Oltre il segreto del Protocollo farfalla

Un processo in corso a Roma, un’inchiesta aperta a Palermo per “omissione di atti d’ufficio”, un documento di sei pagine ed un allegato con un elenco di una decina di detenuti appartenenti a Cosa Nostra, ‘ndrangheta e Sacra Corona Unita, che sono in quel momento quasi tutti in regime di 41 bis, con cui iniziare una collaborazione. Il “Protocollo farfalla” non è più soltanto un “nome in codice” sussurrato tra le carceri ma è un documento nero su bianco con cui vengono regolati i rapporti tra Dap e Sisde firmato nel 2004 (quando il direttore del Sisde era Mario Mori mentre Giovanni Tinebra dirigeva il Dap). La prima volta che se ne sente parlare è in un inchiesta de “Il Manifesto”, nel 2006, a firma di Matteo Bartocci.

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Claudio Fava: “La mafia in parlamento, le parole di mio padre valgono ancora oggi. Ora voglio la verità sul ‘protocollo farfalla’”

Erano le 21.30 del 5 gennaio 1984. Giuseppe Fava si trovava in via dello Stadio a Catania e stava andando a prendere la nipote che recitava in “Pensaci, Giacomino!” al Teatro Verga. Era stata una lunga giornata di lavoro e aveva appena lasciato la redazione del suo giornale “I Siciliani”. Non ebbe il tempo di scendere dalla sua Renault 5 che fu freddato da cinque proiettili calibro 7,65 alla nuca. Per quell’omicidio furono condannati all’ergastolo nel 2003, in Cassazione, il capomafia Nitto Santapaola (mandante) e il boss Aldo Ercolano (esecutore) mentre il pentito Maurizio Avola, reo confesso, fu condannato a sette anni patteggiati.

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