Dov'è finito l'oro? 20 anni di svuotamenti

Recentemente l’oro è tornato ad essere un tema rilevante e strategico nel dibattito mondiale. “La notizia che la Germania vuole rimpatriare parte delle sue riserve auree dagli Usa e dalla Francia – scrive Robert Lenzner, ex banchiere e oggi analista di Forbes – fa molto preoccupare, perchè è il primo grande segnale che la fiducia tra le Banche Centrali del mondo si sta deteriorando”.
E quando la fiducia si incrina non si sa mai come va a finire.
L’episodio non è isolato. Sono tanti i Paesi che negli ultimi cinquanta anni hanno ricoverato il loro oro nei grandi caveau americani e inglesi, ma ora lo rivorrebbero indietro. Tra questi Paesi ovviamente non poteva mancare l’Italia. “Sembra però” che ci siano dei problemi.

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Unione Europea, un gioco truccato

Quella dell’euro è stata un’avventura forzata per i popoli europei e un gioco d’azzardo per il mondo degli affari e della finanza.

Si è puntato tutto sul corpo dottrinario neoliberista: abbattimento totale delle barriere doganali, cioè libera circolazione di merci e capitali, indipendenza delle Banche Centrali e abolizione della sovranità monetaria dei singoli Stati membri, sostituita dal rigoroso pareggio di bilancio tra spesa pubblica e fiscalità, interdizione degli “aiuti di Stato”, cioè rinuncia alla protezione di settori produttivi strategici in difficoltà e alla promozione di settori innovativi e virtuosi, privatizzazione spinta dell’economia reale, compresi servizi pubblici essenziali e sistema bancario, sdoganamento delle lobby che esprimono interessi privati corporativi, cioè totale condizionamento di quel poco che rimane alla sovranità di Stato basata sul principio democratico, di conseguenza svuotato del suo contenuto originale.

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Il vero spread è la disoccupazione

Mario Monti ha presentato la sua lista di estremisti di centro mentre veniva celebrata la sua vittoria sullo spread, crollato di quasi trecento punti durante il suo governo.

Come abbiamo imparato, lo spread di cui si parla misura il divario tra gli interessi a dieci anni sul debito pubblico italiano e quello tedesco. È diventato unanimemente un misuratore dello stato di salute della nostra economia, per cui la sua riduzione sarebbe un indubbio successo del governo dei tecnici. Senonché c’è un altro dato che viene sostanzialmente ignorato e che invece a me pare molto più rilevante.

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