Chi ha paura di don Puglisi?

I primi anni ’90 rappresentano per la storia del nostro Paese una sorta di spartiacque durante il quale, come disse Falcone all’indomani dell’omicidio Lima – assassinato il 12 marzo 1992 – “Poteva succedere di tutto”. La tacita alleanza tra mafia e politica che per decenni ha determinato una pacifica convivenza tra queste due realtà – solo apparentemente lontane e inconciliabili, troppo spesso invece uguali nella loro essenza – si era definitivamente incrinata all’indomani del maxiprocesso istituito dal pool antimafia, guidato da Rocco Chinnici prima e Antonino Caponnetto poi.

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Il Generale Padre della Patria ucciso da Uomini di Stato

Il 3 settembre 1982, in via Isidoro Carini, alle 21.15 di sera 30 proiettili trafissero il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa e la moglie Emanuela Setti Carraro trucidando i loro corpi, mentre poco più indietro l’agente di scorta Domenico Russo giaceva esangue nella sua Alfetta colpito a morte dai micidiali colpi di un kalashnikov AK-47. Fu un vero e proprio massacro. Un agguato messo a punto dagli spietati killer di Cosa Nostra: Antonio Madonia, Calogero Ganci, Giuseppe Greco, detto “Scarpuzzedda” e Giuseppe Lucchese per ordine di Salvatore Riina e di tutta la cupola. 


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Lo spirito antimafia

Oltre il freddo marmo delle pareti del Palazzo di Giustizia della città di Palermo in Italia, come in un sogno, si sentono ancora i passi di due giudici giusti che oggi non sono più tra noi fisicamente. Attraversando le gallerie dell’enorme edificio sembra di sentire ancora il mormorio delle loro voci ed il rumore delle carte e dei mille documenti sfogliati e studiati da Falcone e Borsellino. Due uomini rappresentanti della lotta contro la mafia, lotta che 22 anni fa sembrava essersi conclusa con la vittoria di Cosa Nostra dopo che due bombe tagliarono la testa di una rivoluzione che avrebbe potuto cambiare la storia.

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