di montaggio a 1300 euro mese, sotto ricatto – altrettanto grave, pur se su un altro livello, è quello della rappresentanza sindacale. L’esclusione della Fiom, che al tavolo non si è seduta, e la pervicacia con la quale gli altri due sindacati maggiormente rappresentativi hanno proseguito sulla propria strada, ci dicono di un punto di non ritorno. Le stesse dichiarazioni, sicuramente surriscaldate dalla cronaca, in cui Cisl e Uil proseguono nelle accuse di istigazione alla violenza rispetto alle durissime critiche rivolte da esponenti della segreteria Fiom sono benzina gettata sul fuoco, che scalda il cuore del ministro Sacconi, particolarmente contento e di tutti quelli che nelle crepe del sindacato vedono un’ottima occasione per infierire nella propria offensiva. Che spacceranno per ‘investimento nazionale’ e non certo come profitti da accumulare nei propri bilanci.

La saldatura del cerchio è nella riforma Gelmini. Il classismo, il divario ricchi/poveri, le diseguaglianze sociali, di opportunità personale e collettiva, culturale ed economica, che si delineano all’orizzonte non dicono nulla di buono. Quando il futuro diventa un ‘indice di produzione globale’ che schiaccia sogni, aspirazioni, desideri e il giusto riconoscimento di diritti individuali e collettivi c’è da chiedersi non tanto come si sia potuti arrivare fino a qui, ma come si potrà uscirne senza situazioni traumatiche. Per tornare a rivendicare uguaglianza sociale, pari opportunità di accesso alla cultura e al lavoro, un nuovo senso del tempo quotidiano, una diversa concezione di profitto. Un ritorno a quella parola, solidarietà, che prevede di rispondere insieme, in solido appunto, rispetto al futuro.

Angelo Miotto

Fonte:Peacereport