Il Lombardo quater: gli uomini giusti per un presidente sbagliato.




Così non può funzionare.
di Giorgio Bongiovanni – 12 novembre 2010
Pur ritenendo provati i “rapporti diretti” tra diversi mafiosi e il governatore della Sicilia Raffaele Lombardo i magistrati della Procura della Repubblica di Catania non hanno ritenuto di dover procedere con l’azione penale.

Appare in verità una scelta un tantino contraddittoria ma, a quanto pare, dietro il suggestivo linguaggio dei pm che ha abbondantemente rifocillato la cronaca e giustamente scandalizzato, per il severo metro di giudizio della magistratura, non vi sono gli elementi sufficienti né per chiedere l’arresto né il rinvio a giudizio del governatore.
E ci ritroviamo al solito problema. Quanto la cosiddetta questione morale può essere vincolata all’azione penale?
Seppur senza conseguenze infatti il contenuto delle quasi 500 pagine della richiesta di custodia cautelare in cui il nome di Lombardo e quello di suo fratello Angelo compaiono nella lista degli indagati imporrebbe comunque al Presidente quanto meno di fornire delle spiegazioni e a chi sostiene il suo governo di prendere le dovute distanze di cautela.
E’ vero che Lombardo ha chiesto di essere sentito dai giudici di Catania, ma anche i siciliani suoi elettori e gli italiani tutti hanno diritto di avere risposte chiare soprattutto su alcuni episodi che emergono dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali.
Il primo in ordine di importanza riguarda una conversazione tra Vincenzo Aiello, detto Enzo, e  Giovanni Barbagallo durante la quale, riferendosi alle elezioni per le regionali del 2008 appena concluse con la vittoria di Lombardo, il primo ricorda al secondo: “ … non vi scuddati, ci resi i soddi nostri! Del Pigno… ci resi a iddu per la campagna elettorale… “ (non scordatevelo, gli ho dato i soldi nostri! (quelli) del Pigno… glielo ho dati a lui i soldi per la campagna elettorale”.
Il Pigno – scrivono gli inquirenti – è il quartiere catanese nel quale era in corso la realizzazione di un grande centro commerciale da parte di alcune aziende già attenzionate dalle forze dell’ordine. Ma per comprendere quanto grave può essere questo breve, ma incisivo scambio di battute vale forse la pena rammentare la caratura criminale di Vincenzo Aiello che con Eugenio Galea, regge la famiglia mafiosa di Nitto Santapaola da quando questi fu arrestato il 18 maggio 1993 e condannato a più ergastoli.
In particolare proprio Aiello aveva libero accesso a Riina che lo teneva in grande considerazione e gli consentiva di partecipare alle riunioni interprovinciali più delicate, persino quelle relative alle stragi.
Che il boss sia di quelli di vecchio stampo lo dimostrano le altre numerose intercettazioni nelle quali lo si sente richiamare all’antico codice della riservatezza uno dei suoi sodali e soprattutto quando, invitato alla festa per celebrare l’elezione di Angelo Lombardo al parlamento nazionale quale deputato del Mpa, decide di andarsene non appena giunge il festeggiato, con l’esplicito intento di non compromettere l’integrità dei referenti sui quali ha puntato e investito.
Da quanto si legge nelle carte le indagini non sono state in grado finora di dimostrare che effettivamente i due candidati abbiano consapevolmente ricevuto l’aiuto della cosca mafiosa catanese, perché le cimici, per quel che si sa, non hanno mai colto la voce dei fratelli Lombardo, ma le parole del boss captate di nascosto circa i finanziamenti e il riguardo con cui ha cercato di proteggere la reputazione dei politici sono dati che meritano un rigoroso approfondimento da parte della magistratura e una seria riflessione da parte del mondo politico.
Lo stesso deve dirsi per le numerosissime intercettazioni in cui Giovanni Barbagallo, anomalo geologo in stretto e diretto contatto con Aiello, racconta diffusamente il suo personale impegno per l’elezione dei Lombardo e le proprie entrature per far giungere e gestire ingenti somme di denaro. «Enzo, io, per quello che ho potuto fare 22 milioni di euro li ho fatti arrivare».
I magistrati lo indicano come “il collaudato e stabile canale di comunicazione tra l’organizzazione criminale della quale egli stesso è partecipe e i fratelli Lombardo” ed è sempre dalle sue parole che si apprende di una passeggiata a braccetto tra il Governatore e l’imprenditore Vincenzo Basilotta, condannato per mafia nel 2005, e rivale del Barbagallo come uomo di riferimento per la campagna elettorale del politico.
Alla lista delle spiegazioni da dare Lombardo deve anche rispondere di quanto un altro esponente del clan Santapaola, Rosario Di Dio confida a suoi diversi interlocutori circa la sua marcata insoddisfazione per i rapporti intrattenuti con il Governatore.
A tale Salvo Plotino spiega con malcelato rancore di non avere più alcuna intenzione di sostenere Lombardo: “È inutile che viene per cercare voti perché voti non ce n´è più per Raffaele… quello che ho fatto io quando lui è salito per la prima volta… e siccome io ho rischiato la vita e la galera per lui…”  E in un’altra occasione ancora: “Da me all´una e mezza di notte è venuto ed è stato due ore e mezza, qua da me… si è mangiato sette sigarette”.
A riscontro di tale episodio per ora ci sarebbe la sola testimonianza del medico Salvatore Astuti, ma è Lombardo che deve fornire le prove per smentire l’accusa di un incontro tanto segreto da avvenire nel cuore della notte, la cui ragione non è difficile da immaginare visto che il Di Dio è criminale di lungo corso.
Ultimo ma non meno importante i presunti rapporti con il boss di Enna, Raffaele Bevilacqua  con il quale il Governatore si sarebbe incontrato, anni addietro, come attesterebbero una decina di intercettazioni telefoniche e l’agenda del boss.
Nell’attesa che Lombardo sciolga ogni dubbio e riserva su tutti questi insidiosi indizi d’indagine, la spada di Damocle che già oscillava minacciosa sulla testa del suo governo quater scende pericolosamente. Una giunta figlia di una delicata quanto improbabile alleanza trasversale nel nome delle riforme essenziali e urgentissime per la Sicilia che vede in ruoli chiave personaggi al di sopra di ogni sospetto può legittimamente continuare ad operare sotto l’egida di un Presidente con così ingombranti sostenitori ed elettori?
Potrebbe riuscire veramente a scardinare quei sistemi di potere dell’isola da sempre in mano ai potentati politico-affaristico-mafiosi che, consapevolmente o no, sono il suo bacino elettorale?
Francamente noi pensiamo di no. Al di là dei tatticismi utilitaristici della politica e anche delle migliori intenzioni di quanti vedono nella spaccatura del Pdl e dell’Udc in Sicilia l’occasione per spezzare antichi e consolidati legami che forse solo Pier Santi Mattarella aveva provato a recidere, non crediamo che sia la via giusta.
Non lo potrebbero mai capire né accettare le nuove generazioni, soprattutto in questo momento che c’è tanta voglia di pulizia e trasparenza, che c’è bisogno di cambiamenti radicali, che è il momento di voltare pagina. Il vino nuovo necessita di otri nuove, rischia se no di lasciarsi contaminare dai fondi residui.
Quindi al dottor Massimo Russo, alla dottoressa Chinnici, al prefetto Marino e al Senatore e amico Beppe Lumia, chiediamo di prendere le dovute e precise distanze da Lombardo e dalla sua poco limpida storia passata. Sappiamo con quanta serietà e con quanto rigore svolgete i vostri ruoli, ma la Sicilia merita il vero cambiamento, merita un presidente all’altezza di rappresentare i vostri intenti di efficienza e riscatto, lo meritano anche la vostra reputazione e il lavoro che avete singolarmente svolto in tutti questi anni.

Fonte:Antimafia