La borsa del generale-prefetto dalla Chiesa

Quando ho visto su alcuni quotidiani di oggi (non tutti, quelli vicini al centro-destra – per non smentirsi mai – non ne hanno parlato) gli articoli sul ritrovamento della borsa di Carlo Alberto dalla Chiesa ho subito tratto alcune deduzioni rispetto alle circostanze e al momento storico (il 1982) in cui avvenne l’assassinio del generale prefetto di Palermo dopo i cento giorni della sua disperata missione in Sicilia.
Ho letto anche, con la necessaria attenzione, l’intervista fatta all’amico Nando Dalla Chiesa, figlio del generale e sociologo dell’Università statale di Milano che ha appena pubblicato un ottimo saggio sull’impresa mafiosa (L’impresa mafiosa. Tra capitalismo violento e controllo sociale. Cavallotti Press University, novembre 2012) oltre a tutti gli altri pubblicati in passato, tra i quali uno in particolare sulle convergenze che caratterizzano i rapporti tra la mafia e la classe politica nel settantennio repubblicano che giudico ormai un classico dei saggi sul fenomeno mafioso (La convergenza. Mafia e politica nella seconda repubblica (Melampo 2006

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Nuovo mistero sul generale dalla Chiesa, trafugata la sua borsa in pelle

La morte del generale Carlo Alberto dalla Chiesa si arricchisce di un nuovo mistero. Ad essere sparite non sono solo le carte della cassaforte della residenza privata del prefetto, ma anche una valigetta in pelle marrone che avrebbe contenuto documenti segreti. A rivelare questo nuovo spunto investigativo è il quotidiano La Repubblica che svela un altro contenuto della lettera che un misterioso anonimo, lo scorso settembre, aveva recapitato al sostituto procuratore Nino Di Matteo (uno dei pm che indaga sulla trattativa Stato-mafia). In quelle dodici pagine si parla delle carte che alcuni carabinieri del Ros avrebbero portato via dal covo di Totò Riina, al momento dell’arresto nel 1993, ma anche di questa valigetta.

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Anti-corruzione, furbate e porcate sul Titanic-Italia

Sono stati sette giorni da brivido. E non solo per lo spread che sale, la borsa che crolla, la disoccupazione che aumenta. A far accapponare la pelle sono una serie di avvenimenti che spiegano bene come ormai buona parte dell’equipaggio del Titanic-Italia abbia abbandonato ogni proposito di tentare di governare la nave e pensi esclusivamente ad occupare le ultime scialuppe disponibili. Il secondo paese più corrotto d’Europa (significativamente dopo la Grecia) ha ormai deciso di schiantarsi.

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